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TI-IT quella benedetta striscia trasfrontaliera


vic
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Esistevano una volta gli Insubri. Pare occupassero in buona sostanza quella che e' oggi la zona di frontiera tra Canton Ticino ed Italia.
E' anche per questo motivo che e' stata istituita, da anni ormai, la cosiddetta Regio Insubrica.
In Ticino sanno tutti cosa sia, cosa faccia, soprattutto cosa non faccia. In Italia manco i giornalisti, molti di loro, sanno cosa sia questa Regio Insubrica.

Dovrebbe essere l'organismo istituzionale transfrontaliero che si occupa di gestire i problemi comuni a cavallo della frontiera. Il nome e' stato scopiazzato dalla Regio Basilensis, pure quello organo isituzionale transfrontaliero, li' le frontiere sono tre; Svizzera, Francia e Germania. Il fatto e' che la Regio basilensisi funziona a meraviglia, guidata dal pragmatismo tipico dei tedeschi. Gli Alsaziani francesi in fondo hanno una cultura tedesca, tant'e' che il loro dialetto somiglia parecchio allo Schwyzertütsch.

La Regio Insubrica, come efficacia, non e' lontanamente paragonabile alla Regio Basilensis.
Come mai? I motivi sono essenzialmente due. Avendo a che fare con le istituzioni italiane, la mentalita' e' quella li', purtroppo. Poche ciance, l;Italia si trova dove si trova e come si trova per via della mentalita' dei suoi politici. Quelli che ganassano tanto, tradiscono appena possono, accorrono eternamente in soccorso del vincitore, anche se quello li stritola in vari modi. Ma soprattutto, ormai non hanno piu' la minima cultura politica fra il popolo.
L'altro motivo per cui la Regio Insubrica non funziona, e' che l'altro interlocutore e' il Canton Ticino.
Che come ben si sa e' intriso di cultura italiana, nel bene e nel male.

Da qualche anno a complicare la situazione sono arrivati due macigni: l'UE e la globalizzazione.
L'UE, checche' se ne dica, costituisce uno spartiacque lungo la frontiera. