Ogni tanto ci ripro...
 
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Ogni tanto ci riprovo....

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Simulacres
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Ma non ho capito, allora sarà stata buona la prima? (cioè sara la prima versione quella vera?)

E come facciamo a sapere se non sia stata ritoccata? Magari era un grande saggio, come tutti i veri saggi di tutti i tempi, sorretto da una assennatezza sempre oculata con discernimento, onestà ed equilibrio intellettuale e spirituale.

Ma come saperlo se qua ritoccano un sacco di libri?

se è a me che ti riferisci, allora copio e incollo (con tanti saluti anche da quel rosicatore di Schopenhauer) "Io non ho scritto per gli imbecilli, per questo il mio pubblico è ristretto"


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Georgejefferson
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Mettere al mondo dei figli è una cosa seria.

Concordo.

http://www.treccani.it/enciclopedia/colonialismo/

http://www.treccani.it/enciclopedia/imperialismo/

colonialismo In età moderna e contemporanea, l'occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi. Per molti versi la storia del colonialismo può essere fatta iniziare con la scoperta dell'America da parte di C. Colombo (1492).
1. Principi del colonialismo
Le direttive attraverso cui le singole potenze attuarono l’occupazione e lo sfruttamento territoriale ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi sono state diverse nel corso dei secoli e nei confronti dei vari territori. Sino alla metà del 19° sec. è nettamente prevalsa la concezione secondo la quale il possesso delle colonie doveva servire solo all’interesse economico e politico della madre patria. Successivamente, anche sulla base d’impegni internazionali (primo di essi l’Atto generale della Conferenza di Berlino del 1885) sono stati riconosciuti e considerati, almeno nella teoria, i diritti delle popolazioni locali. Da allora, in generale gli orientamenti della politica coloniale possono essere classificati in tre modi: assoggettamento, inteso come ‘dispotismo illuminato’ o paternalistico; assimilazione, tendenza a parificare le colonie e i suoi abitanti con la metropoli e i suoi cittadini; autonomia, sistema che, limitando l’ingerenza delle autorità coloniali nella struttura sociale della popolazione locale, mirava a preparare la progressiva assunzione da parte degli elementi locali di responsabilità amministrative e politiche sino al conseguimento della completa indipendenza.

Il problema della giustificazione morale e politica dell’espansione coloniale europea negli altri continenti ha accompagnato, senza trovare una definizione univoca e unanime, le vicende del fenomeno fin dal suo inizio (15° sec.). I teorici dell’espansione coloniale hanno sostenuto a lungo il tema del compito degli Europei di recare la civiltà agli altri popoli, ma non sono mancate, specialmente a partire dal 18° sec., posizioni critiche nei riguardi dell’attività coloniale, basata sull’esclusivo interesse allo sfruttamento economico dei possessi.

1.1 Storia della colonizzazione europea
L’intento di trovare una via marittima diretta verso l’Asia meridionale (le Indie) da un lato condusse i Portoghesi a circumnavigare l’Africa (1487) e a raggiungere la costa occidentale dell’India (1498), dall’altro portò Colombo alla scoperta, in nome dei sovrani di Spagna, di un nuovo continente (1492); ebbero così inizio i due grandi imperi coloniali del 16° sec., il portoghese a E, lo spagnolo a O della linea (raya) fissata nel mezzo dell’Atlantico da Alessandro VI (1493) e dal trattato di Tordesillas (1494). L’impero portoghese, con centro a Goa, consisté di una serie di basi costiere in Africa, nell’India e nell’Insulindia, sino alle Molucche (1511), con carattere commerciale o con valore strategico o semplicemente per la sosta e il rifornimento delle navi. La Spagna, invece, attraverso l’opera dei conquistadores, abili e risoluti capitani, pose sotto la propria effettiva sovranità, fra il 16° e il 18° sec., tutta l’attuale America latina continentale (escluso il Brasile, occupato dai Portoghesi a partire dal 1500-1501, e altre piccole zone), instaurandovi un ordinamento fondiario di tipo feudale e un regime commerciale rigidamente monopolistico.

