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L'euro e il complotto dei Masanielli


Razionalista
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In questo video esprimo mie personali riflessioni circa la situazione in cui versano l'occidente e l'Europa. In particolar modo mi soffermo sulle criticità che affronterebbe l'Italia nel caso in cui uscisse dall'euro: http://ilrazionalista.blogspot.it/2012/06/leuro-e-il-complotto-dei-masanielli.html


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Georgejefferson
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I LUOGHI COMUNI PIÙ DIFFUSI SULLA VIRTUOSA GERMANIA

1. Per la Germania la fine del marco e la convivenza con valute più deboli nell’euro è stata un handicap

Secondo Frank Mattern, capo di McKinsey in Germania, è vero il contrario: “la Germania con l’euro ha guadagnato moltissimo”. Negli ultimi dieci anni un terzo della crescita dell’economia tedesca è dovuto all’euro (165 miliardi nel solo 2010).
I motivi principali: fine dei costi di transazione e di assicurazione contro il rischio di cambio; crescita del commercio intraeuropeo; e crescita delle esportazioni tedesche proprio per il fatto che l’euro è una valuta più debole di quanto sarebbe stato il marco (il contrario vale per la lira). Inoltre l’euro ha abbassato molto i tassi d’interesse dei paesi periferici portandoli al livello di quelli tedeschi, con conseguente incremento dei consumi in quei paesi, a beneficio dell’export tedesco. In questo modo il saldo della bilancia dei pagamenti della Germania – in rosso al momento dell’introduzione dell’euro – è cresciuto nel decennio del 41%, sino a 1.021 miliardi di euro (dati Eurostat).

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche/

2. La maggiore competitività della Germania è dovuta al fatto che i tedeschi lavorano più degli altri e che la loro produttività del lavoro è in continua crescita

I tedeschi non lavorano più degli altri: in Italia ogni lavoratore lavora 1.711 ore, in Germania 1.419. Anche i guadagni di produttività sono prossimi a quelli di altri Paesi europei (benché superiori a quelli italiani): ad esempio, la produttività totale dei fattori è cresciuta dal 1997 a oggi di un modesto 5%, pari all’aumento conseguito dalla Francia e ben al di sotto di quello statunitense (13%). E allora dov’è il segreto? Nella deflazione salariale, ossia nel fatto che dal 1998 i salari tedeschi sono diminuiti, rispetto alla media dell’Eurozona, dell’uno per cento all’anno. Ciò ha depresso la domanda interna, ma ha spinto le esportazioni. E infatti, come si legge in una recente ricerca del Centro Europa Ricerche, “dal 1997 a oggi, rispetto all’Eurozona, la Germania ha aumentato le proprie esportazioni del 30 per cento, mentre ha diminuito la propria domanda interna di 15 punti”. In pratica, “la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto rispetto al resto dei paesi europei, ossia il miglioramento della competitività di prezzo all’interno dell’Eurozona, è stata ottenuta dalla Germania grazie al contenimento delle dinamiche salariali”.Questa strategia per competere (non particolarmente moderna) ha tra l’altro il difetto di non essere generalizzabile. Al contrario, funziona soltanto a patto che non la adottino anche gli altri. E infatti, osservano i ricercatori del CER, “se tutti i paesi europei avessero seguito la strada della deflazione salariale, l’economia tedesca non avrebbe realizzato alcun guadagno di competitività” e l’esito sarebbe stato unicamente un generale abbassamento dei salari reali. Invece, a causa degli Stati “viziosi” dell’Europa, così non è stato, e la “virtuosa” Germania ha potuto piazzare i propri prodotti in grande quantità.

