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Radicali

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filo
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Ho notato, in alcuni commenti, un certo astio nei confronti del Partito Radicale.
In un sito che si chiama "ComeDonChisciotte", colui che lottava contro i mulini a vento, vorrei sapere quello che si pensa delle battaglie di Marco Pannella e del suo partito.
Grazie a tutti!


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Truman
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In un sito che combatte i mulini a vento non ci sono punti di vista imposti. Perciò le diverse persone hanno diversi punti di vista.

Io personalmente sono tra quelli che inizialmente pensarono che i radicali portassero idee progressiste, poi rimasero un po' delusi, perchè il partito radicale tendeva a ripetersi, a proporre sempre referendum con il risultato di far odiare i referendum. Le sole novità erano a livello di politica come spettacolo, a livello di trovate istrioniche dei leader.

Col tempo mi sono convinto che i radicali sono una forza di destra e stanno bene con la destra. Personalmente non li avrei voluti con il centro sinistra.

In sintesi li considero più inutili che dannosi. Ma hanno tutti i loro diritti di parlare.


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filo
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Io invece credo che sia inutile parlare di destra e di sinistra come condizioni imprenscindibili.Chi è di sinistra deve restare a sinistra (nei secoli dei secoli amen) e chi è di destra deve restare a destra (nei secoli dei secoli amen)?
Siccome per fortuna si possono cambiare le idee e riconoscere gli errori allora si può anche criticare una parte o un'altra senza essere accusati di berlusco-fascismo se si critica la sinistra,né di comunismo se si critica la destra.
Mi pare che questo sia stato fatto dai Radicali, quando dovevano criticare la sinistra lo hanno fatto, quando dovevano criticare la destra anche, col risultato che stanno sul cazzo sia a sinistra che a destra, oltre che per le loro visioni politiche,troppo liberali per i cattocomunistiburocratipacifistidell'ultimaora e troppo di sinistra per i berluscoguerrafondairazzisti di destra, per le loro posizioni sui diritti civili soprattutto.
Le battaglie ad esempio sulla legalizzazione, sulla libertà di ricerca scientifica, sul divorzio, sull'aborto, sul voto ai 18enni, contro la pena di morte, gli scioperi della fame e della sete, la lotta per l'amnistia, le autodenunce, le lotte anticlericali, e le altre mille lotte dei Radicali io non le posso considerare né di destra né di sinistra, sarebbe riduttivo.


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filo
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Solo per capire, davvero.
Fino ad ora questo topic è stato visitato circa 70 volte, con due commenti, uno dei quali è mio.
Chiedo: non sapete che dire, cioè non avete idee riguardo le battaglie del partito radicale oppure non ve ne frega niente?
Solo per capire.


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marzian
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Condivido le loro posizioni riguardo i diritti civili e le libertà individuali...

Ma questo viene completamente offuscato da quel che pensano sui temi economici e di politica estera.

E credo anche che siano del tutto in malafede: non è possibile denunciare i crimini di guerra dell'esercito russo - come hanno ottimamente fatto - e ignorare se non negare i massacri perpetrati nel mondo dagli occupanti statunitensi.


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filo
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Pare che i diritti civili e le libertà individuali dunque contino meno dell'economia e della politica estera statiunitense.
Perché è di questo che si parla, no? Della politica degli USA, non di quella della Russia che, come hai ricordato, loro ottimamente hanno denunciato.
Neanche dell'alternativa alla guerra in Iraq da loro proposta, adesso stranamente considerata da tutti la più giusta, ovvero l'esilio di Saddam e l'intervento dell'ONU senza bombardare niente. Adesso si è venuti a sapere che si poteva fare!
Quante altre iniziative radicali contro i soprusi delle più varie dittature (spesso dimenticate) sparse nel globo vuoi che elenchi? No perché ce ne sono parecchie, non mi pare che abbiano dimostrato proprio disinteresse nei confronti della giustizia internazionale. Certo, se poi per condannarli basta che non siano scesi in piazza contro Bush allora è un altro discorso...
Ascolta la domenica sera le conversazioni di Pannella su RadioRadicale, anche se è un impresa ardua perché lui è logorroico, è un consiglio perché non ci sono giornali radicali a giro, ci sono comunisti, leghisti, filoberlusconiani, dalemiani, confindustriali, e l'unico modo per farsi un'idea del pensiero dei Radicali, visto che in TV sono praticamente censurati, è quello di ascoltare non solo i programmi veramente pluralisti che offre radioradicale, ma soprattutto le conversazioni di Pannella con Bordin la domenica sera.


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Truman
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Una capacità la devo riconoscere ai radicali ed è quella di piangersi addosso, con enorme sprezzo del ridicolo.

