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Miseria dell'europeismo


stefanodandrea
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di PAOLO DI REMIGIO (FSI di Teramo)

Mentre l’estremismo islamico dispone i suoi adepti a sfidare la morte, gli eroi del sogno europeo sfidano in questi giorni non solo i fatti, ma perfino il ridicolo. L’europeismo è la più giovane delle ideologie. Come tutte le ideologie, esso è un modo per santificare con l’aureola dell’universalità interessi particolari.

Ideologia è infatti una visione che non sa staccarsi dallo spirito fazioso, che afferma come bene un’esigenza opposta a un’altra esigenza da annullare come male. Questo bene affermato dall’ideologia è così la contraddizione di essere tutta la vera realtà e di non esserlo, ma di avere il residuo del male al di là di sé, di essere assoluto e di essere relativo. L’ideologia risolve questa contraddizione evitando di conoscere l’esigenza che smentisce la sua universalità e attribuendole a priori le idee contrarie alle proprie. Le sfugge così la risposta razionale alla contraddizione, che il bene va concepito non come innocenza prima della caduta, ma come virtù che conosce il male e la nullità del male; e le resta preclusa la filosofia, il pensiero fedele al logos eracliteo, che organizza il quadro in cui gli opposti armonizzano in una compatibilità sensata, la cui universalità non è omogeneità, ma sistema.

L’ideologia si presta a diventare un’arma nel contrasto sociale perché nega il diritto del differente. Il socialismo nega il diritto del talento particolare, il liberalismo nega il diritto dell’uguaglianza; entrambi sfuggono al compito di organizzare la compatibilità dell’uguaglianza con il talento, di far confluire l’égalité e la liberté nella fraternité. Rispetto al socialismo e al liberalismo, che hanno qualcosa di sublime in quanto l’esigenza che fanno valere con troppa esclusività è comunque elemento necessario di ogni società, l’europeismo si presenta subito come un misero aborto; gli manca infatti quella minima coerenza, vanto di ogni ideologia, con cui può acquisire parvenza di razionalità: esso si presenta da subito come la contraddizione di negare le frontiere spacciandole per un rudimento arcaico e di affermarle contro Stati sentiti come pericolosi rivali (la Cina, l’India ecc.), di essere cioè cosmopolita quando ha in mente le nazioni europee, di dimenticare il cosmopolitismo e abbracciare il nazionalismo quando ha in mente Stati extra-europei. Prima ancora che un’ideologia l’europeismo è uno stato di ebbrezza.

Essendo ideologia, il sogno europeo deve opporsi a un male, deve negare il diritto di una realtà all’esistenza: l’europeismo nega il diritto dello Stato. In questo negare conserva il sentimento di essere nel bene e di rimanere nell’universalità, perché crede di negare non una realtà prima, un bene, ma soltanto un male, una negazione. Gli Stati sono infatti totalità esclusive; come totalità essi sono negativi in quanto restringono l’indipendenza degli individui – in questa critica l’europeismo è identico al liberalismo –, come esclusivi gli Stati sono negativi in quanto sono conflittuali – qui inclina al pacifismo. Così però l’europeismo fa propri gli errori del liberalismo e del pacifismo. Come il liberalismo, trascura che l’individuo presuppone la protezione della personalità e della proprietà, che la protezione implica obbedienza nei confronti di chi protegge, che dunque la libertà in senso pregnante, anziché arbitrio nell’ambito privato, è propriamente una forma di obbedienza, l’obbedienza dell’individuo alle leggi dello Stato in quanto le riconosce giuste. Quando poi gli imputa la guerra, l’europeismo commette lo stesso errore del pacifismo: non solo dimentica che la guerra è una delle forme della violenza, soppressa la quale resta la violenza in generale che può contenere forme ancora più orribili, ma soprattutto nega alla guerra ogni valore morale uguagliando scioccamente il soldato all’assassino, cioè presuppone la guerra come il male assoluto, dimenticando che ogni collettività può garantirsi la libertà e garantirla agli individui, solo se è capace di difenderli, e che più orribile della guerra è l’asservimento; il rifiuto della guerra spinto fino al pacifismo fanatico che nega allo schiavo il diritto alla ribellione è disprezzo della dignità dell’uomo non meno del culto della violenza: se questo riduce l’uomo alla sua pura biologia, il pacifista, con una riduzione simile, subordina la libertà alla nuda vita.

