Questa Unione Europea non prevede meccanismi di riforma dal basso, né nazionali, né tantomeno popolari: è ora di prenderne atto, avverte il costituzionalista Gianni Ferrara, professore emerito della Sapienza. Riformare la burocrazia di Bruxelles? Semplicemente impossibile: si tratta di un’architettura autoritaria, che non concepisce neppure la possibilità di essere migliorata in senso democratico. Questo vale anche per l’ipotesi di referendum contro la trappola del Fiscal Compact, il regime fiscale che impedisce allo Stato di investire per i cittadini attraverso la spesa pubblica a sostegno del welfare, secondo le reali necessità della comunità nazionale. Esplorare i labirinti di Bruxelles è come affrontare un viaggio «dentro l’ingranaggio mortifero che è stato costruito in poco più di 30 anni, nella completa sottovalutazione della classe politica italiana, e dall’ex “sinistra” soprattutto». Un capestro che non lascia spiragli, «tantomeno per quei paesi che stolidamente hanno inserito il pareggio di bilancio nella propria Costituzione senza neppure un accenno di discussione politico-parlamentare, figuriamoci sociale».
Illuminante, osserva Dante Barontini su “Contropiano”, la lectio magistralis che Ferrara, «comunista di vecchia e seria scuola», ha offerto al seminario Van Rompuy promosso a Roma a fine maggio dal Comitato No-Debito sull’Europa del Fiscal Compact, che all’Italia impone un taglio aggiuntivo di 50 miliardi l’anno sulla spesa pubblica. Punto di non ritorno: la pericolosa cessione di sovranità nazionale verso Bruxelles in materia fiscale e di bilancio. «Una conseguenza della cosiddetta “legge La Pergola”, che fissava la prevalenza delle norme comunitarie su quelle nazionali prevedendo l’adeguamento di queste ultime». Antonio La Pergola, aggiunge Barontini, è stata una figura tipica di quel personale tecnico-politico transnazionale che ha contribuito a costruire il fatale ingranaggio che ci sta strangolando. Docente di diritto costituzionale a Padova, Bologna e Roma, ma anche a Edimburgo, L’Aja, Dublino e Harvard, La Pergola è stato pure presidente della Corte Costituzionale e poi ministro per le politiche comunitarie, «a chiudere il cerchio tra preparazione teorica, disegno progettuale e realizzazione pratica».
Il Fiscal Compact? E’ un trattato-capestro, pensato per evitare la via maestra dei cambiamenti istituzionali consensuali, «saltando pressoché completamente la partecipazione degli Stati alla sua elaborazione». Potere dall’alto, come nel medioevo: «I Parlamenti non sono stati nemmeno coinvolti, ammesso e non concesso che avessero competenze interne e volontà politica di farlo». Il nostro paese non fa ovviamente eccezione: «L’Italia – ovvero il Parlamento esautorato dal governo Monti – ha approvato senza discussione, nell’aprile 2012, l’inserimento nell’articolo 81 della Costituzione l’obbligo al pareggio di bilancio». Volutamente, la maggioranza è stata così ampia – molto superiore alla soglia necessaria del 66% – da impedire qualsiasi possibilità di convocare un referendum abrogativo. Modificare il Fiscal Compact? Bel problema, per via di due ostacoli: il meccanismo interno a quel trattato e l’articolo 81 della Costituzione italiana, modificato nel 2012.
Il primo problema, spiega Ferrara, sta nel fatto che i trattati internazionali – sottoscritti dai governi nazionali – sono sottratti alla ratifica parlamentare, in rispetto al principio che “pacta servanda sunt”. I limiti possono essere temporali – ma il Fiscal Compact sarà in piedi anche tra vent’anni, «quando di questo paese non sarà rimasta pietra su pietra». In teoria, potrebbe venir meno l’oggetto del trattato, ma in questo caso si tratta di politiche fiscali e di bilancio – niente di transitorio. Infine, il trattato può decadere se sfumano le condizioni che l’hanno costituito. Idem: «Le condizioni qui coincidono con una “maggiore integrazione europea”, e quindi non scadono se non a fronte di un rivoluzionamento oppure di una guerra». Domanda: esistono strumenti giuridici per bloccarne o stemperarne l’efficacia? Anche qui Ferrara non lascia troppi margini all’illusione: si può tentare di indire un “referendum di indirizzo”, che non contenga prescrizioni obbligatorie per governo e Parlamento, ma la sua efficacia sarebbe praticamente nulla, anche se la consultazione popolare si concludesse con un plebiscito contro il “trattato del rigore”.
