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semplice semplice (3)

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GioCo
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Nel precedente post "semplice semplice (2)" ho fatto riferimento alla questione dell'intuito e a come sia legato a un esercizio che viene pedissequamente ignorato se non proprio tenuto ai margini del nostro vivere quotidiano.

Qui vorrei invece legarmi un poco di più agli studi recenti sulle teorie dell'emozione in psicanalisi (appraisal) e dell'arousal, che potremmo grossolanamente tradurre con "attenzione" -per intenderci-, cioè una risposta del sistema nervoso che è al centro di una vasta ricerca in "psicologia fisiologica" (cioè lo studio della risposta del sistema nervoso agli stimoli sia interni che esterni).

Indicheremo per la nostra disamina una differenza sostanziale tra stimolo oggettivo e stimolo soggettivo. Diremo (per semplicità) che uno stimolo oggettivo è uno stimolo legato a un evento esterno al corpo (ambientale) a cui si può associare sensorialmente una sorgente unica e certa. Per esempio una lampadina spenta che viene accesa.
Nello stimolo soggettivo indicheremo tutti gli stimoli, sia reali, sia immaginari che raggiungono l'attenzione di un soggetto. Attenzione che per noi qui, sempre per semplicità, è solo quella consapevole (sapendo che esiste anche una attenzione inconsapevole, per esempio quando stiamo dormendo e un rumore ci sveglia).

A questo punto non ci rimane che domandarci: la mente è sempre capace di distinguere uno stimolo soggettivo da uno oggettivo? La risposta è ovviamente negativa. Quando sognamo non siamo quasi mai consapevoli di sognare e quindi non siamo in grado di riconoscere durante il sonno che il vissuto non è oggettivo.
Va precisato che questo discorso è valido se affermiamo convinti che "ciò che è esterno al corpo è reale, mentre il resto è illusione", così come diceva Aristotele. Noi però dobbiamo sempre tenere presente che non esiste un "peso di serietà e qualità definitivo" per distinguere il vero dal falso. Affermare che l'unica realtà è quella oggettiva, ci fa correre il grave rischio di sostenere che il vissuto della persona sia secondario rispetto alla realtà.
Ma se abbiamo detto che il nostro principale mezzo di indagine soggettivo non ha mezzi certi per distinguere la realtà dall'illusione, è chiaro solo che si rimane nell'ambiguità, come in fisica accade per il fotone sospeso tra materia ed energia; per ciò ogni "rigidità oggettiva" rischia solo di farci perdere di vista l'importanza dell'Uomo in quanto principale attore della sua realtà.

Questo non deve però farci dire che "la realtà è solo illusione", dato che non possiamo tenere valida neppure questa ipotesi. Ci rimanere l'unica "oggettiva evidenza" che ad essere irriducibile è l'ambiguità dell'esperienza.

Ma allora, perché ci si ostina a tenere le proprie posizioni? Perché ci capita spesso di irrigidirci anche ignorando l'evidenza empirica? La risposta è troppo complessa per affrontarla qui, ma qualcosa possiamo accennarlo.
La mente ha bisogno di schemi fissi per regolare il comportamento. Ogni variazione degli schemi acquisiti è un costo di energia maggiore del loro mantenimento. Quindi "cambiare idea", ha un costo maggiore che mantenere la vecchia e da ciò deriva una certa resistenza al cambiamento.
Tuttavia questa rigidità è manifestamente umana, non animale. Gli animali "si allineano" molto più facilmente alle modifiche dell'ambiente, anche se le loro risposte adattive non sono spesso sufficienti, ciò nonostante capiscono e tentano subito di "riallinearsi" con la nuova condizione. Alle maggiori elasticità adattive umane invece, si oppone una certa "lentenza di adattamento", nel senso che la prima reazione umana non è "accettare il cambiamento" ma opporsi, in ragione del fatto che "l'uomo è consapevole di quanto sia efficace il suo intervento per manipolare l'ambiente".

Ed ora la domanda di rito: se siamo così consapevoli di manipolare "il mondo", quanta residua fiducia possiamo avere del nostro prossimo, nella vita sociale umana, circa l'essere manipolatori o manipolati?


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Saysana
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Direi, zero.