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-2/

3. La Germania ha i conti in ordine e adotta pratiche fiscali trasparenti

La Germania ha più volte sforato il tetto del 3% nel rapporto deficit/pil. Questo è avvenuto già prima della crisi, dal 2003 al 2005. All’epoca, però, la Commissione europea decise di non agire su pressione della stessa Germania (e anche della Francia, che aveva problemi simili). Dopo lo scoppio della crisi la Germania ha poi messo in campo il maggior piano di stimoli per l’economia realizzato in Europa, pari al 3% del suo pil. Inoltre, dal 2008 a oggi, ha speso 93 miliardi di euro per salvare le sue banche. Anche lo scorso anno il deficit è stato superiore al limite di Maastricht, nonostante il peso molto inferiore degli interessi sul debito rispetto alla gran parte degli altri paesi europei, mentre il rapporto debito/pil è salito all’83% (il tetto di Maastricht è il 60%).Quanto alle pratiche fiscali, il 40% del debito pubblico tedesco è allocato presso fondi speciali, il cui deficit non figura nel bilancio federale. Per fare un esempio, gli incentivi per la rottamazione, uno dei cardini del sostegno all’industria automobilistica tedesca, non sono stati posti a carico del bilancio dello Stato ma del fondo pubblico Itf, e sono stati giustificati come “investimenti per le tecnologie verdi” mentre erano un sussidio ai consumi interni. In questo modo tra il 2009 e il 2011 il governo tedesco ha fatto passare come investimenti ben 20 miliardi di euro di spese a sostegno dell’economia.

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-3/

4. Anche la Germania sta pagando la crisi del debito, per questo vuole mettere ordine
La caduta della domanda interna nei paesi europei colpiti dalla crisi del debito ha fatto diminuire le esportazioni tedesche verso questi paesi, e secondo Patrick Artus di Natixis ciò ha comportato una minore crescita del pil dell’1,5%. Ma la fuga verso i titoli di Stato tedeschi ne ha abbassato gli interessi di oltre il 2%, con un risparmio per lo Stato tedesco di quasi un punto di pil (0,9%). La crisi ha comportato anche un significativo deprezzamento dell’euro(-17% circa), con conseguente crescita del volume delle esportazioni extraeuropee del 2,4%: un altro 0,8% di prodotto interno lordo guadagnato. Fatte le somme, il saldo della crisi per la Germania per ora è positivo, sia pure in misura contenuta: lo 0,2% del pil per il 2011. A questo va aggiunto che le aziende tedesche oggi possono procurarsi prestiti a tassi significativamente inferiori a quelli delle imprese italiane, spagnole, francesi.

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-4/

5. Per la Germania è inaccettabile che l’Unione Europea diventi un’Unione di trasferimenti (Transferunion)

È inaccettabile per Angela Merkel, ma non per la Linke (che chiede proprio questo), e neppure per la Spd. Il capogruppo Spd al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, in un’intervista allo Spiegel, ha sostenuto che trasferimenti di ricchezza in Europa avvengono da tempo ma dal Sud verso il Nord, grazie alla maggiore competitività della Germania, e che servirebbero oggi trasferimenti anche in direzione opposta, proprio per evitare che gli squilibri tra i paesi facciano saltare l’euro. Frank Mattern propone addirittura un “piano Marshall” per i paesi del sud Europa, nell’interesse delle esportazioni tedesche. Anche i cinesi, del resto, comprano titoli di Stato Usa per continuare a esportare negli Stati Uniti.

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-5/

6. La Germania è contraria all’intervento diretto della BCE nella crisi perché si ricorda che l’iperinflazione degli anni Venti portò al potere Hitler

Se la Bce accettasse di sostenere illimitatamente i titoli di Stato europei, non è vero che si avrebbe una forte inflazione. Negli Usa, dove la Fed ha comprato buoni del tesoro per oltre 1.600 miliardi di dollari, l’inflazione è intorno al 3,5%. Inoltre, a portare Hitler al potere non è stata l’inflazione del 1923. Sono state le politiche deflazionistiche dei primi anni 30, attuate – in Germania e altrove – proprio per paura dell’inflazione. Lo storico Richard Overy nel suo Crisi tra le due guerre mondiali le ha descritte così: “I politici cercarono di evitare qualsiasi cosa che minacciasse la stabilità della moneta e dei bilanci in pareggio. In Francia lo stato perseguì una rigida politica monetaristica sino al 1936, riducendo gli stipendi dei funzionari pubblici e dei dipendenti dello stato, e tagliando le spese per la difesa e l’assistenza sociale. Nella Germania del 1932 si ebbe una serie di tagli forzosi
sui salari pubblici, sulle rendite e sulle pensioni». Purtroppo, suona piuttosto familiare…

http://linus.net/2012/03/ma-cose-questa-crisi-di-vladimiro-giacche-6/


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Georgejefferson
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Alberto Bagnai
L’uscita dall’euro prossima ventura