L’altra notizia è che neppure il Parlamento Europeo ha alcuna sovranità in materia di trattati: i deputati di Strasburgo, infatti, sono privi della fondamentale prerogativa tipica di ogni onorevole o senatore che si rispetti, a livello mondiale: non possono proporre leggi. E allora a che serve un Parlamento senza potere legislativo? Un potere superiore ce l’ha invece la Commissione Europea, oggi presieduta da Barroso: può infatti elaborare “direttive” con valore di legge, ma – per statuto – deve farlo solo per “realizzare gli obiettivi” del Trattato di Lisbona. E così, il cerchio si chiude: «A livello europeo – sintetizza Barontini – non sono previste procedure di riforma istituzionale che correggano parti rilevanti del trattato fondamentale, quello costituente. Si può solo andare avanti, senza mai sterzare e tantomeno tornare indietro». L’insieme dei governi nazionali «elabora decisioni in modo da nascondere la responsabilità dei singoli Stati». Così, «ne nasce una retorica falsificante, per cui ogni governo nega di esser stato tra coloro che hanno caldeggiato determinate scelte impopolari e si rifugia dietro lo slogan “lo chiede l’Europa”».
Soprattutto, viene così meno – definitivamente – uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto: la responsabilità degli eletti di fronte agli elettori. «Per avere la possibilità – in quanto italiani – di chiedere una modifica di alcuni trattati, occorrerebbe una nuova regola costituzionale. Ma chi è il soggetto o lo schieramento politico che la farebbe passare? E in ogni caso, saremmo vincolati dagli altri 26 Stati che compongono l’Unione». Conclusione obbligatoria: «Non è un referendum di indirizzo che può realizzare l’obiettivo di invalidare il Fiscal Compact o altri trattati europei». Certo, come sostiene Giorgio Cremaschi, in ogni caso una campagna referendaria può esser utile a far diffondere una consapevolezza circa la dannosità di quei trattati e della moneta unica così concepita. Ma a patto di essere ben coscienti che anche l’eventuale svolgimento della consultazione – nel caso molto remoto che venga concessa – non costituirebbe una soluzione efficace, proprio per la natura di quel tipo di referendum.
Da scienziato militante, Ferrara ha indagato anche il Trattato di Lisbona per vedere se esiste un qualche appiglio giuridico per rimettere in discussione un dispositivo di quel genere. Ne ha trovato soltanto uno, in un articolo secondo cui ogni Parlamento nazionale può sottoporre al Consiglio (dei capi di Stato e di governo della Ue) una richiesta di mutamento dei trattati. «È possibile, non certo che ci si riesca. Ma in ogni caso occorre avere la maggioranza all’interno di un Parlamento nazionale», ipotesi al momento lontana. Poi c’è l’articolo 11 del Trattato di Lisbona, che ammette la possibilità di una proposta di modifica sottoscritta da almeno un milione di cittadini europei, appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri (quindi almeno sette Stati), secondo quote numeriche minime fissate da tabelle in proporzione alla popolazione. «Una strada certo empiricamente praticabile, ma istituzionalmente di dubbia efficacia: alla fine, questa simil-“legge di iniziativa popolare” finirebbe sul tavolo della Commissione – del governo comunitario, insomma – che ne avvierebbe l’esame e poi deciderebbe come le pare». Come sopra: utile campagna di sensibilizzazione politica, ma non sufficiente a rovesciare il tavolo.