Furono gli Inglesi e gli Olandesi a infrangere per primi l’esclusività dell’espansione ispano-portoghese: nella seconda metà del 16° sec. armatori inglesi avviarono spedizioni commerciali in diverse direzioni (Africa occidentale ecc.), mentre i corsari effettuavano imprese ai danni delle navi e degli stessi possedimenti spagnoli. Per gli Olandesi l’attacco dei possedimenti coloniali e le minacce ai traffici mercantili della Spagna furono anzitutto un aspetto della lotta per l’indipendenza nazionale. Alle singole e spesso individuali iniziative si sostituì ben presto da parte inglese e olandese l’attività di Compagnie coloniali che agivano in base a concessioni, da parte dei rispettivi governi, di privilegi monopolistici relativi a determinate zone geografiche: Compagnia inglese delle Indie orientali (1600); Compagnia unita (olandese) delle Indie orientali (1602); Compagnia olandese delle Indie occidentali (1617). Nel giro di alcuni decenni gli Olandesi subentrarono ai Portoghesi in molte basi commerciali in Africa e in Asia, specialmente a Giava e nelle Molucche, mentre iniziarono la fondazione di c. anche in diverse zone del continente americano. L’espansione coloniale britannica, sviluppatasi più decisamente dagl’inizi del 17° sec., in alcune zone ebbe un prevalente carattere commerciale e di sfruttamento agricolo, mentre altrove fu promossa dall’emigrazione di comunità (Puritani) desiderose di libertà politiche e religiose.

Dagli inizi del 17° sec. anche la Francia si rivolse con crescente vigore all’espansione oltremarina: colonizzò il Canada con una direttrice d’espansione verso i Grandi Laghi, lungo il corso del Mississippi e sino al golfo del Messico; iniziò lo sfruttamento agricolo nell’America Centrale e Meridionale, fondò basi commerciali nel Senegal e nell’India. Nella seconda metà dello stesso 17° sec. l’Inghilterra accentuava la propria prevalenza in campo coloniale ai danni della Spagna, del Portogallo, dell’Olanda. Nel corso del 18° sec. il contrasto franco-britannico si concluse, dopo alterne vicende, con il completo predominio dell’Inghilterra, che nel 1713 acquistò l’Acadia (Nuova Scozia) e gli stabilimenti della baia di Hudson e nel 1763, a conclusione della guerra dei Sette Anni, ottenne il Canada e altri possedimenti nell’America Settentrionale e in Africa, mentre falliva il tentativo francese di prevalere in India. La pace di Versailles (1783) sancì il distacco delle colonie nordamericane dall’Inghilterra e riequilibrò in parte a favore della Francia l’assetto delle rispettive posizioni coloniali.

Al termine delle guerre napoleoniche restava alla Francia soltanto una serie di possedimenti coloniali di ristretta superficie e di scarsa importanza, mentre la Gran Bretagna estendeva la propria espansione, fra l’altro subentrando agli Olandesi nella colonia del Capo, a Ceylon, in alcune zone dell’Insulindia, in parte della Guiana. Nei primi decenni del 19° sec. (mentre con l’indipendenza delle colonie spagnole d’America e del Brasile si concludeva il processo di decadenza degli imperi coloniali spagnolo e portoghese), la Francia iniziò la lunga e cruenta conquista dell’Algeria (1830) e la Gran Bretagna estese i propri possedimenti coloniali in alcune regioni dell’Africa (specialmente nella zona australe) e soprattutto dell’Asia, intraprendendo altresì la colonizzazione dell’Australia e della Nuova Zelanda. Intorno alla metà del secolo la competizione delle potenze coloniali si rivolse anche verso l’Oceania, ma s’interessò soprattutto all’Asia, alla ricerca di posizioni e di sbocchi commerciali: con la guerra dell’oppio (1840-42), iniziò la contrastata penetrazione europea in Cina, mentre il Giappone era costretto, un decennio più tardi, ad aprire i propri porti al commercio internazionale. All’Asia centrale si volsero anche le mire della Russia, che già nel corso dei secoli 17° e 18° aveva assunto il controllo di tutta la regione siberiana sino all’Oceano Pacifico.

Dalla seconda metà del 19° sec. il moto dell’espansione europea si accelerò: l’Inghilterra completò la conquista dell’India (della quale nel 1858 il governo assunse la responsabilità diretta sciogliendo la Compagnia delle Indie) e iniziò l’occupazione della Birmania; la Francia conquistò l’interno del Senegal e la Cocincina e affermò il protettorato sulla Cambogia. Do
po il 1870 si accentuò l’interesse francese per le conquiste d’oltremare (nell’Asia sud-orientale si costituì l’Indocina Francese), mentre l’Inghilterra impose il protettorato agli Stati malesi e completò la conquista della Birmania, e l’Olanda procedette all’occupazione effettiva del suo impero indonesiano. In conseguenza della cosiddetta guerra dei Boxers (1898-1900) l’ingerenza europea in Cina si consolidò e si estese.

