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La crisi non è globale!


stefanodandrea
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Il capitalismo non se la passa tanto male: la crisi non è globale
http://www.appelloalpopolo.it/?p=6226

di Stefano D’Andrea

Sono anni che giornalisti economici ed economisti discorrono di “crisi globale” o di “crisi mondiale”, indagandone le cause e proponendo soluzioni. Anche gli economisti critici si interrogano sulla “crisi globale”.

La “Lettera degli economisti”, pubblicata ormai quasi due anni fa, muoveva dal presupposto che fosse in corso dal 2007, e non fosse mai terminata, una “crisi economica globale” o “crisi mondiale”; discorreva di un “un sistema economico mondiale senza una fonte primaria di domanda”; contestava chi “confida in un rilancio della crescita mondiale basato su un nuovo boom della finanza statunitense”; e considerava difficilmente realizzabile, su queste basi, “una credibile ripresa mondiale” (1).

Anche autori che hanno proposto ricostruzioni originali delle cause della crisi, hanno indagato le ragioni “della crisi” senza alcuna specificazione, lasciando intendere che si tratti di crisi del capitalismo tout court; ovvero di “crisi del neoliberismo”, inteso come teoria (o ideologia) e politica planetaria; come forma attuale – sia pure caratterizzata da “fasi” – del capitalismo (Bellofiore, La crisi capitalistica, la barbarie che avanza, Trieste 2012).

Tuttavia, sebbene le politiche globalizzatrici, volte ad aumentare gli scambi internazionali, comportino inevitabilmente che una crisi economica sviluppatasi in grandi economie nazionali abbia ripercussioni su economie di altre nazioni – le quali, a tacer d’altro, vedono ridurre le esportazioni – i dati sembrano suggerire che non sia in atto alcuna crisi globale e che nel “sistema economico mondiale” non vi sia alcuna carenza di domanda (perché il “sistema economico mondiale” è formula che non trova alcun riferimento concreto nella realtà). Se così stessero le cose, muovendo dal presupposto che oggi pressoché tutte le economie nazionali sono capitalistiche, se ne dovrebbe trarre il corollario che non è in corso una crisi del capitalismo. Saremmo in presenza di una crisi economica che affligge alcune grandi economie nazionali.

Consideriamo, in primo luogo, i dati relativi all’andamento del pil in alcune grandi economie negli anni 2007-2011. Poi, con riguardo al medesimo periodo di tempo, i dati relativi all’andamento del pil in alcune piccole economie; e infine verifichiamo la crescita del pil mondiale sempre con riguardo agli anni 2007-2011. I dati di seguito riportati sono tratti dalle rilevazioni della Banca Mondiale, salvo quelli, più incerti, relativi al 2011, i quali sono attinti da fonti giornalistiche di informazioni economiche.

Il Pil del Brasile è cresciuto del 2,7% nel 2011, del 7,5 % nel 2010, del 5,1% nel 2008, del 6,1% nel 2007 (soltanto nel 2009 ha avuto una decrescita dello 0,9%). Il Pil della Cina è cresciuto di circa il 9,2% nel 2011, del 10,4% nel 2010, del 9,2% nel 2009, del 9,6% nel 2008 e del 14,2% nel 2007. Il Pil dell’India è cresciuto intorno al 7% nel 2011, dell’8,8% del 2010, del 9,1% nel 2009, del 4,9% nel 2008, e del 9,8% nel 2007. Il pil della Federazione russa è cresciuto intorno al 4% nel 2011, del 4% nel 2010, del 5,2% nel 2008, dell’8,5% nel 2007 (soltanto nel 2009 è decresciuto del 7,8%).

Ora consideriamo quattro piccole economie. Il Pil del Vietnam è cresciuto del 6,8% nel 2010, del 5,3% nel 2009, del 6,3% nel 2008 e dell’8,5% nel 2007. Il pil dell’Argentina è cresciuto intorno al 9% nel 2011, del 9,2% nel 2010, dello 0,8% nel 2009, del 6,8% nel 2008, e dell’8,6% nel 2007. Il pil del Libano è cresciuto del 7% nel 2010, dell’8,5% nel 2009, del 9,3% nel 2008, e del 7,5% nel 2007. Il pil della Bielorussia è cresciuto del 7,6 nel 2010, dello 0,2% nel 2009, del 10,2% nel 2008 e dell’8,6 nel 2007.

Dunque esistono grandi nazioni e piccole nazioni le cui economie – pur subendo, talvolta, e in maniera ora più ora meno accentuata, i riflessi delle crisi di altre grandi economie nazionali – in nessun modo possono essere considerate in crisi. Presumibilmente, negli stati-nazione testé considerati non soltanto il pil cresce ma la disoccupazione diminuisce o non aumenta; le imprese che sorgono sono numericamente superiori a quelle che falliscono; il livello di insolvenza delle imprese è basso; in misura maggiore o minore, anche una parte delle fasce povere della popolazione beneficia della crescita economica e migliora le condizioni di vita.

Infine verifichiamo l’andamento del pil mondiale. La somma algebrica delle variazioni in percentuale del pil negli anni 2007-2011 (il dato per il 2011 è quello stimato dall’ocse nel gennaio 2012) è pari a 10,6 (muovendo dal 2007: +3,9; +1,5; -2,3; +4,2; + 3,3), con una crescita media di circa il 2,1% all’anno. Il valore è basso rispetto al corrispondente valore relativo ai quinquenni precedenti (16.1 negli anni 2002-2006, con una media del 3,1 circa). Tuttavia, il valore è più alto della crescita avuta in Italia e Germania nel quinquennio 2002-2006 (le somma algebriche delle variazioni del pil sono pari, rispettivamente a 4,2, e 5,1) e poco più basso di quello corrispondente relativo agli stati Uniti (11,3). Se “il capitalismo” non era in crisi negli anni 2002-2006 negli Stati Uniti, in Germania e in Italia, come è possibile asserire che è entrato in crisi nel “sistema mondo” negli anni 2007-2011?