Un anno fa, discorrendo con Aristide, chiedevo come mai la sinistra italiana rivendicasse con tanto orgoglio la paternità dell’euro: non vedeva quanto esso fosse opposto agli interessi del suo elettorato? Una domanda simile a quella di Rossanda. Aristide, economista di sinistra, mi raggelò: “caro Alberto, i costi dell’euro, come dici, sono noti, tutti i manuali li illustrano. Li vedevano anche i nostri politici, ma non potevano spiegarli ai loro elettori: se questi avessero potuto confrontare costi e benefici non avrebbero mai accettato l’euro. Tenendo gli elettori all’oscuro abbiamo potuto agire, mettendoli in una impasse dalla quale non potranno uscire che decidendo di fare la cosa giusta, cioè di andare avanti verso la totale unione, fiscale e politica, dell’Europa.” Insomma: “il popolo non sa quale sia il suo interesse: per fortuna a sinistra lo sappiamo e lo faremo contro la sua volontà”. Ovvero: so che non sai nuotare e che se ti getto in piscina affogherai, a meno che tu non “decida liberamente” di fare la cosa giusta: imparare a nuotare. Decisione che prenderai dopo un leale dibattito, basato sul fatto che ti arrivo alle spalle e ti spingo in acqua. Bella democrazia in un intellettuale di sinistra! Questo agghiacciante paternalismo può sembrare più fisiologico in un democristiano, ma non dovrebbe esserlo. “Bello è di un regno come che sia l’acquisto”, dice re Desiderio. Il cattolico Prodi l’Adelchi l’ha letto solo fino a qui. Proseguendo, avrebbe visto che per il cattolico Manzoni la Realpolitik finisce in tragedia: il fine non giustifica i mezzi. La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.