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PietroGE
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-Negli animali il comportamento è programmato, direi geneticamente. E il numero dei comportamenti disponibili è limitato. Manca totalmente la flessibilità.
-Nell'uomo ogni comportamento corrisponde ad una buca di potenziale. I numero dei comportamenti è vasto. Per uscire bisogna spendere energia, e questa non sempre è disponibile.
-Il fotone non può essere sospeso tra materia ed energia perché la materia è uguale all'energia a meno di una costante moltiplicativa ( E = mc^2). E poi, avendo massa uguale a zero si può dire che il fotone è energia. Energia e impulso.


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GioCo
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-Negli animali il comportamento è programmato, direi geneticamente. E il numero dei comportamenti disponibili è limitato. Manca totalmente la flessibilità.
-Nell'uomo ogni comportamento corrisponde ad una buca di potenziale. I numero dei comportamenti è vasto. Per uscire bisogna spendere energia, e questa non sempre è disponibile.
-Il fotone non può essere sospeso tra materia ed energia perché la materia è uguale all'energia a meno di una costante moltiplicativa ( E = mc^2). E poi, avendo massa uguale a zero si può dire che il fotone è energia. Energia e impulso.

Ovviamente @PietroGE, quando indico l'indeterminatezza dello stato materia-energia del fotone non sto indicando altro che dati sperimentali, quelli che paiono raccontarci qualcosa della particella. La famosa equazione che equipara materia ad energia non ci spiega lo stato di permanenza della materia, cioè il fatto che l'energia esiste solo nella perturbazione. Un onda c'è o non c'è per mediazione di un conduttore che nel caso del fotone è il supposto "tessuto spazio-temporale" (che sostituisce il concetto precedente di "vuoto") ma è evidente che la materia che ci circonda pare "rimanere" a prescindere da "una perturbazione". Quindi dire che tutta la materia è energia o che l'energia è un aspetto della materia (se il tessuto spazio-tempo è equiparato alla materia ovviamente) è idendico. Per esistere come manifesti ai nostri sensi i sistemi di riferimento devono essere almeno due: l'agire e l'agito, ciò che si manifesta e il supporto attraverso cui avviene la manifestazione, il corpo e l'intenzione, il soggetto e l'oggetto. Quindi per "indeterminatezza" (alla Heisenberg) intendo che si può rimanere tra questi opposti e saperli entrambi necessari, ma non si può pensare ad uno per eludere l'altro.


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makkia
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La rigidità percettiva peggiora con l'età.
Il complesso delle nostre percezioni si costruisce come un sistema estremamente complesso di interrelazioni fra le percezioni stesse. Si usa a tal proposito la definizione di "orizzonte percettivo" (o cognitivo).

In pratica ci costruiamo una realtà che è (o ci sembra) via via più definita e "soddisfacente".
Cioé: le esperienze che accumuliamo ci danno la sensazione (che può essere fasulla) di essere in grado di affrontare e controllare qualunque situazione che ci si possa presentare davanti. Dal punto di vista adattivo, questo ci rende teoricamente via via più adatti alla sopravvivenza.
Infatti, in via teorica, la macchina da sopravvivenza "perfetta" è quella che non deve adattarsi perché è già adatta a qualsiasi evenienza.

Più banalmente, diventiamo saggi con l'età.

Il rovescio della medaglia è appunto la rigidità percettiva.
Scardinare le nostre convinzioni su come decodifichiamo la realtà, significa potenzialmente mettere in crisi non solo le singole percezioni sulle quali potessimo eventualmente avere dei dubbi, ma il nostro intero orizzonte percettivo. Significa inceppare gli ingranaggi del sistema di interrelazioni. Significa chiedersi se siamo veramente saggi. Se il nostro bagaglio di esperienze sia davvero utile a garantirci la sopravvivenza. Se siamo davvero l'eccezionale macchina da sopravvivenza che crediamo di essere.

Ecco perché rifiutiamo di "cambiare idea", perché "la strada vecchia" non si lascia, "la squadra che vince" non si cambia.

I bambini sono estremamente curiosi e adattabili. Gli animali sono in teoria eterni bambini, ma anch'essi con l'età perdono parzialmente la capacità di apprendere e adattarsi.

La domanda finale non ha molto senso, mi pare. E' un bisticcio lessicale.