Soprattutto, se i dati dimostrano che “il capitalismo globale” non è in crisi e che non se la passa tanto male, essi dimostrano anche che, se si depurano i dati del “sistema mondo” da quelli relativi alle economie della triade, il resto del capitalismo è in forma smagliante!

Possiamo trarre le conclusioni, riassumibili in due punti.

In primo luogo, è’ assolutamente falso che la crisi economica sia globale o mondiale. Non esiste alcuna crisi economica globale o mondiale. Le economie di molti stati-nazione, grandi o piccole, sono in grande espansione. Certo, esse sono esposte a contraccolpi derivanti da discese della produzione e dei redditi (e quindi, tra l’altro, diminuzioni delle importazioni) che si stanno verificando, e che si verificheranno, nella maggior parte delle economie degli stati-nazione rientranti nella cosiddetta triade (molti Stati Europei; Stati Uniti e Giappone). Tuttavia, le economie degli stati nazione che in questi anni vedono crescere il pil, eventualmente a ritmi sostenuti, hanno possibilità di diminuire e controllare la dipendenza dalla domanda estera degli stati nazione con economie in crisi, promuovendo programmi di opere pubbliche e introducendo barriere doganali, volte a stimolare la produzione e la domanda interna e a sostituire con quest’ultima la domanda estera. A tal proposito, il Ministro Brasiliano delle Finanze, Guido Mantega, ha recentemente dichiarato che se il Paese non subisse gli effetti della crisi europea e della lenta crescita degli Usa, «potremmo andare ancora meglio». Ed ha poi precisato: «La crisi internazionale ha avuto un impatto dallo 0,5 ad un punto percentuale sul Pil, a causa del calo della domanda esterna». Per questo, come già fanno altri Paesi della regione, in particolare l'Argentina, il Brasile «punterà come non mai sul consumo interno». Come? Con un programma di opere pubbliche e “alzando i dazi doganali” (2).

In secondo luogo, non ha alcun senso discutere di crisi del capitalismo tout court. C’è un’evidente triade-centrismo nella impostazione che contestiamo. Al più, siamo in presenza di crisi delle forme che il capitalismo di molti paesi della triade ha assunto senza valutare attentamente lo sviluppo e la concorrenza delle economie di molti stati-nazione che, al contrario, stanno emergendo velocemente. Forme pensate per lo sfruttamento delle economie di altri stati-nazione (o comunque per vincere la competizione), si stanno rivelando un boomerang per i lavoratori subo
rdinati, i lavoratori autonomi e gli imprenditori di molti stati-nazione della triade (non per i gestori e i detentori del grande capitale finanziario o per i gestori e detentori del grande e medio capitale produttivo deglobalizzato, liberi – proprio per le forme che i paesi della triade hanno dato al loro capitalismo – di ottenere vincite, rendite e profitti in ogni luogo della terra). Il capitalismo non se la passa tanto male; e quello di moltissimi stati-nazione è in forma smagliante! Può dispiacere ma le cose stanno così.

(1) http://www.letteradeglieconomisti.it/

(2) http://www.lettera43.it/economia/macro/34832/pil-brasile-supera-italia-e-punta-alla-francia.htm


Citazione
Giovina
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 2001
 

Crisi finanziaria. Una definizione i cui concetti sono tanti quante le persone che lo concepiscono. Poi ne abbiamo la forma pensiero piu' , supinamente, accreditata e condivisa. Ossia l'improvviso rallentamento del flusso del profitto, dell'accumulo, di quel profitto e di quell'accumulo che e' stato sempre a spese di maree di uomini affamati, assetati, sotto i ponti, cartoni e angoli bui di stazioni.. e di cui non e' mai interessato a nessuno, se non per tacitare spesso la propria coscienza e dare al mondo una immagine di se' morale e altruista di interesse sociale e umanitario.

La crisi e' quella dei ricchi che si vedono rallentato il flusso entrante delle ricchezze. Per questo se lo garantiscono sulla pelle dei soliti ignoti in attesa che la mucca carolina riempia di nuovo le sue mammelle e possa essere di nuovo munta ogni mattina da ogni angolo del pianeta.

La scelta e' aiutare i porci a tornare al loro standard di porcilaia e tornare ad essere complici e servi, oppure volgere gli occhi e decidere di cambiare le cose perche ogni bocca abbia cibo, acqua e dignita' sociale.

Sinceramente: non scendero' in strada e nelle piazze per difendere il diritto della mia pancia a essere riempita ogni giorno per poi semplicemente ripristinare lo status quo, lo sfruttamento antico, tramite la mia protesta. Piuttosto allora patiro' fame e poverta' come quelli che fino ad oggi patendole mi hanno permesso di vivere una vita pseudocivile. Questo sara' un sacrificio piu' utile che urlare, dimenarsi, brandire cartelli, sventolare bandiere per le strade.

L' umiliazione piu' subdola: minacciare la poverta' perche' si possa averne cosi' paura ma cosi' paura da tornare ad avere coraggio per lottare e assicurarsi il proprio personale tenore di vita, della propria famiglia, del proprio gruppo..e far felici gli insaziabili.
Almeno dei pensieri, come pensarli, voglio cercare di essere libera. Senza liberta' e chiarezza interiore, come potro' distinguere e difendere quelle esteriori?


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