Le iniziative francesi, l’apertura del canale di Suez (1869), l’attività di numerosi esploratori che penetrarono nell’interno sino allora sconosciuto dell’Africa, richiamarono su quel continente l’attenzione delle potenze europee che fra il 1880 e il 1885 avviarono la spartizione del continente (cosiddetta ‘zuffa per l’Africa’). La Francia (che dal 1881 aveva il protettorato sulla Tunisia) si assicurò la maggiore estensione territoriale nell’Africa occidentale ed equatoriale, mentre l’Inghilterra pose sotto il proprio controllo l’Egitto (1882) e con esso la nuova via marittima verso l’India, e si assicurò la preminenza nell’Africa australe e orientale. Alla ‘zuffa’ concorsero anche Stati europei rimasti sino allora estranei all’espansione oltremarina: l’Italia, che nel 1882 con l’acquisto di Assab iniziò la propria affermazione nell’Africa Orientale; la Germania, che fra il 1884 e il 1885 stabilì propri diritti in diverse zone del continente; il Belgio, che nel 1908 ereditò il vasto Congo, costituito in Stato indipendente fra il 1876 e il 1885 per iniziativa del sovrano Leopoldo II. Anche il Portogallo, partendo dalle posizioni possedute e rivendicando diritti storici, estese il proprio dominio africano (Angola, Mozambico ecc.), e altrettanto fece la Spagna ma in territori di molto minore estensione e valore.

Tra la fine del 19° e gli inizi del 20° sec. realizzarono aspirazioni espansionistiche due potenze non europee: il Giappone con le guerre cino-giapponese (1894-95) e russo-giapponese (1904-05) ottenne Formosa, la metà dell’isola Sachalin, il protettorato sulla Corea, la penisola del Liao-Tung, basi per ulteriori affermazioni nel corso e in seguito alla Prima guerra mondiale; gli Stati Uniti subentrarono nel 1898 alla Spagna nel possesso di Portorico, controllarono Cuba, formalmente indipendente, acquistarono le Filippine e alcune isole nel Pacifico.

Agli inizi del 20° sec., negli anni 1911-12, l’Italia intraprese la conquista delle due province ottomane di Tripolitania e di Cirenaica e la Francia nel 1912 stabilì il protettorato sul Marocco lasciandone alla Spagna una piccola porzione settentrionale (v. fig.). In seguito alla Prima guerra mondiale alcune province dell’Impero turco e tutte le colonie tedesche furono assegnate come mandato della Società delle Nazioni all’Inghilterra (o a membri dell’Impero britannico) e alla Francia, i cui possessi conseguirono un’ulteriore rilevante estensione, nonché al Belgio e al Giappone; l’Italia ottenne alcuni compensi coloniali e più tardi, con l’occupazione dell’Etiopia (1935-36), segnò l’ultima espansione coloniale in Africa. Ma già dopo la fine del primo conflitto mondiale erano apparsi i primi segni di crisi del sistema coloniale, rapidamente evolutosi e quasi completamente dissoltosi dopo la Seconda guerra mondiale (? decolonizzazione).

2. Il colonialismo linguistico

Per colonialismo linguistico si intende la situazione linguistica che si veniva a determinare in un paese colonizzato per il fatto che la lingua usata nell’amministrazione (costituita in prevalenza da funzionari metropolitani) era quella della potenza colonizzatrice, sconosciuta alla quasi totalità della popolazione. La lingua straniera diveniva quella di maggior prestigio nel paese, quella che si aveva più interesse a parlare, quella da cui si attingevano parole o che si imitava anche nell’esercizio della lingua nativa. Con il raggiungimento dell’indipendenza da parte dei paesi colonizzati si presentò la scelta tra l’adozione di una lingua locale come lingua ufficiale oppure la conferma, in questa funzione, della lingua dei colonizzatori. Per questa alternativa si parla di neocolonialismo linguistico.

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imperialismo Politica di potenza e di supremazia di uno Stato tesa a creare una situazione di predominio, diretto o indiretto, su altre nazioni, mediante conquista militare, annessione territoriale, sfruttamento economico o egemonia politica. Dal punto di vista dottrinale l’imperialismo poggia sull’idea che i popoli più forti abbiano il diritto di imporsi su quelli più deboli.
1. Nell’età antica

La ricerca sull’i. in età antica è approdata sia al riconoscimento della prevalenza di ragioni di natura economica nel processo di formazione degli imperi sia alla negazione parziale o totale di quelle motivazioni. La discussione si è indirizzata maggiormente verso l’analisi del processo nella storia di quegli Stati per i quali si disponeva di una documentazione esauriente delle forme di predominio o sfruttamento di volta in volta realizzate, e di una tradizione storiografica interessata ai temi politici, etici ed economici connessi con la creazione di un impero. L’analisi tucididea delle forme dell’i. ateniese e l’eco delle proteste degli alleati sfruttati, l’indagine di Polibio sui tempi e sulle cause dell’espansione romana tra la fine del 3° e la prima metà del 2° sec. a.C., la giustificazione dell’impero nella letteratura e storiografia romane, e nello stoicismo greco ‘di mezzo’ (che, da Panezio a Posidonio, offre ai Romani una teoria dell’impero, esaltandone i benefici), e per converso le numerose testimonianze della resistenza a Roma in età ellenistico-romana, le critiche all’impero romano presenti nella tradizione cristiana, costituiscono la base su cui si è impostata la moderna ricerca sull’i. antico. La natura economica dell’i. antico è apparsa ovvia a chi considera l’appropriazione violenta dell’altrui come l’unica forma di ‘progresso’ economico nota alle società arcaiche; d’altro lato, l’inesistenza di una grande industria esportatrice paragonabile a quella moderna costituisce un limite di ogni affermazione relativa all’i. economico nell’antichità. Per Atene, si è posto il problema se il suo impianto economico e il suo i. rispondano a esigenze più ampie di quella di procurare al popolo ateniese i mezzi elementari di sussistenza. Per Roma, la discussione si è sviluppata soprattutto in relazione alla conquista dell’Oriente greco, dando origine a tesi contrastanti: quella di un’espansione programmata dal senato già dalla metà del 3° sec. a.C. e quella del cosiddetto ‘i. difensivo’; e di volta in volta si è messa in rilievo l’esistenza di un ceto militare desideroso di conquiste, o quella di un ceto mercantile influente già alla fine del 4° sec. a.C.; la responsabilità di cavalieri e pubblicani o la pressione delle masse popolari. Problemi analoghi si pongono per la valutazione della politica estera di altri Stati, come l’Egitto tolemaico, ispirata, secondo i diversi autori, a fini mercantili o di conquista preventiva.

2. In età contemporanea

2.1 Origini e caratteri generali del concetto
Il termine i., inizialmente usato quasi sempre con valore polemico, fece la sua prima comparsa a metà Ottocento, quando fu adoperato in Gran Bretagna per caratterizzare il Secondo Impero di Napoleone III. Successivamente i liberali britannici lo ripresero in senso dispregiativo contro l’atteggiamento aggressivo di B. Disraeli nelle questioni coloniali e internazionali. Il termine ebbe anche, per un breve periodo, un significato positivo: C. Rhodes, ma anche liberali come A. Asquith e sir E. Grey si autoproclamarono orgogliosamente ‘imperialisti’ per indicare la loro fiducia nell’Impero britannico e in una energica politica estera. J. Chamberlain (Foreign and colonial speeches, 1897) prospettò la necessità economica e politica e i va
ntaggi sociali del potenziamento dell’impero.

Nell’ultimo decennio del secolo il termine venne nuovamente screditato da varie direzioni. Quanti in Gran Bretagna avversavano il rapido sviluppo del colonialismo europeo cominciarono a ricollegare con forza l’i. agli egoistici interessi economici e alle mire oltremare dei capitalisti britannici ed europei. La diffusione generalizzata del termine i. venne a coincidere con lo sviluppo senza precedenti delle colonie europee tra il 1870 e il 1914, e poté essere associato in modo particolare al colonialismo proprio perché in quel periodo questo era in forte espansione. Dopo la Seconda guerra mondiale il termine i. è rimasto vivo nella polemica ideologica e politica per definire la politica delle due superpotenze (USA e URSS) nelle rispettive zone di influenza e per indicare genericamente e con significato polemico i rapporti tra i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo (neoimperialismo). Attualmente è utilizzato in senso molto più generale, anche in relazione a tutti i periodi della storia umana; in particolare esso è usato in due forme del tutto diverse, la prima per descrivere una situazione specifica, la seconda per delineare le dinamiche del processo storico attraverso cui un impero si è costituito.

Sul piano storiografico è invalsa la definizione di «età dell’i.» per il periodo che precede la Prima guerra mondiale e in essa trova il suo sbocco. Non altrettanto concordi sono gli storici sul momento iniziale dell’età dell’i.: gli autori che insistono sulle cause economiche del fenomeno tendono a fissarlo intorno al 1870; quanti invece rilevano l’importanza di altri fattori concomitanti ne pongono le origini nel decennio fra il 1880 e il 1890.

2.2 Le interpretazione dell’imperialismo
Fra tutte le interpretazioni del moderno i., quella basata sui fattori economici ha avuto il maggior successo. Nel 1902 J.A. Hobson sviluppò questo concetto nel suo Imperialism. A study, poi rielaborato da socialisti come O. Bauer (1907), R. Hilferding (1910), R. Luxemburg (1913), K. Kautsky (1915), per i quali l’i. è una fase inevitabile nello sviluppo del capitalismo, che si apre quando il capitale eccedente, vedendo diminuire il reddito all’interno, si indirizza verso nuovi campi di investimento all’estero. Il maggiore teorico marxista dell’i. è stato N. Lenin (L’imperialismo fase suprema del capitalismo, 1916).

Il più noto esponente dell’interpretazione sociopolitica dell’i. è stato J.A. Schumpeter, che ha sostenuto che alcuni tipi di sistemi sociopolitici sono imperialisti per natura, poiché essi perderebbero la loro ragione d’essere qualora agissero in modo diverso. Più precisamente l’i. è una caratteristica delle monarchie assolute e delle aristocrazie militariste, in quanto per le une come per le altre prestigio, ricchezza e potenza derivano da continue guerre e conquiste. Perciò l’i. sarebbe scomparso solo se la democrazia egualitaria si fosse sostituita ovunque all’irriducibile militarismo delle monarchie e delle aristocrazie.

Una terza interpretazione considera l’i. come il prodotto del moderno Stato nazionale, frutto di un nazionalismo potenzialmente aggressivo. La spinta nazionalistica, inizialmente quasi sempre a carattere liberale e anti-imperialistico, protraendosi nel periodo meno eroico successivo all’unificazione, specie quando risulta chiaro che i vantaggi conseguiti sono scarsi, cambia direzione e diventa i., sviluppando ambizioni espansionistiche.

L’interpretazione del moderno i. come risposta delle grandi potenze all’instabilità e debolezza delle periferie è frutto di studi più dettagliati su regioni e situazioni particolari, per cui ciò che a prima vista può apparire semplicemente una spinta verso l’esterno è spesso una risposta ai problemi delle periferie. Il più comune di questi problemi è quello che spesso è stato indicato come ‘destabilizzazione’ di un paese meno sviluppato; nell’ultima parte del 19° sec., probabilmente, la destabilizzazione era stata la conseguenza dei primi stretti contatti tra società indigene e commercianti occidentali, missionari ecc.; sul finire del 20° sec. essa veniva a dipendere dall’instabilità interna e dall’aggressività verso l’esterno dei deboli Stati ex coloniali. Le grandi potenze, che hanno sia una vasta gamma di interessi particolari in queste regioni sia un interesse generale per la stabilità internazionale, se intervengono possono trovarsi invischiate nelle situazioni locali al punto da non poterne più uscire senza aggravare la situazione di crisi. Per di più l’intervento può far sorgere un desiderio di interferenza e di controllo. Qualora ciò si verifichi il controllo è esercitato direttamente nella forma dell’occupazione materiale, o indirettamente per mezzo di ‘residenti’ o ‘consiglieri tecnici’. La conclusione è che l’i. può essere la conseguenza sia di avvenimenti che si verificano nella periferia sia di un’iniziativa che parte dal centro. Per quanto forte sia la spinta verso l’esterno dell’i. occidentale, e qualunque forma esso possa assumere, ci sono quasi sempre due attori nell’instaurarsi di un rapporto imperialistico, che è perciò una dinamica tra due poli. Inoltre, per mantenere una qualunque forma di dominio, lo Stato imperialista deve avere ‘collaboratori’ indigeni, senza i quali la dominazione diverrebbe insostenibile.


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Georgejefferson
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
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se è a me che ti riferisci, allora copio e incollo (con tanti saluti anche da quel rosicatore di Schopenhauer) "Io non ho scritto per gli imbecilli, per questo il mio pubblico è ristretto"

Peccato, pensavo che sapessi delle falsificazioni, giri dell' oca ecc...


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reio
 reio
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p.s. scusami George, te l'ha mai detto nessuno che sei diventato pesante, monotono, ossessivo e anche un pò provocatore?

gli piace così


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Georgejefferson
Famed Member
Registrato: 2 anni fa
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A parte l'interesse sulla mia persona,

Puo darsi che malthus avesse sempre scritto in favore di una maggiore cultura, responsabilita, e auspicio alla cooperazione tra i paesi arricchiti e quelli meno (per sensibilizzare i paesi arricchiti materialmente alla costruzione di basi del benessere minimo nel resto del mondo per sviluppare responsabilita ecc..)

E tutto il resto fossero menzogne e falsificazioni, compreso i neologismi "freno positivonegativo" e proposte di aumentare il peso di guerre, carestie e malattie.
Un classico dei saccheggiatori che indirizzano verso un capro espiatorio.


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