Il debito pubblico non c’entra.
Sgomenta l’unanimità con la quale destra e sinistra continuano a concentrarsi sul debito pubblico. Che lo faccia la destra non è strano: il contrattacco ideologico all’intervento dello Stato nell’economia è il fulcro della “controriforma” seguita al crollo del muro. Questo a Rossanda è chiaro. Le ricordo che nessun economista ha mai asserito, prima del trattato di Maastricht, che la sostenibilità di un’unione monetaria richieda il rispetto di soglie sul debito pubblico (il 60% di cui parla lei). Il dibattito sulla “convergenza fiscale” è nato dopo Maastricht, ribadendo il fatto che queste soglie sono insensate. Maastricht è un manifesto ideologico: meno Stato (ergo più mercato). Ma perché qui (cioè a sinistra?) nessuno mette Maastricht in discussione? Questo Rossanda non lo nota e non se lo chiede. Se il problema fosse il debito pubblico, dal 2008 la crisi avrebbe colpito prima la Grecia (debito al 110% del Pil), e poi Italia (106%), Belgio (89%), Francia (67%) e Germania (66%). Gli altri paesi dell’eurozona avevano debiti pubblici inferiori. Ma la crisi è esplosa prima in Irlanda (debito pubblico al 44% del Pil), Spagna (40%), Portogallo (65%), e solo dopo Grecia e Italia. Cosa accomuna questi paesi? Non il debito pubblico (minimo nei primi paesi colpiti, altissimo negli ultimi), ma l’inflazione. Già nel 2006 la Bce indicava che in Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna l’inflazione non stava convergendo verso quella dei paesi “virtuosi”. I Pigs erano un club a parte, distinto dal club del marco (Germania, Francia, Belgio, ecc.), e questo sì che era un problema: gli economisti sanno da tempo che tassi di inflazione non uniformi in un’unione monetaria conducono a crisi di debito estero (prevalentemente privato).
Inflazione e debito estero.
Se in X i prezzi crescono più in fretta che nei suoi partner, X esporta sempre meno, e importa sempre più, andando in deficit di bilancia dei pagamenti. La valuta di X, necessaria per acquistare i beni di X, è meno richiesta e il suo prezzo scende, cioè X svaluta: in questo modo i suoi beni ridiventano convenienti, e lo squilibrio si allevia. Effetti uguali e contrari si producono nei paesi in surplus, la cui valuta diventa scarsa e si apprezza. Ma se X è legato ai suoi partner da un’unione monetaria, il prezzo della valuta non può ristabilire l’equilibrio esterno, e quindi le soluzioni sono due: o X deflaziona, o i suoi partner in surplus inflazionano. Nella visione keynesiana i due meccanismi sono complementari: ci si deve venire incontro, perché surplus e deficit sono due facce della stessa medaglia (non puoi essere in surplus se nessuno è in deficit). Ai tagli nel paese in deficit deve accompagnarsi un’espansione della domanda nei paesi in surplus. Ma la visione prevalente è asimmetrica: l’unica inflazione buona è quella nulla, i paesi in surplus sono “buoni”, e sono i “cattivi” in deficit a dover deflazionare, convergendo verso i buoni. E se, come i Pigs, non ci riescono? Le entrate da esportazioni diminuiscono e ci si deve indebitare con l’estero per finanziare le proprie importazioni. I paesi a inflazione più alta sono anche quelli che hanno accumulato più debito estero dal 1999 al 2007: Grecia (+78 punti di Pil), Portogallo (+67), Irlanda (+65) e Spagna (+62). Con il debito crescono gli interessi, e si entra nella spirale: ci si indebita con l’estero per pagare gli interessi all’estero, aumenta lo spread e scatta la crisi.
Lo spettro del 1992.
E l’Italia? Dice Rossanda: “il nostro indebitamento è soprattutto all’interno”. Non è più vero. Pensate veramente che ai mercati interessi con chi va a letto Berlusconi? Pensate che si preoccupino perché il debito pubblico è “alto”? Ma il nostro debito pubblico è sopra il 100% da 20 anni, e i nostri governi, anche se meno folcloristici, sono stati spesso più instabili. Non è questo che preoccupa i mercati: quello che li preoccupa è che oggi, come nel 1992, il nostro indebitamento con l’estero sta aumentando, e che questo aumento, come nel 1992, è guidato dall’aumento dei pagamenti di interessi sul debito estero, che è in massima parte debito privato, contratto da famiglie e imprese (il 65% delle passività sull’estero dell’Italia sono di origine privata).
Cui Prodest?
