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Periferizzazione meridionale


Rosanna
Famed Member
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Periferizzazione meridionale

di Antonio Aventaggiato

Dove va il Mezzogiorno? In molti si pongono la domanda, dopo un secolo e mezzo di "questione meridionale". Tante sono le risposte, la maggior parte delle quali errate. Esso imbocca sempre più processi di emarginazione.

Non vale la pena di mettersi a cercare soluzioni alternative, interpretazioni che nascondano la realtà delle cose: quando si parla di Mezzogiorno, del Mezzogiorno attuale, i dati parlano chiaro. La recente recessione negativa, nonostante le catastrofiche orazioni di leghisti vari, ha avuto un ruolo molto più deleterio al Sud che al Nord. Se nelle regioni settentrionali si avviano processi di ristrutturazione, nel Meridione niente altro c’è che stagnazione e declino.

E’, infatti, difficile pensare in maniera positiva alla realtà meridionale; è difficile, nel quadro generale, nel contesto di decadenza che emerge chiaramente, anche dare retta a coloro i quali cercano di offrire spunti dai quali ripartire: come se il turismo o l’olio d’oliva possano mettere in moto processi socio-economici di una certa validità. Ma non sono soltanto fenomeni di vero e proprio immiserimento ad incombere. La periferizzazione, l’emarginazione delle realtà meridionali emerge nettamente quando, analizzando il flusso commerciale nel Mediterraneo, si scopre che i porti delle regioni del Sud partecipano in maniera sempre minore a questi circuiti di scambio; i processi di fondo del sottosviluppo vengono alla luce, senza se e senza ma, quando si scopre che le università meridionali arretrano sempre di più, soprattutto per via del sotto-finanziamento.

E’ il contesto europeo, quello nel quale va inserita la situazione meridionale: e sono ben poche, ma nette, le considerazioni che a riguardo si possono fare.

Una su tutte: nessuna ipotesi di riformabilità della condizione di sottosviluppo e di subordinazione è possibile, per il Mezzogiorno, all’interno di questa Unione Europea. Il capitale, a livello continentale, si polarizza sempre maggiormente nelle regioni centro-settentrionali: per le periferie mediterranee, non è possibile altro che l’aumento della gravità dei processi di marginalizzazione socio-economica. Ed è utile chiarire in cosa consistono questi fenomeni, che troppo spesso restano vaghi nell’immaginazione, e non trovano una forma ben definita nell’opinione popolare. Dal 2008 in poi, il Mezzogiorno si è letteralmente, totalmente e strutturalmente deindustrializzato: quelle poche attività del secondario sono andate in rovina, incapaci di essere concorrenziali sui mercati.

L’agricoltura meridionale mostra segni di sempre maggiore debolezza, nonostante da più parti si tenti di mostrare, in questo settore, una delle poche vie per la rinascita: i prezzi dei prodotti agricoli meridionali decrescono sempre di più, la concorrenza al ribasso è sempre più forte. Il Mezzogiorno, senza i finanziamenti statali (stipendi della pubblica amministrazione, eccetera) somiglierebbe molto di più ad un Paese del Terzo mondo, che ad uno della Comunità Europea.

Regioni, dalla Campania alla Sicilia, che tendono sempre di più ad una subordinazione politica ed economica strutturale: i tentativi di puntare sul settore turistico mettono in mostra come il Sud Italia stia diventando una perfetta piscina per i desideri sfrenati dei viaggiatori internazionali, alla ricerca di etnicità e di svaghi mondani; l’incapacità di reagire allo sfruttamento portato avanti dalle grandi società petrolifere (in Basilicata, come, prossimamente, in Puglia) si rende evidente, ed aggrava la situazione ancor di più. E intanto l’emigrazione è ripresa, con le caratteristiche degne dell’epoca: a partire è il capitale umano, e la stagnazione, così, non è più soltanto economica e produttiva, ma soprattutto sociale.

Può sembrare un discorso confuso, quello fin ora affrontato; possono sembrare dati che, uno accanto all’altro, possono creare una certa soggezione al lettore. Ma è l’unica descrizione possibile della realtà, l’unica descrizione che dimostri chiaramente quali siano i processi di sviluppo (e di sottosviluppo) verso cui le regioni del Sud Italia stanno andando incontro.

Fino a quando il Mediterraneo resterà un lago privato statunitense, nessuna possibilità di cambiamento è possibile; fino a quando l’Unione Europea presenterà una struttura estremamente polarizzata, tendente ad aumentare fortemente le sperequazioni al suo interno, nessuna strada è percorribile per le periferie come il Mezzogiorno. Inutile dire che coscienza di questi processi, di questi fenomeni, non ce n’è; una funzione, per così dire, positiva delle recessioni economiche dovrebbe essere quella di rendere esplicite le contraddizioni interne più lampanti del sistema socio-economico. Ma, per ora, niente di nuovo sotto il sole.

http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/periferizzazione-meridionale/


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