Lo Stato afferma la sua sovranità, cioè la sua libertà e quella dei cittadini che ne deriva, elevando muri e difendendoli; dunque limita il diritto di entrare nel suo territorio e di uscirne. L’universalismo europeista desidera il bene e lo concepisce come estensione dei diritti; dunque esige l’abbattimento dei muri. Poiché desidera il bene, ma non lo pensa, all’europeismo sfugge che ogni diritto è un effetto dello Stato sovrano e svanisce con l’indebolirsi del potere statale, che, in altri termini, la libertà dell’individuo è annullata non soltanto dallo Stato tirannico, ma in modo ancora più profondo venir meno dello Stato; infatti un diritto non è una beneficenza privata, ma è reale solo se può essere posto il corrispondente dovere, se dunque è effettiva la legalità. Così, estendere diritti è sempre anche estensione dei doveri: l’attuazione del diritto all’immigrazione, l’attuazione del diritto del capitale a spostarsi ovunque implicano per i lavoratori il dovere di accettare nuovi concorrenti, quindi di rassegnarsi a redditi più esigui, a tempi di disoccupazione più lunghi, ad aumenti dell’imposizione fiscale per allargare l’assistenza pubblica o, peggio, al degrado delle sue prestazioni, possono in definitiva comportare la disgregazione della vita sociale. È impensabile dunque che un’estensione dei diritti possa verificarsi tramite l’indebolimento della sovranità senza provocare effetti dirompenti.

Una vecchia abitudine contratta nel loro lungo passato cattolico e ormai inconsapevole spinge i popoli dell’Europa meridionale a disprezzare la realtà etica e ad anelare al suo altro, a lasciarsi privare del bene ingannati dalla prospettiva del meglio. L’europeismo ha saputo sfruttare questa antica debolezza, così da suscitare sogni e illusione nei progressisti e nei rivoluzionari, ancor più che nei conservatori di cui serve gli interessi immediati: gli è bastato sguazzare in un vuoto sentimentalismo parolaio che ha l’impudenza di fare appello alla gioventù proprio mentre ne tradisce le prospettive e la rimanda all’elemosina dei vecchi. Ne segue il paradosso che l’europeismo è più forte proprio dove provoca più danni. Se però la sua forza poggia ormai soprattutto sull’ingenuità, allora si può sperare che si avvicini il momento del disinganno.

http://www.appelloalpopolo.it/?p=16095


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Georgejefferson
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Un coacervo di retorica che usa argomenti disconnessi l'uno dall'altro generalizzando senza ragione ne sentimento, per indurre una falsa semplicita di analisi, che semplice non e', per nulla, un classico per addescare adepti.

Questa Europa fa schifo ed e' stata tradita e occupata da interessi elitari trans nazionali di destra, ma questa sopra e' una narrazione sleale e propagandistica.

Se ho tempo prendo frase per frase, cosi da vedere se, andando nel dettaglio e caso per caso, l'impalcatura retorica resta ancora stabile agli occhi degli ingenui e riesce ancora a nascondere l'ideologia, cosa che l'articolante si ammanta di criticare fuori dal suo discorso.


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Georgejefferson
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Chi sfida il ridicolo, sono gli opportunisti di "questa" Europa tradita e stuprata, non "gli eroi" cosi, generico, in modo da mettere in un unico calderone chiunque non la pensi come l'articolante.

Ricordo all'articolante, che ogni tentativo storico in buona fede e giusto, di cercare la cooperazione umana (fraterna) e' stato fuorviato, infiltrato, e usato spesso strumentalmente da stupidi opportunisti o da criminali fanatici. E i critici che cavalcano (ora come allora) queste dinamiche si sono sempre distinti nell'accusa generica di "ideologia per santificare con l’aureola dell’universalità interessi particolari", ogni intento sano e costruttivo.

A meno che credere, fedelmente, che ogni tentativo, movimento e costruzione storica sia sempre stata in assoluto in malafede perche la cooperazione umana la danno per "impossibile".
Un classico della narrazione della destra. E allora basta rivelare sinceramente questo credo, senza giri di parole retoricamente usate per nasconderlo.

Perche se cosi e' il credo (che ogni tentativo in quel senso e' sempre e sempre sarà malafede), non si capisce allora perche dovrebbe essere il contrario (in buona fede) l'intendere degli alfieri dell'interesse nazionale, a cui bisognerebbe obbedire ciecamente.

Non si capisce perchè l'intendere "interesse nazionale" sarebbe capace di "staccarsi dallo spirito fazioso", cosa che critica agli altri, quando invece e' al Top della faziosità, perche nonostante si pone l'accento, che non e' proprio vero che storicamente i fautori di questa narrazione abbiano agito bene, nonostante cerchassero in tutti i modi di indurre a credere che "la nazione" sia cosa coesa ed omogenea, essi continuano a propagandarla come soluzione, senza precisare per bene come si intende agire.