Calata nell’asimmetria ideologica mercantilista (i “buoni” non devono cooperare) e monetarista (inflazione zero) la scelta politica di privarsi dello strumento del cambio diventa strumento di lotta di classe. Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi dei beni, che possono diminuire o riducendo i costi (quello del lavoro, visto che quello delle materie prime non dipende da noi) o aumentando la produttività. Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo. La sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena. Chi non deflaziona accumula debito estero, fino alla crisi, in seguito alla quale lo Stato, per evitare il collasso delle banche, si accolla i debiti dovuti agli squilibri esterni, trasformandoli in debiti pubblici. Alla privatizzazione dei profitti segue la socializzazione delle perdite, con il vantaggio di poter incolpare a posteriori i bilanci pubblici. La scelta non è se deflazionare o meno, ma se farlo subito o meno. Una scelta ristretta, ma solo perché l’ottusità ideologica impone di concentrarsi sul sintomo (lo squilibrio pubblico, che può essere corretto solo tagliando), anziché sulla causa (lo squilibrio esterno, che potrebbe essere corretto cooperando). Alla domanda di Rossanda “non c’è stato qualche errore?” la risposta è quella che dà lei stessa: no, non c’è stato nessun errore. Lo scopo che si voleva raggiungere, cioè la “disciplina” dei lavoratori, è stato raggiunto: non sarà “di sinistra”, ma se volete continuare a chiamare “sinistra” dei governi “tecnici” a guida democristiana accomodatevi. Lo dice il manuale di Acocella: il “cambio forte” serve a disciplinare i sindacati.
Più Europa?
Secondo la teoria economica un’unione monetaria può reggere senza tensioni sui salari se
i paesi sono fiscalmente integrati, poiché ciò facilita il trasferimento di risorse da quelli in espansione a quelli in recessione. Una “soluzione” che interviene a valle, cioè allevia i sintomi, senza curare la causa (gli squilibri esterni). È il famoso “più Europa”. Un esempio: festeggiamo quest’anno il 150° anniversario dell’unione monetaria, fiscale e politica del nostro paese. “Più Italia” l’abbiamo avuta, non vi pare? Ma 150 anni dopo la convergenza dei prezzi fra le varie regioni non è completa, e il Sud ha un indebitamento estero strutturale superiore al 15% del proprio Pil, cioè sopravvive importando capitali dal resto del mondo (ma in effetti dal resto d’Italia). Dopo cinquanta anni di integrazione fiscale nell’Italia (monetariamente) unita abbiamo le camicie verdi in Padania: basterebbero dieci anni di integrazione fiscale nell’area euro, magari a colpi di Eurobond, per riavere le camicie brune in Germania. L’integrazione fiscale non è politicamente sostenibile perché nessuno vuole pagare per gli altri, soprattutto quando i media, schiavi dell’asimmetria ideologica, bombardano con il messaggio che gli altri sono pigri, poco produttivi, che “è colpa loro”. Siano greci, turchi, o ebrei, sappiamo come va a finire quando la colpa è degli altri.
Deutschland über alles.
Le soluzioni “a valle” dello squilibrio esterno sono politicamente insostenibili, ma lo sono anche quelle “a monte”. La convivenza con l’euro richiederebbe l’uscita dall’asimmetria ideologica mercantilista. Bisognerebbe prevedere simmetrici incentivi al rientro per chi si scostasse in alto o in basso da un obiettivo di inflazione. Il coordinamento del quale Rossanda parla andrebbe costruito attorno a questo obiettivo. Ma il peso dei paesi “virtuosi” lo impedirà. Perché l’euro è l’esito di due processi storici. Rossanda vede il primo (il contrattacco del capitale per recuperare l’arretramento determinato dal new deal post-bellico), ma non il secondo: la lotta secolare della Germania per dotarsi di un mercato di sbocco. Ci si estasia (a destra e a sinistra) per il successo della Germania, la “locomotiva” d’Europa, che cresce intercettando la domanda dei paesi emergenti. Ma i dati che dicono? Dal 1999 al 2007 il surplus tedesco è aumentato di 239 miliardi di dollari, di cui 156 realizzati in Europa, mentre il saldo commerciale verso la Cina è peggiorato di 20 miliardi (da un deficit di -4 a uno di -24). I giornali dicono che la Germania esporta in Oriente e così facendo ci sostiene con la sua crescita. I dati dicono il contrario. La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca. E la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando. Ma perché i governi “periferici” si sono fatti abbindolare dalla Germania? Lo dice il manuale di Gandolfo: la moneta unica favorisce una “illusione della politica economica” che permette ai governi di perseguire obiettivi politicamente improponibili, cavandosela col dire che sono imposti da istanze sopraordinate (quante volte ci siamo sentiti dire “l’Europa ci chiede...”?). Il fine (della lotta di classe al contrario) giustificava il mezzo (l’ancoraggio alla Germania).
La svalutazione rende ciechi.
