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Lo stupro della laguna e il ricatto infinito


Tao
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In questo week end 36 imbarcazioni di grandi dimensioni entreranno nel bacino di San Marco. Solo ieri 12 enormi navi da crociera sono state temporaneamente bloccate dalla manifestazione del comitato No Grandi Navi che da anni combatte contro lo scempio della laguna. Si tratta di imbarcazioni che superano di gran lunga il limite di 40.000 tonnellate di stazza lorda fissato dal decreto Passera-Clini del marzo 2012, emanato per tutelare le coste italiane dopo il disastro della Costa Concordia. Peccato che, solo per Venezia, il decreto ammetteva una proroga in attesa di una soluzione alternativa al passaggio canale della Giudecca -bacino di San Marco.

Quella soluzione non è stata ancora trovata e i passaggi delle grandi navi sono nel frattempo addirittura aumentati: il limite, che sembrava insuperabile fino a pochi mesi fa, di 10 transiti al giorno è stato oltrepassato più volte.

Così, da anni, questi mostri che imbarcano anche oltre 5000 persone fra passeggeri ed equipaggio, che arrivano alle 140.000 tonnellate di stazza lorda e che con un'altezza di oltre 60 metri danno ai passeggeri un'assurda visione dall'alto della città, continuano a stravolgere l'equilibrio fragilissimo della laguna.

Dopo anni di silenzi e di analisi ufficiali a dir poco omertose e assai poco rigorose sui danni, gravissimi, procurati dalle navi da crociera, da qualche tempo, alcune indagini finalmente indipendenti stanno svelando i dati del disastro: inquinamento pesantissimo dovuto a polveri sottili, metalli pesanti, diossine ed altri elementi cancerogeni, erosione dei fondali, danni a rive ed edifici provocati dai fenomeni di risucchio, dalle vibrazioni, inquinamento acustico (anche se ferme alla Marittima, i generatori rimangono accesi a ritmo continuo), enormi quantità di rifiuti da smaltire.

Se questi sono i danni accertati e sul lungo periodo dirompenti, i rischi connessi alle possibilità di un incidente (guasto, errata manovra) la cui probabilità aumenta esponenzialmente all'aumentare del traffico marittimo, sono incalcolabili e con conseguenze quasi certamente irreversibili.

Nonostante la scarsa reattività (per usare un eufemismo) dell'Unesco, organizzazione ormai priva di incidenza, le proteste anche internazionali per questo scempio continuo si sono a tal punto moltiplicate da indurre persino gli amministratori pubblici (da Orsoni a Zaia) fino a poco tempo fa a dir poco ambigui e possibilisti, ad affermare chiaramente che il transito delle grandi navi deve cessare da subito. E si comincia ad ammettere che il passaggio di questi mostri deve essere bloccato non solo in bacino San Marco, ma in tutta la laguna.

Per secoli la Serenissima, proprio per proteggere la prosperità della Repubblica, ha curato l'equilibrio delicatissimo di questo ambiente, provvedendo ad opere di manutenzione costanti e sottoponendo ogni cambiamento a rigorosi principii di gradualità e reversibilità. Gli stessi cui si ispirava la Legge Speciale per Venezia del 1973, poi ampliata nel 1984, ma di fatto disattesa.

Ha funzionato magnificamente per secoli: nei primi decenni del '900 è iniziata invece una manomissione costante, accelerata a dismisura dagli anni '60 in poi, dapprima nel nome di in industrialismo totalmente ignaro delle ragioni ambientali (Marghera) e, negli ultimi decenni, con pari cecità, di un turismo dei grandi numeri che ha ormai ridotto Venezia ad un parco a tema in cui le funzioni della città sono state asservite e stravolte dalle esigenze dell'industria turistica.

Le grandi navi sono il simbolo, l'elemento visivamente più fragoroso di uno stravolgimento ormai compiuto: Venezia non è più una città e le sue istituzioni sono al solo servizio di chi, in vari modi, ha interessi in questo settore: dalle grandi compagnie di navigazione, agli investitori immobiliari, alle catene alberghiere, alla distribuzione commerciale. Il finale di questa partita è purtroppo noto: questo tipo di turismo predatorio finirà per distruggere la risorsa che lo alimenta.

Ma se Venezia è forse giunta ad un punto di non ritorno, l'immagine che ci restituisce è lo specchio di ciò che sta succedendo in troppi centri storici, cominciando da Firenze e Roma. La spietata metafora di Joyce che paragonava gli italiani a quel nipote che campava offrendo la visione a pagamento della nonna defunta si sta avverando, tristemente. È l'immagine di un paese incapace di pensare al proprio patrimonio culturale e paesaggistico in termini diversi dallo sfruttamento economico immediato, incapace di una visione di ampio respiro che, in cambio di una reale sostenibilità di lungo periodo, imponga regole e limiti, e di una politica incapace di governare i fenomeni economici (non solo quelli macro) e quindi destinata ad esserne serva.

In questa partita contro la rovina, ormai giunta allo scadere di ogni tempo supplementare, non avremmo voluto sentire risuonare anche l'ignobile ricatto del lavoro: come, in maniera ancora più grave, sta succedendo a Taranto con la contrapposizione salute- lavoro, anche qui a Venezia si cerca di opporre alle ragioni della tutela del patrimonio e della difesa del territorio (e della salute, anche qui) il ricatto dei posti di lavoro messi a rischio dall'eventuale allontanamento delle grandi navi dalla laguna.

Purtroppo, anche stavolta, neanche questo ci è stato risparmiato: la politica ha forse l'ultima occasione per smascherare questo ricatto. Speriamo che lo faccia, subito. Non solo per Venezia.

Maria Pia Guermandi
Fonte: www.eddyburg.it
22.09.2013


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