Noi abbiamo fiducia di saper "manipolare il mondo", ma non nel senso di cambiare "creativamente" le nostre percezioni. Non manipoliamo nell'accezione di imbrogliare o indurre qualcosa/qualcuno a fare qualcosa senza che lo voglia o se ne accorga.
Manipolare in senso dell'azione dell'Homo Faber (e in quello abbiamo una fiducia francamente eccessiva): cambiare non tanto le percezioni ma lo stato di fatto dell'oggettività.

Ma questo non c'entra col prossimo, la società e il nostro/altrui ruolo: gli altri umani, singoli o socialmente considerati, sono manipolatori del mondo "potenti" quanto noi. Poco più o poco meno, ma giocano al nostro livello. Non ha senso chiedersi chi sia un "manipolatore" (nel senso di burattinaio). E infatti la fiducia che abbiamo è solo quella realtiva al fatto che, singoli o gregari, abbiamo un maggiore o minore impatto sul mondo fisico (e di solito pensiamo di avere un enorme potere su di esso).
Non certo se siamo o meno in grado di piegare il tessuto della realtà percettiva alla nostra volontà.

Paradossalmente invece facciamo il contrario: siamo parecchio meno potenti di quello che crediamo ma ci costruiamo delle illusioni in proposito.
Cioé, pieghiamo la realtà delle percezioni, ma non alla nostra volontà, bensì ai nostri desideri.
Questo non è affatto consapevole, né desiderabile adattivamente: siamo irrealistici nelle aspettative. Manipoliamo solo noi stessi. Se ci accorgessimo di farlo, smetteremmo subito, perché è un comportamento controproducente, che ci lascia (spesso) indifesi rispetto alla realtà.


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Truman
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Una chiosa:

...questo discorso è valido se affermiamo convinti che "ciò che è esterno al corpo è reale, mentre il resto è illusione", così come diceva Aristotele. Noi però dobbiamo sempre tenere presente che non esiste un "peso di serietà e qualità definitivo" per distinguere il vero dal falso. Affermare che l'unica realtà è quella oggettiva, ci fa correre il grave rischio di sostenere che il vissuto della persona sia secondario rispetto alla realtà.

Forse le cose sono più complesse di quanto vorresti. Nel brano qui sopra parti dalla dicotomia realtà/illusione, passi subito dopo a vero/falso, per poi tornare alla "realtà".
E qui sarebbe il caso invece di chiarire che si parla di dicotomie decisamente diverse, attinenti ad ambiti (discipline) diversi: la dicotomia realtà/ illusione riguarda l'ontologia mentre quella vero/falso riguarda la logica. Confondere i due campi porterebbe all'affermazione di Guglielmo, il grande leccaculi (Hegel di cognome) secondo la quale "tutto il razionale è reale". E' un approccio pensato per sostenere il potere costituito.

E allora reale si contrappone non solo a illusione, ma anche a desiderio, sogno, fantasia, ma soprattutto (mia personale opinione, che forse Debord supporterebbe) si contrappone a spettacolo, recita. Ricordando sempre che la diffusa contrapposizione tra reale e immaginario può essere in alcuni casi capovolta, con l'immaginario che è più reale del reale grezzo.

Poi nel linguaggio colloquiale potremmo a volte omologare "vero" con "reale", purchè sia chiaro di cosa stiamo parlando.

Nel merito del discorso, comincio a pensare che la realtà sia sempre, intrinsecamente, costruita, perchè composta di percezioni sensoriali e metodi per interpretare tali percezioni, per cui criticare chi sa di costruire la propria realtà, pensando di non avere proprie costruzioni mentre si critica, può portare a errori grossolani. Si potrebbe dire che gli errori peggiori li fa chi non è cosciente di avere preconcetti.

Sto qui raccontando posizioni mie, che non andrebbero confuse con quelle del costruttivismo (in psicologia e filosofia) il quale mi dà la sensazione di introdurre suoi dogmi dove cancella quelli degli altri.


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Georgejefferson
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Scusa Gioco non ho ancora letto tutto ma...

" Nello stimolo soggettivo indicheremo tutti gli stimoli, sia reali, sia immaginari che raggiungono l'attenzione di un soggetto"

Non ho capito, per reali intendi fisici? E se si quale la forza originaria? Poi e' descrivibile quella preupposta forza in termini fisicalistici, oppure e' meglio pensarla come sostanza immateriale? E l'assunto sopra presuppone che l'immaginazione non sia una forza "reale"?