In ogni caso, aggiunge “Co
ntropiano” citando Ferrara, anche qui sorgerebbe, fin dall’inizio, un problema di ammissibilità, perché le modifiche proposte devono sempre rispondere al principio di “miglioramento” dei trattati. Obiezione in teoria non insuperabile, dal momento che l’Unione Europea deve perseguire tra l’altro la “dignità umana”, «ed è molto facile dimostrare come i trattati oggi in vigore la stiamo mettendo in forse in numerosi paesi deboli». L’ostacolo definitivo è un altro: «Anche in caso di accoglimento della “proposta di modifica” popolare da parte della Commissione, questa diventerebbe efficace solo dopo la scadenza del trattato. Che non è nemmeno prevista». Perfetto, no? E’ l’ingranaggio della costruzione europea, incardinato negli articoli 119 e 120 del Trattato fondamentale, che riconoscono esplicitamente come principi generali di funzionamento dell’Unione “l’economia di mercato” e la “libera concorrenza”. «È qui che origina quel programma di smantellamento del “modello sociale europeo”», fondato sul welfare che ha funzionato benissimo per trent’anni, senza complicazioni targate Bruxelles.
Proprio il “sanfedismo” imprenditoriale italiano targato Berlusconi, secondo Ferrara «ha fatalmente “deviato” il senso comune della “sinistra” verso un europeismo acefalo e disinformato». Una sorta di illusione collettiva per cui, «se ci mettevamo agli ordini di questa Unione Europea, ci saremmo anche sbarazzati di Berlusconi, degli imprenditori prendi-e-scappa, di mafia, camorra, ‘ndrangheta e compagnia cantando». Ed eccoci qui, vessati da un’Unione Europea non riformabile. Pessima notizia: «E’ certo significativo che un potere assoluto torni ad avere legittimità e comando, nel Vecchio Continente, a poco più di due secoli dalla Rivoluzione Francese, ad uno da quella Russa». Corollario: «L’impossibilità di riformare la Ue implica l’inutilità del “riformismo progressista”», svuotato e ridotto a «logorrea fantasiosa quanto impotente: non è un caso che sia emerso un Vendola». Ma un sistema istituzionale che non si può riformare, rileva Barontini, lascia come unica possibilità soltanto quella della rivoluzione. Lo ammette anche Ferrara: ogni efficace cambiamento della struttura istituzionale europea non potrà che avere carattere rivoluzionario. «Del resto, se è rinato un potere assoluto, significa che sono state eliminate le vie della mediazione, a cominciare da quelle giuridiche e costituzionali: invece di Luigi XIV c’è un Kaiser “collettivo”, un’oligarchia per nulla illuminata».
Fonte: www.libreidee.org
26.06.2013
La realtà impallidisce prima all'ombra della convinzione e delle false speranze .Verso il disastro totale
Prima ricordare il fallimento del socialismo sovietico, particolarmente sotto il regime omicida di Stalin , lasciatemi dire che questo non era il socialismo come Marx, Engels, e Trotsky e perchè non accennare anche quello di Mussolini che avevano previsto, quello fu un capitalismo di stato.
Analogamente, se il Presidente Obama non avesse aiutato le istituzioni finanziarie dell'America con fondi pubblici, il capitalismo globale sarebbe letteralmente crollato. Basate su avidità e sfruttamento, queste istituzioni dovrebbero essere autorizzate a fallire, portando all'economia capitalista globale. Se esistesse effettivamente un Adam Smith , la "mano invisibile del mercato", il mondo oggi sarebbe molto diverso da quello che ha fatto pochi anni fa. Potremmo essere effettivamente nel recupero.
Ora stiamo aspettando il prossimo assalto: è stata già annunciata la prossima " bolla finanziaria " che esploderà.
La storia dimostra che effettivamente i liberi mercati (deregolamentati), il capitalismo del Santo Graal di Milton Friedman, non esistono. Essi non sono mai esistiti. Il capitalismo del mercato libero è un mito ideologico che è inculcato nella nostra cultura, come un lavaggio del cervello.I mercati sono sempre manipolati dalle élite per esclusivo beneficio delle élite. Altrimenti sarebbe caduta l'economia globale due anni fa. A cosa abbiamo assistito era il socialismo (fondi pubblici) Puntellazioni fino del capitalismo (istituti finanziari di proprietà privata). Tutti i benefici, pari a 13,8 miliardi di $, è andato alle istituzioni finanziarie e per l'élite. I lavoratori sono stati ricompensati con il rigore imposto dal governo. Ciò è avvenuto non solo negli Stati Uniti, ma altrove nel mondo, in Europa ne sappiamo già qualcosa.