Il bene come virtù che conosce il male e la nullità del male, va bene, e allora vediamo bene caso per caso. L'ideologia che nega il diritto del differente e' una bambinata qualunquista, differente in quale ambiti? E' il totalitarismo che "nega", e perche "ideologia".

C'e' la ragione, il sentimento e il giudizio dettato dalla riflessione su quei presupposti. Dichiarare che esistono uguaglianze nel diritto su parziali fattori importanti non significa "negare il differente" perche il differente e' si differente riguardo ad alcuni fattori (spesso storici, culturali, divenuti tali) ma anche "uguale" verso altri, la potenziale benevolenza non ingenua, il sentimento di inclusione e giustizia, di pari opportunità, di mobilità sociale, "uguali" nel gioire, nel soffrire, nell'amare ecc..ecc..

Allora "negare il differente" e' uno slogan che può voler dire tutto o niente senza precisazioni.

Il socialismo che nega il diritto del talento particolare e' un'altro slogan per bambini.
Quale talento particolare? Tutti i talenti? E quale gli scopi?

Semmai la critica (non "negazione"...parola usata come artificio semantico per indurre al "cattivo")...sta nel considerare un talento come merito "in sè" a priori, a prescindere dall'impegno del suo sviluppo per il bene sia di se stessi, ma anche per l'altro da sè. Altrimenti diventa sfruttare una "fortuna" di nascita, in forma esageratamente egoista ed escludente. Senza contare che i parametri di giudizio riguardo a quali ambiti o meno siano valevoli dello status di "talento", spesso e volentieri sono decisi senza appello da privilegiati ed oppressori che stabiliscono da sè cosa sia "degno" .

Allora può succedere che una persona stupida, egoista, sfruttatrice ed avida, ma che sa bene dove girare la chiave inglese nella costruzione di una macchinina aquisisca lo status di "migliore" di un'altra che non e' talentuosa in quella "tecnica" ma e' molto umana nei rapporti con gli altri considerandoli con dignità, rispettosa, volonterosa, che si motiva da sè e applica impegno in altri contesti.

Non e' cosi semplice la realtà, gli slogan vanno bene oggi purtroppo, come forma di difesa verso altri slogan che inducono ingiustizia, e perchè instupidiscono le persone ed elevano l'ignoranza a valore (per poi lamentarsi che le persone sarebbero ignoranti per "natura") e non resta niente altro che lo slogan, ma in un dialogo serio andrebbero ben precisate le cose, non cosi, generiche.

All'articolante sfugge che
"il compito di organizzare la compatibilità dell’uguaglianza con il talento, di far confluire l’égalité e la liberté nella fraternité"
e' appunto il problema che ha portato alla degenerazione di questa Europa, ed e' appunto un piccolissimo particolare, una cosa da poco (in senso ironico ovviamente) che e' appunto uno dei cardini da sciogliere che la destra (locale e internazionale) non ha mai voluto sciogliere, e mai lo vorrà per statuto ideologico.

Appena ho tempo vedo di continuare.


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Servus
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Ottima analisi della base disastrosa di questa Europa da buttare alle ortiche.

"l’europeismo si presenta subito come un misero aborto" 8)


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spadaccinonero
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gj

con tutto il bene che ti voglio ma...

(cito)

"interessi elitari trans nazionali di destra"

mi dici questa da dove sei andato a prenderla?

😆 😆 😆


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Jor-el
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Il socialismo non nega il talento particolare. Nega, se mai, che i depositari di un particolare talento (gli imprenditori) debbano per forza detenere anche il potere politico.


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stefanodandrea
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Davati ad analoghe obiezioni, in altro luogo della rete, l'autore ha risposto a un commentatore che aveva osservato: "Magari prendo un granchio ma io avevo inteso e intendo che l'espressione: " nega il diritto al talento" non sia riferita ai talenti assoluti, tipo sportivi, scienziati, artisti ... che diventano "di regime"...anzi proprio funzionali al regime...
I regimi comunisti (un poco tutti i regimi) osteggiano e impediscono moltissimi talenti a tutti i livelli.
Dal ristoratore al sarto, dal bottegaio all'artista di strada, dall'insegnante al dirigente statale....fino alcontadino...in tutti gli impieghi esistenti.
Le socialdemocrazie sono il punto più alto di incontro tra le istanze liberali e quelle socialiste. Credo siano la base per sognare, disegnare e provare a realizzare una società sempre migliore, più giusta e più solidale"