È un film già visto. Ricordate lo Sme “credibile”? Dal 1987 al 1991 i cambi europei rimasero fissi. In Italia l’inflazione salì dal 4.7% al 6.2%, con il prezzo del petrolio in calo (ma i cambi fissi non domavano l’inflazione?). La Germania viaggiava su una media del 2%. La competitività italiana diminuiva, l’indebitamento estero aumentava, e dopo la recessione Usa del 1991 l’Italia dovette svalutare. Svalutazione! Provate a dire questa parola a un intellettuale di sinistra. Arrossirà di sdegnato pudore virginale. Non è colpa sua. Da decenni lo bombardano con il messaggio che la svalutazione è una di quelle cosacce che provocano uno sterile sollievo temporaneo e orrendi danni di lungo periodo. Non è strano che un sistema a guida tedesca sia retto dal principio di Goebbels: basta ripetere abbastanza una bugia perché diventi una verità. Ma cosa accadde dopo il 1992? L’inflazione scese di mezzo punto nel ’93 e di un altro mezzo nel ’94. Il rapporto debito estero/Pil si dimezzò in cinque anni (da -12 a -6 punti di Pil). La bolletta energetica migliorò (da -1.1 a -1.0 punti). Dopo uno shock iniziale, l’Italia crebbe a una media del 2% dal 1994 al 2001. La lezioncina sui danni della svalutazione (genera inflazione, procura un sollievo solo temporaneo, non ce la possiamo permettere perché importiamo il petrolio) è falsa.
Irreversibile?
Si dice che la svalutazione non sarebbe risolutiva, e che le procedure di uscita non sono previste, quindi... Quindi cosa? Chi è così ingenuo da non vedere che la mancanza di procedure di uscita è solo un espediente retorico, il cui scopo è quello di radicare nel pubblico l’idea di una “naturale” o “tecnica” irreversibilità di quella che in fondo è una scelta umana e politica (e come tale reversibile)? Certo, la svalutazione renderebbe più oneroso il debito definito in valuta estera. Ma porterebbe da una situazione di indebitamento estero a una di accreditamento estero, producendo risorse sufficienti a ripagare i debiti, come nel 1992. Se non lo fossero, rimarrebbe la possibilità del default. Prodi vuol far sostenere una parte del conto ai “grossi investitori istituzionali”? Bene: il modo più diretto per farlo non è emettere Eurobond “socializzando” le perdite a beneficio della Germania (col rischio camicie brune), ma dichiarare, se sarà necessario, il default, come hanno già fatto tanti paesi che non sono stati cancellati dalla geografia economica per questo. È già successo e succederà. “I mercati ci puniranno, finiremo stritolati!”. Altra idiozia. Per decenni l’Italia è cresciuta senza ricorrere al risparmio estero. È l’euro che, stritolando i redditi e quindi i risparmi delle famiglie, ha costretto il paese a indebitarsi con l’estero. Il risparmio nazionale lordo, stabile attorno al 21% dal 1980 al 1999, è sceso costantemente da allora fino a toccare il 16% del reddito. Nello stesso periodo le passività finanziarie delle famiglie sono raddoppiate, dal 40% all’80%. Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani.
Non faccia la sinistra ciò che fa la destra.
Dall’euro usciremo, perché alla fine la Germania segherà il ramo su cui è seduta. Sta alla sinistra rendersene conto e gestire questo processo, anziché finire sbriciolata. Non sto parlando delle prossime elezioni. Berlusconi se ne andrà: dieci anni di euro hanno creato tensioni tali per cui la macelleria sociale deve ora lavorare a pieno regime. E gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso. Sarà ancora una volta concesso alla sinistra della Realpolitik di gestire la situazione, perché esiste un’altra illusione della politica economica, quella che rende più accettabili politiche di destra se chi le attua dice di essere di sinistra. Ma gli elettori cominciano a intuire che la macelleria sociale si può chiudere uscendo dall’euro. Cara Rossanda, gli operai non sono “scombussolati”, come dice lei: stanno solo capendo. “Peccato e vergogna non restano nascosti”, dice lo spirito maligno a Gretchen. Così, dopo vent’anni di Realpolitik, ad annaspare dove non si tocca si ritrovano i politici di sinistra, stretti fra la necessità di ossequiare la finanza, e quella di giustificare al loro elettorato una scelta fascista non tanto per le sue conseguenze di classe, quanto per il paternalismo con il quale è stata imposta. Si espongono così alle incursioni delle varie Marine Le Pen che si stanno affacciando in paesi di democrazia più compiuta, e presto anche da noi. Perché le politiche di destra, nel lungo periodo, avvantaggiano solo la destra. Ma mi rendo conto che in un paese nel quale basta una legislatura per meritarsi una pensione d’oro, il lungo
periodo possa non essere un problema dei politici di destra e di sinistra. Questo spiega tanta unanimità di vedute.


