Nel suo reportage per il New Yorker sul processo al criminale nazista Adolf Eichmann che poi diventerà famoso come il saggio sulla banalità del male, Hannah Arendt ammoniva sulle finalità del processo con queste parole: “Qui si devono giudicare le sue azioni, non le sofferenze delle vittime.”
E nel raccontare il processo si attenne fedelmente a questo comando, constatando di non avere davanti un gigante del male bensì “un uomo di mezza età, di statura media, magro, con un’incipiente calvizie, dentatura irregolare e occhi miopi, il quale per tutta la durata del processo se ne starà con lo scarno collo incurvato sul banco (neppure una volta si volgerà a guardare il pubblico) e disperatamente cercherà riuscendovi sempre di non perdere l’autocontrollo, malgrado il tic nervoso che gli muove le labbra e che certo lo affligge da molto tempo.”
Molto più complessa la tragedia storica dell’Olocausto, che implicava temi quali l’obbedienza, il senso dello stato e della storia, finanche Martin Lutero e Immanuel Kant sul banco degli imputati. E, rispetto al titolo del saggio, molto più tortuoso e ironicamente affatto banale il discorso della Arendt sulle colpe degli esecutori dell’infernale macchina nazista. La comunità ebraica tuttavia non la prese bene, come se concedere al carnefice lo sguardo antropologico e psicologico lo rendesse meno colpevole.
Per alcuni l’intervista di Franca Leosini all’aggressore di Lucia Annibali ha proprio queste peccato originale: consentire al “mostro” la pietà del pensiero.
Questo è invece proprio il suo merito, far vedere il mostro, il femminicida, questo nemico pubblico del decennio, per quello che è davvero: nel caso di Varani, non un sadico manipolatore, né un orco violento e neppure un preculturale che odia le donne. Un drogato forse? Neppure.
Semplicemente, il classico perfetto imbecille del quale è facile innamorarsi, scambiando la stolidità per tenebrosità, il disturbo mentale per fascino, le bugie per promesse.
Non c’è verità più utile che possa essere detta sul male, che si tratti di tragedie storiche o di brutta cronaca nera, della verità fino in fondo, cioè che spesso il male è a un passo dalle stupide routine, alla distanza di una decisione rimandata o di un lasciar fare di troppo. Verità che la voce di questi mediocri carnefici indica molto meglio rispetto al lamento delle vittime.
Luisa Simeone
Fonte: http://libernazione.it
Link: http://libernazione.it/arendt-leosini-banalita-del-male/
6.02.2016
Se è veramente 'male', allora non può essere banale. Se una cosa è banale non può essere malvagia.
Queste sono frasi ad effetto che, analizzate, non dicono nulla, cercano di sminuire a criminalità ordinaria, senza riuscirci, quello che era stato pompato ad arte fino a diventare crimine teologico di portata apocalittica e universale, coinvolgente la cultura, l'etnia e la storia tedesca e europea.
La ragione? Un crimine di quelle dimensioni presuppone una capacità umana titanica nella determinazione e nell'organizzazione del crimine che fa degli esecutori dei superuomini. Il sottinteso è : per tentare di uccidere il popolo eletto da Dio ci vogliono individui tutt'altro che banali.
La Arendt fa notare invece come il "superuomo" non era altro che un burocrate qualsiasi.
Alla fine non riesce a spiegare come fa un uomo così 'banale' a commettere un crimine così grande e si rifugia nella famosa frase senza senso.