L'autore ha convenuto e precisato: " Ha ragione ............: la mia espressione voleva avere un significato del tutto generale. Il socialismo è l'ideologia dell'uguglianza, il liberalismo l'ideologia della differenza. Il socialismo come progetto politico consapevole nasce con Gracco Babeuf; egli nota che l'uguaglianza giuridica garantita dal liberalismo e l'uguaglianza politica offerta dai giacobini accrescono la disuguaglianza reale tra gli individui, anziché avviarli all'uguaglianza; questa può essere raggiunta solo attraverso l'abolizione della proprietà privata e la gestione statale della sfera economica. Viceversa, il liberalismo vuole difendere l'individuo dapprima dal sistema feudale e dal suo sistema di privilegi legati alla nascita, poi dallo Stato democratico e dalla sua redistribuzione universalistica delle risorse, in modo che esso consegua il successo proporzionale alle sue capacità (questo intendevo con 'talento'); il principio liberale anima la cosiddetta microeconomia, per la quale il meccanismo di mercato fa percepire a ogni attore del processo economico un reddito proporzionale al suo contributo produttivo: così essa giustifica che il CEO abbia un reddito centinaia di volte superiore a quello di un impiegato e che la ricchezza emigri dal 99% all1%."


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Georgejefferson
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Quello che e' criticabile nella narrazione che valorizza il talento, e' in primo luogo come denuncia di una farsa, quella del merito come principio naturale, spesso reclamato, che e' una posizione ideale in parte condivisibile quando non assolutizzata, ma che spesso viene fatta intendere come reale, presente sempre in ogni tempo e luogo.

Il potere dominante, e non solo in Italia, a bisogno di una piccola parte di reale mobilità sociale, per far credere a livello collettivo che essa può avvenire oggi e nel passato, indipendentemente dai rapporti di forza, come appunto "naturale", spontanea, ed ogni suo apologeta (della mobilita sociale come scontata e valorizzazione del merito come "esistente" allo stato di cose presente) troverà facilmente aneddoti di chi "ce l'ha fatta" a rinforzo dei suoi convincimenti.

Ma non e' la realta', se non in piccola parte. La realta e' fatta di conflitto, purtroppo, di volonta' di potenza (siamo ancora nella fase infantile umana) atte a stabilire gerarchie a priori, e spesso "il premio" nel merito e' riconosciuto in parte solo se la persona in questione se ne sta buono, pensa solo ai suoi interessi materiali, e da bravo scolaro non pone mai critica nella accumulazione storica di capitali, e poi al "cosa produrre", che e' una componente importantissima.

Produrre scuole (strutture e maestri) ospedali (strutture medici e infermieri) strade, cura del territorio, restauro, educazione civile ecc..

non e' uguale dal produrre svaghi edonistici usa e getta inquinanti ...o armamenti oltre la ordinaria vigilanza e altro..
(Ps. fa sorridere la sempre verde scusa della "difesa", scusa ultra millenaria che ha quasi sempre giustificato falsamente gli imperialismi e le volontà guerrafondaie e sfruttamento economico di altri paesi, contro i "cattivi" pacifisti).

Allora si può fingere di vivere in un mondo ideale fatto di illusione ma spesso la verità e' che dietro alla retorica del merito, ci sta un mondo crudele e barbaro che pone ogni persona in estrema competizione, fingendo che tutti abbiamo le stesse basi di partenza, di censo, di talento, e alimenta senso comune di stigma e denigrazione verso chi non ce la fa, di chi avrebbe altri talenti ma che non vengono valorizzati, specie perchè i parametri di giudizio li decidono in pochissimi circondati da una casta accademica e mediatica servile (non tutta, ma in maggioranza).
Basta prendere i lazzaroni opportunisti, che sempre ci sono e farci dietro tutta una narrazione sul merito che descrive una realtà, che non esiste.

Mi si dirà, bisogna costruire l'ideale e renderlo reale.
Giusto, da sinistra non posso che auspicarlo, ma non e' con un tratto di penna che si può combattere facilmente millenarie culture indotte ,ed oggi di senso comune, autoritarie e del privilegio, che a cascata vengono imitate dall'alto al basso e introiettate come fatti naturali, dove naturali, non lo sono per nulla.


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Georgejefferson
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...
Le socialdemocrazie sono il punto più alto di incontro tra le istanze liberali e quelle socialiste. Credo siano la base per sognare, disegnare e provare a realizzare una società sempre migliore, più giusta e più solidale"...

Questo lo condivido abbastanza, ma a parte che c'e' un perchè (le socialdemocrazie hanno potuto ecc... per ragioni storiche da approfondire) se non si riflette un po sui temi della filosofia del linguaggio, e su come il linguaggio viene strumentalizzato ed infiltrato, si produce fraintendimento e semplificazioni fuorvianti.


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