L'aristocrazia finanziaria internazionale è gettare le fondamenta per la governance globale. Il pubblico dominio è da essere privatizzato.
I poveri non sono parte del discorso politico nè sociale.
Di queste politiche, c'è l'agitazione sociale in ogni nazione capitalista sulla terra, siamo in coma, è il risultato su tantissime persone ad essere stati informati da Rush Limbaugh, Fox News, Skynews, Rai, Fininvest e altri ricchi demagoghi che utilizzano le onde radio sul nome della classe dirigente. La maggior parte degli americani, europei e degli ignoranti italiani sono informati dalle ideologie, e non dai fatti.
Questo è il significato di Friedrich Nietzsche della convinzione:
" La realtà impallidisce prima all'ombra della convinzione e delle false speranze ".
"L'Allegoria della grotta" di Platone, viene anche in mente.
La fantasia diventa la norma.
Il Capitalismo non durerà a lungo in presenza della coscienza collettiva del vero. Esiste solo dall' inganno.
"Il lavaggio del cervello inizia dalla culla "
Arthur Koestner.
Nato, Europa: un concetto Hitleriano
post pubblicato in Vera Storia: riesumata dalla fogna dove è stata messa, il 23 ottobre 2010
Tratto da:
Il testamento
di Hitler , edizioni periodici mondadori
4 febbraio 1945
" Churchill sembra considerarsi un secondo Pitt. Quale speranza!
Nel 1793, Pitt aveva trentaquattro anni. Churchill, sfortunatamente, é un vecchio, capace, e capace soltanto, di eseguire glí ordini di quel pazzo, Roosevelt.
In ogni modo, le due situazioni non sono assolutamente paragonabili. Si riporti per un momento la mente alle condizioni dei tempi di Pitt.
Dal punto di vista dell'Inghilterra, egli fu giustificatissimo nel rifiutare ogni trattativa con Napoleone.
Mantenendo, come fece, un atteggiamento fermo in condizioni impossibili, egli assicurava al suo paese la possibilità che esso aveva di recitare il ruolo toccatogli poi nel diciannovesimo secolo.
Era una politica mirante a rendere possibile l'esistenza del paese. Churchill, rifiutandosi di venire a patti con me, ha condannato il suo paese a una politica di suicidio.
Ha commesso gli stessi errori dei generali che conducono una guerra secondo i princípi della guerra precedente.
Esistono ora elementi che è impossibile adattare ad un simile schema di cose.
Il nuovo fattore cruciale è costituito dall'esistenza di quei giganti, gli Stati Uniti e la Russia.
L'Inghilterra di Pitt assicurò l'equilibrio del potere mondiale impedendo l'egemonia dell'Europa... impedendo a Napoleone, cioè, di conseguire il suo, scopo.
L'Inghilterra di Churchill,d'altro canto, avrebbe dovuto consentire l'unificazione dell'Europa, se voleva conservare lo stesso equilibrio di potere.
Agli inizi di questa guerra feci quanto stava in me per agire come se io ritenessi Churchill capace di rendersi conto della verità di questa grande politica; e nei suoi momenti di lucidità egli riuscí, invero, a capirla.
Ma da molto tempo, ormai, Churchill si è legato mani e piedi al carro ebraico.
Il mio scopo, nel tentare di venire a patti con l'Inghilterra, era quello di evitar di creare una situazione irreparabile in Occidente.
In seguito, quando attaccai ad Est e incisi l'ascesso comunista, sperai cosí facendo di riaccendere una scintilla di buon senso nelle menti delle Potenze occidentali.