Anche se il ducetto di Arcore ha cercato di imparare da loro, restano insuperabili nel dipingersi come vittime e nel ripetere le loro giaculatorie all'infinito. Penso a loro e mi viene in mente la musica andina ("la musica andina, che noia immortale, sono anni ed anni che si ripete sempre uguale").

Devo dire che il loro piangersi addosso li rende rappresentativi degli italiani, popolo di bambini mai cresciuti, sempre dedito allo sport dello scaricabarile, cioè sempre dediti a dare le colpe dei problemi agli altri.

Maturità vuol dire smettere di dire "E' stato lui!", prendersi la responsabilità della propria vita e decidere il proprio futuro. A un popolo di bambini il giocattolo delle libertà individuali può piacere. Anche se la scienza politica spiegava secoli fa che la libertà del singolo contrasta con le libertà degli altri.


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filo
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Strano commento il tuo Truman.
Non fai riferimenti a fatti concreti, ti invito a farlo, altrimenti il tuo sembra un pregiudizio.
Poi, se davvero i Radicali fossero così rappresentativi del popolo italiano in 50 anni di attività avrebbero governato "un pò di più", non ti pare?
Che cariche istituzionali hai mai visto ricoprire ad un radicale? Bonino di adesso a parte.
Che si piangano addosso mi pare una dichiarazione priva di fondamento, se c'è qualche partito realmente propositivo è quello, vai a leggere sui loro molti siti le iniziative che attuano (sottolineo "attuano").

Per quanto riguarda l'assumersi le proprie responsabilità: Pannella ha mai cambiato partito? Rutelli che era radicale adesso è a fare il culo di piombo al fianco di Prodi, chi è coerente fin dall'inizio e non rinuncia alle proprie posizioni anche impopolari lo si riconosce, non credi?

Strano commento il tuo.


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marzian
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Certo, se poi per condannarli basta che non siano scesi in piazza contro Bush allora è un altro discorso...

Mi spiace, ma è esattamente quello che penso.


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filo
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Non deve mica dispiacerti, ognuno la pensa un pò come vuole.
L'antiamericanismo ad oltranza però non so proprio a che serva.


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filo
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D'altronde, fra gli antiamericani c'è anche chi dice questo:

"Il liberalismo e la democrazia non sono serviti a realizzare gli ideali dell'umanità. Oggi queste due dottrine hanno fallito. I più perspicaci riescono già a sentire il suono del frantumarsi e crollare delle ideologie e delle idee dei sistemi democratici liberali. […] che ci piaccia o no il mondo gravita intorno alla fede […] . La pace sia con lui che crede nella promessa divina sul regno dei giusti." (Ahmadinajad)

Io non so voi, ma mi tocco le palle!!! 😯


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Nello61
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Filo, mi pare chiaro, e lo dico descrittivamente senza voler entrare nel merito dei temi trattati, che i frequentatori di questo forum non amano particolarmente i radicali.
Fattene una ragione 😆


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marzian
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L'antiamericanismo ad oltranza però non so proprio a che serva.

A nulla, e infatti non lo condivido. Solo, c'è un'onestà intelettuale che ai Radicali manca.


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filo
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Sì, me ne sono accorto che i radicali non sono molto amati! 😛
O meglio, non sono amati da Carlo che è l'unico che ha motivato le sue posizioni riguardo al partito di Pannella.
In realtà anche Carlo con loro ha invece in comune una sensibilità nei confronti di certe tematiche quali la legalizzazione delle droghe, i diritti alle coppie di fatto, la libertà sessuale, la lotta contro le ingerenze della chiesa, la difesa dei diritti dei carcerati ignoti, la libertà di ricerca scientifica e tanti altri temi sociali e civili.
Non mi sembra poco!
E dire di non condividere l'antiamericanismo quando però si afferma di voler condannare i radicali perché non sono scesi in piazza con le bandierine contro Bush, mettendo in secondo piano invece le loro altre posizioni di politica estera mi sembra una contraddizione.
Sembra proprio che l'essere anti-Bush sia una discriminante per considerare meritevoli o no certi esponenti politici nonostante le mille altre lotte eventualmente condivise.


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filo
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Lettera di Sergio D’Elia al Presidente e ai colleghi della Camera dei Deputati

Roma, 3 giugno 2006

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati,

a seguito delle dichiarazioni rese il 1° giugno 2006 dall’onorevole Giovanardi su di me e sulla mia storia personale e politica, desidero offrire questo mio contributo di conoscenza, che ritengo utile anche al fine di un più generale dibattito sulla giustizia, la civiltà del diritto e il senso della pena nel nostro ordinamento.