Altrimenti non capisco bene i termini del discorso, se voglio giudicare che siano chiari e idonei.


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PietroGE
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Confondere i due campi porterebbe all'affermazione di Guglielmo, il grande leccaculi (Hegel di cognome) secondo la quale "tutto il razionale è reale". E' un approccio pensato per sostenere il potere costituito.

Se non fosse vero che "tutto il razionale è reale" o meglio, che è in qualche modo connesso con il reale, quest'ultimo non sarebbe comprensibile. Eppure lo è, e la scienza testimonia questa "strana" proprietà del pensiero : la connessione tra immaginazione e realtà.


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Truman
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Confondere i due campi porterebbe all'affermazione di Guglielmo, il grande leccaculi (Hegel di cognome) secondo la quale "tutto il razionale è reale". E' un approccio pensato per sostenere il potere costituito.

Se non fosse vero che "tutto il razionale è reale" o meglio, che è in qualche modo connesso con il reale, quest'ultimo non sarebbe comprensibile. Eppure lo è, e la scienza testimonia questa "strana" proprietà del pensiero : la connessione tra immaginazione e realtà.

«Leggi romanzi?» Scuoto la testa. «Questo è un limite. Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando. Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere.»


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PietroGE
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«Leggi romanzi?» Scuoto la testa. «Questo è un limite. Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando. Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere.»

Mah, a volte uno va anche al di là del limite e scopre la razionalità del reale senza comprendere pienamente quello che ha scoperto. Cento anni di discussioni e fiumi di inchiostro sulla interpretazione della Meccanica Quantistica, senza cavare un ragno dal buco, lo stanno a dimostrare.


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GioCo
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Una chiosa:

...questo discorso è valido se affermiamo convinti che "ciò che è esterno al corpo è reale, mentre il resto è illusione", così come diceva Aristotele. Noi però dobbiamo sempre tenere presente che non esiste un "peso di serietà e qualità definitivo" per distinguere il vero dal falso. Affermare che l'unica realtà è quella oggettiva, ci fa correre il grave rischio di sostenere che il vissuto della persona sia secondario rispetto alla realtà.

Forse le cose sono più complesse di quanto vorresti. Nel brano qui sopra parti dalla dicotomia realtà/illusione, passi subito dopo a vero/falso, per poi tornare alla "realtà".
E qui sarebbe il caso invece di chiarire che si parla di dicotomie decisamente diverse, attinenti ad ambiti (discipline) diversi: la dicotomia realtà/ illusione riguarda l'ontologia mentre quella vero/falso riguarda la logica. Confondere i due campi porterebbe all'affermazione di Guglielmo, il grande leccaculi (Hegel di cognome) secondo la quale "tutto il razionale è reale". E' un approccio pensato per sostenere il potere costituito.

E allora reale si contrappone non solo a illusione, ma anche a desiderio, sogno, fantasia, ma soprattutto (mia personale opinione, che forse Debord supporterebbe) si contrappone a spettacolo, recita. [...]

Un conto è il piano dell'astrazione @Truman, un altro è quello dell'esperienza pratica. Vero e falso non sono solo categorie della logica aristotelica, ma costrutti con cui è realizzato il nostro giudizio sulle cose, in questo senso l'etologia (lo studio sui modelli animali) ci insegna che non esiste distanza tra logica classica (valutazione) e ragione epistemologia (storia della teoria). Ogni evoluzione del pensiero è una storia di veri e falsi teorici che si contrappongono continuamente. In quanto a cos'è reale, mi pare d'essere stato chiaro nel dividere stimolo oggettivo da stimolo non oggettivo e in quest'ultima categoria inserire tutti gli stimoli che non hanno una corrispondente sorgente esterna al corpo. Non esiste un altro modo per distinguere questi epifenomeni, a parte l'uso a me ostico di neologismi, quindi semmai il problema è non scivolare sui termini volendoli rigidamente "dati". La lingua evolve è dinamica, cerchiamo di non fossilizzarci sui termini e non fare l'errore di scambiare il contenuto con il contenitore. Comunque a scanso d'equivoci il vocabolario non è il mio ma preso pari pari dai manuali di psicoanalisi (costruttivista, aggiungo), come nell'incipit e non dalla filosofia a cui certamente questi manuali attingono a piene mani ma non con ottica filosofica, ma alla luce delle teorie della mente di ultima generazione.