Offrii loro il modo di dare, senza alzare un dito, un contributo a un atto di catarsi, mediante il quale avrebbero potuto tranquillamente affidare alle sole nostre mani il compito di disinfestare l'Occidente. Ma l'odio nutrito da questi ipocriti contro un uomo in buona fede è piú forte del loro senso di autoconservazione.
Il genio di Pitt consistette nell'attuazione di una politica realistica, in armonia con le condizioni dell'epoca; che consentí al suo paese una ripresa davvero straordinaria e che gli assicurò la supremazia mondiale nel dìciannovesimo secolo.
L'imitazione servile di tale politica; che Churchill sta ora perseguendo - e senza tenere alcun conto del fatta che le condizioni non sono affatto le stesse - è una pura assurdità. Il fatto è che il mondo ha progredito dai tempi di Pitt!
Per un intero secolo i mutamenti, è vero, si susseguirono adagio; ma la prima guerra mondiale ha accelerato il ritmo, e la presente guerra ci ha portato alla presentazione dei conti e al regolamento finale!
Agli inizi del diciannovesimo secolo, dal punto di vista della potenza contava soltanto l'Europa.
I grandi imperi asiatici erano scivolati in un sonno che somigliava al sonno della morte.
Il Nuovo Mondo continuava a non essere altro che un'escrescenza del mondo antico e nessuno avrebbe potuto ragionevolmente prevedere il destino prodigioso riservato alle tredici colonie britanniche che avevano appena conquistato la libertà... Tredici!
Io non sono superstizioso, ma questo episodio mi tenta a diventarlo!
Quel nuovo Stato di quattro milioni di abitanti si sviluppò in misura cosí incommensurabile nel corso di un centinaio di anni che agli inizi del secolo ventesimo era già divenuto una Potenza mondiale...!
Durante il periodo decisivo tra il 1930 e il 1940; ' la situazione era completamente diversa da quella risultante ai tempi di Pitt e di Napoleone.
L'Europa, spossata da uria grande guerra, aveva perduto l'orgoglio della propria supremazia e il suo ruolo dominante non veniva piú riconosciuto.
Rimaneva pur sempre uno dei centri di attrazione della terra, ma perdeva senza posa la propria importanza di fronte alla potenza crescente degli Stati Uniti d'America, del colosso russo-asiatico e dell'Impero del Sol Le vante.
Se il destino avesse concesso all'invecchiata e indebolita Inghilterra un nuovo Pitt anziché questo ubriacone mezzo-americano dominato dagli ebrei; il nuovo Pitt avrebbe compreso immediatamente che la tradizionale politica britannica dell'equilibrio del potere doveva ora essere applicata su scala diversa, e questa volta su scala mondiale.
In luogo di mantenere, creare e attizzare le rivalità europee, l'Inghilterra dovrebbe fare tutto il possibile per promuovere e realizzare l'unificazione dell'Europa.
Alleata ad una Europa unita essa conserverebbe ancora la probabilità di poter fare la parte di arbitra nelle questioni mondiali.
Tutto quel che sta accadendo induce a pensare che la Provvidenza stia ora castigando Albione per i suoi trascorsi delitti, i delitti dai quali fu innalzata alla potenza di un tempo.
L'avvento di Churchill, in un periodo decisivo tanto per l'Inghilterra quanto per l'Europa, è il castigo scelto dalla Provvidenza.
Per l'élite degenerata dell'Inghilterra, egli è proprio l'uomo di cui hanno bisogno; e spetta a questo pagliaccio senile decidere il fato di un vasto impero e, al contempo, dell'Europa tutta.
È ancora da stabilirsi, io credo, se il popolo britannico, nonostante la degenerazione dell'aristocrazia, abbia conservato quelle qualità che giustificarono sin qui il dominio mondiale inglese.
Dal canto mio, ne dubito, perché sembra che non vi sia stata alcuna reazione popolare agli errori commessi dai capi della nazione.
Eppure, si sono presentate molte occasioni in cui l'Inghilterra avrebbe potuto audacemente incamminarsi in una nuova e piú fruttuosa direzione.
Se cosí avesse voluto, l'Inghilterra avrebbe potuto por fine alla guerra all'inizio del 1941.