Sono stato uno di Prima Linea, trenta anni fa. Accetto che si dica ancora oggi di me: un “terrorista di Prima Linea”, mi rifiuto però di credere che qualcuno pensi davvero che sia il termine giusto, vero o esatto per dire, non solo quello che sono io oggi, ma anche quello che sono stato ieri. La mia identità politica e la mia lotta degli anni Settanta possono forse essere approssimate alle idee “libertarie” (il che non vuol dire: nonviolente) di un anarchico dell’Ottocento, non certo assimilate al terrorista suicida e omicida degli anni Duemila.

Insieme ai miei compagni, ero cresciuto con l’idea che fosse possibile cambiare il mondo, tutto e subito. Subivamo l’effetto di una sorte di frenesia: dopo i volantinaggi alle 6 di mattina davanti alle fabbriche, le proteste organizzate nella mensa degli studenti, i comitati di lotta nei quartieri popolari, pensavamo che fosse a portata di mano la realizzazione del paradiso in terra. Ritenemmo la lotta armata come mezzo necessario per accelerarne l’avvento o, comunque, verificarne la probabilità. Una sorta di “demone della verifica” ci ha spinto all’azione estrema e irreparabile.

Il fine che giustifica i mezzi a cui molti aderivano culturalmente e filosoficamente, per noi è stata linea di condotta coerente e pratica. Che fosse vero il contrario, cioè che i mezzi prefigurano i fini, per me c’è voluta l’esperienza della lotta armata e del carcere e poi, quand’ero ormai pronto, l’incontro con Marco Pannella. Voglio dire che Marco Pannella c’era già, e da una vita, su quella semplice verità; lui era pronto, non ero pronto io e come me, quelli che lui chiamava i “compagni assassini”, che lo avrebbero ri-conosciuto dieci anni dopo.

In quegli anni, i radicali erano gli unici a non considerarci dei mostri e quando Marco Pannella diceva “violenti e nonviolenti sono fratelli” capivamo il senso di quelle parole: violenti e nonviolenti avevano in comune la voglia di cambiare l’esistente, senza cedere all’indifferenza e alla rassegnazione. Noi, violenti, con la forza dell’odio; loro, nonviolenti, con la forza del dialogo e dell’amore.

Nel momento della rinuncia alla violenza come forma di lotta politica era quindi naturale – volendo mantenere il nostro impegno politico e sociale dalla parte dei più deboli e indifesi – che incontrassimo e ri-conoscessimo il partito del diritto e della nonviolenza.

I due anni di lotta armata mi avevano ampiamente dimostrato che la nostra lotta era vana rispetto agli obiettivi che ci eravamo dati e che le ragioni e le speranze di quella lotta erano andate distrutte dai mezzi usati per affermarle. Avevo accettato interiormente la verità della sconfitta, ancor prima della sua evidenza storica e politica. E quindi aspettavo il momento dell’arresto come un epilogo necessario. Giunse in una bella giornata di maggio del ’78, e fu una liberazione.

Personalmente non ho mai sparato a nessuno, anche se è stato solo un caso. Sarebbe potuto accadere a me, esattamente, come è successo a molti miei compagni, con cui ho condiviso tutto, di uccidere e/o essere uccisi. In quegli anni, solo una serie di – posso dire col senno di poi – fortunate circostanze mi hanno impedito di diventare un assassino.

Sono stato condannato in base a uno dei postulati della dottrina emergenzialista dell’epoca, per cui il responsabile di un’organizzazione terroristica andava considerato responsabile dei crimini commessi nel territorio in cui operava. Agli occhi dei giudici non valeva il principio costituzionale della responsabilità penale personale ma quello ben più politico del concorso morale. E’ agli atti del processo che ero lontano da Firenze al momento del fatto, che non ero stato tra gli ideatori e gli esecutori materiali della tentata evasione dal carcere delle Murate. Ciò nonostante, ero da considerare a tutti gli effetti responsabile dell’omicidio; per l’esattezza, di essere stato a conoscenza del piano di evasione e di non aver fatto nulla per impedirla, l’evasione evidentemente, non l’omicidio, che non era certo l’obiettivo di quell’azione, ma l’esito tragico di un fatto imprevisto. Una logica perversa che in futuro non sarebbe più stata applicata.

Peraltro, durante il dibattimento in aula, avevo sorpreso i miei stessi giudici rivendicando la giustezza del principio del concorso morale come il metodo più adeguato a descrivere le mie responsabilità di dirigente di Prima Linea, le cui azioni mi sono assunto in toto, che le avessi decise o meno, eseguite o meno, sapute o meno. Senza alcun spirito di autodifesa, intendevo evidenziare la contraddizione nella quale poteva cadere - e secondo molti cadde - un tribunale che applicasse in chiave giuridica il principio della responsabilità morale, per non dire chiaramente politica.