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Georgejefferson
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Il dumping di Berlino

di Marco Fortis
il sole 24 ore

Nella guerra degli egoismi che si combatte ormai giornalmente sui mercati finanziari, travolti da montagne di debiti pubblici e privati, spicca la mancanza di solidarietà della Germania in Europa. Non vi è dubbio che alcuni Paesi, in particolare Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, abbiano vissuto sopra le loro possibilità nell'ultimo decennio.

Ma se la Germania ha l'ambizione di guidare l'Europa non può continuare a opporre solo dei no ai partner che, oltre ad accettare il nuovo rigore fiscale che Berlino giustamente pretende, propongono anche una uscita comune dalla crisi con una parziale mutualizzazione dei debiti e più crescita (gli eurobond garantirebbero l'una e l'altra).
C'è chi ritiene che la Germania sia un Paese perfetto, perché nello stesso tempo competitivo e virtuoso più di tutti: quindi anche nella posizione di pretendere molto dagli altri e di dettare le regole. Che ciò sia vero in parte è un dato di fatto. Ma, appunto, solo in parte.
Si consideri, ad esempio, la competitività e la sua manifestazione più evidente, cioè un forte avanzo commerciale.
Senza l'esistenza dell'Eurozona, la Germania con un proprio tasso di cambio indipendente non avrebbe mai potuto accrescere come in questi anni il suo surplus commerciale e portare la sua posizione netta sull'estero dal 4,5% del Pil del 1999 al 38,4% nel 2010. Gran parte della competitività tedesca, in altri termini, si è basata sul cambio.
La Germania non sarebbe mai diventata così forte senza l'euro e l'acquisto massiccio di prodotti tedeschi da parte dei suoi partner europei, per di più spesso e volentieri finanziati da banche tedesche con tassi per esse molto remunerativi. Secondo nostri calcoli su dati Eurostat, dal 1999 al 2011 la Germania ha accumulato con Spagna, Portogallo e Grecia un surplus commerciale complessivo di ben 301 miliardi di euro correnti. Altri 298 miliardi di surplus cumulato la Germania li ha avuti dalla Francia e "solo" 185 miliardi dall'Italia. Per inciso, la cifra più bassa dell'Italia è anche una dimostrazione implicita della maggior competitività manifatturiera del nostro Paese verso la Germania stessa, alla quale vendiamo molto e da cui importiamo soprattutto auto di lusso in virtù delle nostre elevate capacità di spesa.
Senza l'euro e il gigantesco flusso continuativo di surplus commerciali provenienti dai partner dell'Eurozona, difficilmente i tedeschi avrebbero potuto costruire quello stock di attività nette estere che oggi permette loro di guardare dall'alto verso il basso i Paesi mediterranei. La solidità finanziaria della Germania, infatti, non è data tanto dal basso debito pubblico (che in rapporto al Pil è tutt'altro che trascurabile e in rapporto al patrimonio nazionale è simile a quello italiano) ma dalla montagna di crediti che la Germania ha accumulato in anni di attivi bilaterali crescenti con i suoi partner dell'Eurozona.
In definitiva, da quando è nato l'euro la Germania ha potuto godere come economia esportatrice di uno status privilegiato non molto diverso da quello della Cina, la cui moneta è da anni "ancorata" al dollaro, nonostante l'enorme surplus commerciale di Pechino. Quello tedesco è stato un vero e proprio "dumping valutario" tra partner europei che ha straordinariamente favorito una Germania oggi però davvero poco riconoscente verso gli acquirenti dei suoi prodotti.

Un caso a dir poco unico: infatti, perlomeno la Cina ha abbondantemente reinvestito i proventi dei propri surplus commerciali in America ed in America li ha lasciati anche dopo il fallimento di Lehman Brothers. La Germania, invece, prima ha prestato soldi ai Paesi mediterranei che compravano i suoi prodotti e poi, scoppiata la crisi di Atene, ha cominciato a rimpatriare liquidità e a ridurre sistematicamente le sue posizioni. Oggi, col «flight to quality» Berlino sta addirittura aspirando dal Sud Europa denaro fino all'ultima goccia e, con i bassi tassi che la crisi europea le permette di piazzare alle aste dei Bund, finanzia ancora una volta con un approccio non propriamente solidale la propria crescita.
Non è stato un greco o uno spagnolo ma un ex ministro degli esteri tedesco, Joschka Fisher ieri sul Sole 24 Ore, a dichiarare che in questo modo la Germania rischia di distruggere per la terza volta l'Europa in un secolo.