Nei cieli di Londra essa aveva dimostrato al mondo intero la sua volontà di resistere, e a proprio credito aveva le sconfitte umilianti inflitte agli italiani nell'Africa settentrionale.
L' Inghilterra tradizionale avrebbe concluso la pace.
Ma gli ebrei non vollero saperne.
E i loro lacchè, Churchill e Roosevelt, erano lí ad impedirlo.
Eppure, la pace in quel momento ci avrebbe consentito di impedire agli americani di immischiarsi nelle questioni europee.
Sotto la guida del Reich,l'Europa sarebbe stata rapidamente unificata.
Una volta sradicato il veleno ebraico, l'unificazione avrebbe costituito una facile impresa.
La storia della NATO:
http://www.bilderberg.org/nato.htm
That AK Barker quotation in full
Foto n.16 sulle pagine 24/25:
"SS Oberstgruppenfuhrer Paul Hausser (seen here as an Obergruppenfuhrer while commanding the Das Reich division in Russia winter 1941) was unquestionably the ablest military commander in the Waffen SS. After the war he sought to reestablish the reputation of the SS and claimed that the foreign units of the SS were really the precursors of the NATO army."
Tratto dalle pagine 24/25 del libro:
'Waffen SS at War' by A. J. Barker, Ian Allen Ltd., 1982, ISBN 0 7110 1099 4
Il rapporto segreto, di come i Nazi pianificarono il IV R
eich:
Revealed:
The secret report that shows how the Nazis planned a Fourth Reich ...in the EU
By Adam Lebor
Last updated at 10:30 PM on 09th May 2009
The paper is aged and fragile, the typewritten letters slowly fading. But US Military Intelligence report EW-Pa 128 is as chilling now as the day it was written in November 1944.
The document, also known as the Red House Report, is a detailed account of a secret meeting at the Maison Rouge Hotel in Strasbourg on August 10, 1944. There, Nazi officials ordered an elite group of German industrialists to plan for Germany's post-war recovery, prepare for the Nazis' return to power and work for a 'strong German empire'.
In other words: the Fourth Reich.
Plotters: SS chief Heinrich Himmler with Max Faust, engineer with Nazi-backed company I. G. Farben
US Military Intelligence report EW-Pa 128
Enclosure No. 1 to despatch No. 19,489 of Nov. 27, 1944, from
the Embassy at London, England.
S E C R E T
SUPREME HEADQUARTERS
ALLIED EXPEDITIONARY FORCE
Office of Assistant Chief of Staff, G-2
7 November 1944
INTELLIGENCE REPORT NO. EW-Pa 128
SUBJECT:
Plans of German industrialists to engage in underground activity after Germany’s defeat; flow of capital to neutral countries.
SOURCE:
Agent of French Deuxieme Bureau, recommended
by Commandant Zindel. This agent is regarded as
reliable and has worked for the French on German
problems since 1916. He was in close contact with
the Germans, particularly industrialists, during
the occupation of France and he visited Germany
as late as August, 1944.
1. A meeting of the principal German industrialists with
interests in France was held on August 10, 1944, in the Hotel
Rotes Haus in Strasbourg, France, and attended by the informant
indicated above as the source. Among those present
were the following:
Dr. Scheid, who presided, holding the rank of S.S.
Obergruppenfuhrer
and Director of the Heche
(Hermandorff & Schonburg) Company
Dr. Kaspar, representing Krupp
Dr. Tolle, representing Rochling
Dr. Sinderen, representing Messerschmitt
Drs. Kopp, Vier and Beerwanger, representing
Rheinmetall
Captain Haberkorn and Dr. Ruhe, representing Bussing
Drs. Ellenmayer and Kardos, representing
Volkswagenwerk
Engineers Drose, Yanchew and Koppshem, representing
various factories in Posen, Poland (Drose, Yanchew
and Co., Brown-Boveri, Herkuleswerke, Buschwerke,
and Stadtwerke)
Captain Dornbuach, head of the Industrial Inspection
Section at Posen
Dr. Meyer, an official of the German Naval Ministry in
Paris
Dr. Strossner, of the Ministry of Armament, Paris.