@Georgejefferson è tutto molto più semplice. Uno stimolo esterno al tuo corpo di cui puoi avere esperienza e verifica è considerabile a buon diritto reale. Ad esempio se ti fai un tè e te lo bevi, tutti gli stimoli, da quelli visivi, uditivi, olfattivi e via dicendo provengono da "fuori" rispetto al tuo corpo. Niente potrà mai darti certezza che era solo una allucinazione, tuttavia la pratica (ad esempio il fatto che il pentolino poi lo devi sciacquare) suggerisce una certa memoria ambientale che permane e resiste al cambiamento. Questa (per quanto può ancora essere inscritta, ribadisco, in una esperienza allucinatoria) non puoi comunque confonderla con "il sapere di immaginare che ti fai un té". Cioè, per quanto sia vissuta "irreale" la prima o "reale" la seconda esperienza, c'è indubbiamente una sostanziale differenza che la nostra mente è in grado di "valutare", in potenza se non proprio in pratica, poiché è una differenza che è in noi umani e pare proprio una capacità innata ed esercitabile, come parlare o camminare. L'attività dei nostri circuiti nervosi pare confermare questa ipotesi, perché nel primo caso lo stimolo periferico (ad esempio olfattivo) viaggia al cervello con meccanismi retro-attivi (anticipazioni) che si sommano, nel secondo c'è solo il meccanismo retroattivo.


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ohmygod
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esempio: l'applicazione, una semplice equazione comparativa, divenne una sconcertante traccia rilevata nel corso quotidiano della lettura virtuale.
non ho sottomano esempi, se ne trovano in giro, anche nel the.

l'esempio è calzante, è sufficiente conoscerne la misura per renderlo tale.


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Georgejefferson
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Ma non mi hai risposto Gioco, e cosa pensi tu al riguardo anche non mi hai risposto.
Non ti ho mica chiesto il significato di reale dato da alcune ( o la maggior parte ) correnti di pensiero.

Se concordi col fatto che con reale intendiamo "che esiste" io non ho capito perche l'immaginazione sarebbe irreale (cioe' non esiste) dato che la distingui dal reale esterno, a meno che stabilire un primato a priori senza dimostrazione dell' "esterno"
per lo status di "esistente", e quindi annulli l'esistenza della potenziale personalita.

Poi il discorso verte su probabili similitudini ma in termini di uguaglianza totale
(siamo fatti cosi ecc...quindi tutti, e poi il presupposto di uguaglianza con gli animali sembra dato per scontato)
e cosi annulli dal dialogo le diversita' potenziali
(potenziali, quindi non necessariamente di fatto e ci sarebbe da discutere il perche eventuale)..dell'interazione volontaria della persona (pur se ognuno diversamente e a diverse proporzioni)

Tra l'altro si puo aprire uno scenario altro sul discorso volonta desiderio di Makkia, perche non e' mica tanto chiaro, ma devo ritagliarmi del tempo.

E poi ancora il discorso delle correnti contemporanee che non sono in ottica filosofica (e che significa di preciso?) ma attingono a piene mani ecc..

Insomma tanta carne al fuoco ma mica mi sto fossilizzando sui termini, tutt'altro, chiedevo solo quali sono i significati per te.

Magari quando ho tempo ci torno su.


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GioCo
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[...]
Se concordi col fatto che con reale intendiamo "che esiste" io non ho capito perche l'immaginazione sarebbe irreale (cioe' non esiste) dato che la distingui dal reale esterno, a meno che stabilire un primato a priori senza dimostrazione dell' "esterno"
per lo status di "esistente", e quindi annulli l'esistenza della potenziale personalita.

Poi il discorso verte su probabili similitudini ma in termini di uguaglianza totale
(siamo fatti cosi ecc...quindi tutti, e poi il presupposto di uguaglianza con gli animali sembra dato per scontato)
e cosi annulli dal dialogo le diversita' potenziali
(potenziali, quindi non necessariamente di fatto e ci sarebbe da discutere il perche eventuale)..dell'interazione volontaria della persona (pur se ognuno diversamente e a diverse proporzioni)
[...]