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dana74
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ed i 4500 MILIARDI DATE ALLE BANCHE L'HA PRESI LA GERMANIA O SI USA LA GERMANIA COME PARAFULMINE PER MASCHERARE QUESTA VERITA'??


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Georgejefferson
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Le critiche alla Germania non sono critiche alla gente tedesca perche siamo razzisti,Probabilmente la maggioranza della gente comune manco sa cosa sia la deflazione salariale,tranne che accorgersi di aver avuto minor potere d'aquisto negli ultimi 10 anni (nell'aggregato,inutile che porti dati di casi singoli,te lo ha dimostrato bagnai)...le grandi banche si parano il culo a vicenda tra liti e compromessi.Come sono esposte le banche tedesche coi titoli spazzatura?Mi porti i dati?Se accettano quelle stampe di carta per salvare il sistema e'perche non possono fare a meno,anche se storgono il naso.Dana perche non porti qualche dato ogni tanto,cosi da farci un rispettoso dialogo.E non darmi dell Americano centrico perche sai che non lo sono,anzi..posto spesso critiche all'imperialismo e ti ho gia detto che ritengo tu abbia ragione quando dici che gli Americani vogliono bloccare l'egemonia tedesca per non soffocare la loro.Ma per essere (o impegnarsi ad essere)super partes bisogna sempre allargare la critica a 360 gradi.La germania protegge la sua nazione?ok ma non permette di fatto agli altri di fare altrettanto.Dimostrami il contrario,l'euro e'stato fatto apposta...meglio tedeschi che americani?no..meglio italiani non fanatici nazionalisti ma solidali cooperativi.


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yunhsuor
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La nemesi è nella convinzione che “più Europa” risolva i problemi: un argomento la cui futilità non può essere apprezzata se prima non si analizza la reale natura delle tensioni attuali.


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Razionalista
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Ok, ma non c'è nessuno che ha risposto ai punti del video...


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Georgejefferson
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E tu saresti uno razionale?
qunati slogan hai collezionato dei baci perugina?
qua un sunto dei tuoi slogan
Se ne vuoi discorrere razionalisticamente esci dagli slogan e portami dati e prove
io faro altrettanto

tutti peones anti euro
tutti complottisti
tutti qualunquisti demagogici
Massiccia svalutazione(dati?analisi scientifiche autorevoli?)
no benefici breve termine (ovvieta)
gli altri paesi ci lasciano fuori (dati?analisi scientifiche autorevoli?)
concorrenza a dir poco sleale (la germania no?USA no?/la svalutaz.e'sempre sleale?)
svalutazione a livello di zimbawe (dati?analisi scientifiche autorevoli?)
fattore stampare risolve i problemi (slogan)
imitando gli usa (altro slogan)
liretta super svalutata varrebbe come la carta (dati?analisi scientifiche autorevoli?)
l'analisi e' complicata ed al posto di argomentare lanci slogan?
pareri contrari all'euro utopisti (opinione spacciata per verita)
come comunisti e complottisti (altro slogan)
Europa troppo tempo welfare e assistenzialismo(quindi? quale e'il male? la protezione sociale o l'assistenzialismo fine a se stesso,sai la differenza?)
welfare con globalizzazione(liberamente scelta?) e'obsoleto (quale welfare?)
welfare economicamente insostenibile(quindi? quale e'il male? la protezione sociale o l'assistenzialismo fine a se stesso,sai la differenza?)
modesto parere (no comment)
tutto cio analisi oggettiva (alla faccia del razionalismo
l occidente non puo piu sostenere standar di vita(protezioni sociali o consumismo fine a se stesso?)


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