2. Dr. Scheid stated that all industrial material in France
was to be evacuated to Germany immediately.
The battle of France was lost for Germany and now the defense of the
Siegried Line was the main problem.
From now on also German industry must realize that the war cannot be won
and that it must take steps in preparation for a post-war commercial
campaign.
Each industrialist must make contacts and
alliances with foreign firms, but this must be done individually
and without attracting any suspicion. Moreover, the ground
would have to be laid on the financial level for borrowing considerable
sums from foreign countries after the war.
As examples of the kind of penetration which had been most useful in
the past, Dr. Scheid cited the fact that patents for stainless
steel belonged to the Chemical Foundation, Inc., New York,
and the Krupp company of Germany jointly and that the U.S.
Steel Corporation, Carnegie Illinois, American Steel and Wire,
and national Tube, etc. were thereby under an obligation to
work with the Krupp concern.
He also cited the Zeiss Company, the Leisa Company and the Hamburg-American
Line as firms which had been especially effective in protecting
German interests abroad and gave their New York addresses
to the industrialists at this meeting.
3. Following this meeting a smaller one was held presided
over by Dr. Bosse of the German Armaments Ministry and
attended only by representatives of Hecho, Krupp and
Rochling.
At this second meeting it was stated that the Nazi
Party had informed the industrialists that the war was practically
lost but that it would continue until a guarantee of the
unity of Germany could be obtained.
German industrialists
must, it was said, through their exports increase the strength
of Germany. They must also prepare themselves to finance
the Nazi Party which would be forced to go underground as
Maquis (in Gebirgaverteidigungastellen
gehen).
From now on
the government would allocate large sums to industrialists so
that each could establish a secure post-war foundation in foreign
countries.
Existing financial reserves in foreign countries
must be placed at the disposal of the Party so that a
strong German Empire can be created after the defeat. It is
also immediately required that the large factories in Germany
create small technical offices or research bureaus which
would be absolutely independent and have no known connection
with the factory. These bureaus will receive plans and
drawings of new weapons as well as documents which they
need to continue their research and which must not be
allowed to fall into the hands of the enemy. These offices are
to be established in large cities where they can be most successfully
hidden as well as in little villages near sources of
hydro-electric power where they can pretend to be studying
the development of water resources. The existence of these is
to be known only by very few people in each industry and by
chiefs of the Nazi Party. Each office will have a liaison agent
with the Party.
As soon as the Party becomes strong enough
to re-establish its control over Germany the industrialists will
be paid for their effort and cooperation by concessions and
orders.
4. These meetings seem to indicate that the prohibition
against the export of capital which was rigorously enforced
until now has been completely withdrawn and replaced by a
new Nazi policy whereby industrialists with government
assistance will export as much of their capital as possible.
Previously exports of capital by German industrialists to
neutral countries had to be accomplished rather surreptitiously
and by means of special influence.
Now the Nazi party stands behind the industrialists and urges them to save
themselves by getting funds outside Germany and at the same
time to advance the party’s plans for its post-war operation.
This freedom given to the industrialists further cements their
relations with the Party by giving them a measure of
protection.
5. The German industrialists are not only buying agricultural
property in Germany but are placing their funds abroad,
particularly in neutral countries. Two main banks through
which this export of capital operates are the Basler Handelsbank
a
nd the Schweizerische Kreditanstalt of Zurich. Also
there are a number of agencies in Switzerland which for a
5 percent commission buy property in Switzerland, using a
Swiss cloak.
6. After the defeat of Germany the Nazi Party recognizes
that certain of its best known leaders will be condemned as
war criminals. However, in cooperation with the industrialists
it is arranging to place its less conspicuous but most important
members in positions with various German factories as
technical experts or members of its research and designing
offices.
For the A.C. of S., G-2.
WALTER K. SCHWINN
G-2, Economic Section
Prepared by
MELVIN M. FAGEN
Distribution:
Same as EW-Pa 1,
U.S. Political Adviser, SHAEF
British Political Adviser, SHAEF
http://criticatestuale.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=114849&yy=2010&mm=10&p=7