Non ho detto che concordo sul fatto che "reale" sia "che esiste", dato che l'idea tassonomica di "esistenza" è indimostrabile, oltre ad essere un argomento ontologico di cui si occupa la filosofia e non il mio post. Se vuoi un mio parere personale, ho già scritto e detto infinite volte che l'immaginazione per me può essere reale al pari della realtà oggettiva per l'esperienza soggettiva ma questo non ci dice nulla circa l'esperienza oggettiva; inoltre non mi sognerei di dire che c'è uguaglianza tra categorie animali. Non metto sullo stesso piano un ameba e un cane, così come un uomo e una scimmia. Tuttavia concorderai con me che ameba, scimma e uomo calcano questo luogo terraqueo da tempo immemore insieme, perciò come non puoi cancellare le differenze, nemmeno ti puoi permettere di cancellare gli isomorfismi strutturali (definiti già come astrazioni in matematica). Piuttosto trovo insopportabile che si voglia sempre ricondurre a una amalgama indistinta un tentativo di equiparazione di modelli animali che posono dirci molto su chi siamo, quando definire una distinzione in campo ontogenetico è spesso più complicato che definire una similitudine, ad esempio il ridicolo rifiuto dell'etichetta "animali" per gli umani, come fossimo venusiani, appunto. Il problema è ancora una volta interpretativo. Sto cercando di far passare dei concetti che non rispondono alle categorie date e per ciò diventa obbligatorio fare uno sforzo per capire il significato senza lasciare che a "comandare" nella testa siano le categorie già acquisite.
In particolare qui parlo di esperienza, intesa proprio come quella corporea che per stare qui e parlare in questo blog si presume sia in presa diretta oltre che discretamente cumulata (a meno che non siamo dei bot, cioè dei "programmi intelligenti").


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GioCo
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[...]
Ma questo non c'entra col prossimo, la società e il nostro/altrui ruolo: gli altri umani, singoli o socialmente considerati, sono manipolatori del mondo "potenti" quanto noi. [..]

Se capisco bene @makkia, un prestigiatore ha le mie stesse possibilità di rubare? Un economista di giocare in borsa? Un esperto di arti marziali di fare a botte? Io con questi non mi metto a giocare, a meno che non sia costretto.

Il potere ho già detto in altre sedi che è una categoria dal significato molto scivoloso e non a caso solo di recente, alla luce degli studi di biologia, antropologia, sociologia (etc.) oltre che del sistema nervoso più avanzati, a livello accademico si è iniziato a fare ipotesi credibili interdisciplinari per mettere in luce certe modalità di "potere" nella relazione umana. Ma dire che rappresentino "il potere" tout court, dobbiamo andarci piano.
Una delle poche cose chiare (ma ancora abbastanza chiuse tra le mura accademiche) è che il "potere" è congruo a un esercizio di gestione delle risorse, dove per "risorse" si intente qualunque cosa sia considerato vitale per la comunità che condivide lo sfruttamento della risorsa, quindi le risorse diventano le entità definenti la realtà etnica. Se siamo nel deserto e la risorsa è l'acqua, chi determina l'accesso all'acqua ha potere sul resto della comunità. Il potere in questo caso è socialmente difeso, non in quanto riferito al soggetto che amministra la risorsa, ma perché lui rappresenta a un tempo la comunità intera e risorsa quindi la coesione sociale.
Ci sono per ciò risorse antropologicamente centrate, ad esempio le femmine umane (fertili) in quanto banalmente possono generare prole (senza di loro per adesso è duretta riuscire a "generare"). Se possiamo estinguere gli uomini senza gravi danni, sarebbero guai seri se si estinguessero le donne, per questo per secoli le guerre erano combattute tra uomini. Oggi le cose sono cambiate per semplici questioni numeriche: con sette miliardi di persone in costante crescita, ci si può permettere qualsiasi carneficina in guerra o che le donne si massacrino come e meglio degli uomini al fronte.
Le risorse sono quindi sociali per definizione, uno dei dilemmi della nostra realtà econocentrica è che tenta di definire private le risorse, in un paradosso strutturale che è un ossimoro socialmente irrisolvibile, se non con la pedissiqua rarefazione delle risorse umane. Cioè l'estinzione di massa e la sterilità perpetua. Credo sia la ragione per cui a certi livelli della struttura gerarchica della nostra organizzazione sociale, gli individui sembrerebbero tendere a legarsi religiosamente a un idea mistificata di Uomo asessuato ed eterno. Cioè compulsivamente e invariabilmente asociale.


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