Sono stato condannato in primo grado a trenta anni di carcere, poi ridotti in appello a venticinque, infine dimezzati con l’applicazione della legge sulla dissociazione dal terrorismo e altri benefici di legge. Sono uscito dopo aver scontato dodici anni di carcere e, nel 2000, sono stato completamente riabilitato con sentenza del Tribunale di Roma, riabilitazione richiesta dallo stesso procuratore generale e sostenuta anche da decine di lettere di vittime dei miei reati, tra cui quella che mi ha fatto più piacere del capo della Digos di Firenze.

Avevamo sciolto Prima Linea nei primi anni Ottanta e, nell’86, insieme a moltissimi miei compagni di detenzione, mi ero iscritto al Partito radicale e, dopo poche settimane, il giudice di sorveglianza mi aveva concesso il permesso di uscire dal carcere per recarmi al congresso del partito, dove mi accolsero tra gli altri Enzo Tortora e Mimmo Modugno, parlamentari e presidenti del partito stesso. Era gennaio del 1987 e, davanti ai congressisti riuniti all’Ergife, consegnai simbolicamente Prima Linea, me stesso e la mia storia violenta, al partito della nonviolenza. Non si trattò di un bagno purificatore, di una catarsi nella folla del popolo radicale. Fu un vero e proprio evento politico: l’approdo definitivo alla democrazia e alle sue regole di chi la democrazia e le sue regole le aveva così tragicamente violate. Difficilmente un altro partito avrebbe avuto il coraggio di compiere un fatto al tempo stesso così concreto e simbolico.

Nel 1993, con la mia compagna Mariateresa Di Lascia, già deputata radicale e poi autrice del romanzo “Passaggio in ombra”, Premio Strega postumo del ’95, fondammo Nessuno tocchi Caino, l’associazione radicale che in questi anni ha contribuito a 42 tra abolizioni e moratorie della pena di morte che hanno salvato la vita a migliaia di condannati in varie parti del mondo.

Ora, sono stato eletto deputato della Rosa nel Pugno al Parlamento italiano assumendo un ruolo anche di responsabilità: credo che sia questo un altro fatto politico che può essere letto, non come la vergogna che denuncia il collega Giovanardi, ma – forse, anche – come la parabola felice di una storia, che è storia di cittadinanza democratica e di accoglienza umana e civile di cui, non solo Marco Pannella, ma anche lo Stato italiano può andare fiero... se ha senso l’articolo 27 della nostra Costituzione, se hanno senso le parole lì scritte sulla rieducazione e il reinserimento sociale del condannato.

Se qualcuno, ancora oggi, dopo trent
a anni, vuole cristallizzare la mia vita nell’atto criminale di allora (che non ho materialmente commesso) e non tener conto della semplice verità che l’uomo della pena può divenire un uomo diverso da quello del delitto, rischia di non cogliere il senso profondo della giustizia, del carcere e della pena descritto dalla nostra Costituzione.

In uno Stato di diritto, è bene che il luogo del giudizio sia innanzitutto quello dei tribunali e che il tempo della pena sia stabilito secondo legge e Costituzione.

Ho pagato con 12 anni di carcere il conto che lo Stato e la legge italiana mi hanno presentato per ciò che ho fatto o non fatto. Non sono il solo a ritenere di aver compiutamente e consapevolmente pagato – in quel periodo per più versi “emergenziale” - anche l’altrimenti non necessario, il “sovrapprezzo” dovuto a leggi, tribunali, procedure e regole, opzioni politiche che si imposero come necessarie, carceri e detenzione speciali. Da libero, mi è accaduto anche di scontare la pena extra-giudiziale e per me pesantissima che il tribunale della vita, il destino, mi ha voluto riservare con la morte di Mariateresa, uccisa a quaranta anni da un male improvviso e incurabile, sicché ho dovuto far fronte al mio impegno morale, civile e umano inizialmente più solo e poi, grazie a tanti anche di voi, colleghe e colleghi, a portarlo avanti fino al punto in cui siamo di una decisione - ormai prossima, credo - della Assemblea Generale delle Nazioni Unite a favore di una moratoria universale delle esecuzioni capitali .

Ora, sono disposto ad accettare anche il giudizio inappellabile di quel severissimo tribunale della storia che è l’opinione pubblica. Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho fatto trenta anni fa.

Signor Presidente della Camera, colleghe e colleghi deputati,grazie per la attenzione e – ne sono certo - le riflessioni che vorrete dedicare a queste mie considerazioni.

Sergio D’Elia,

Deputato della Rosa nel Pugno


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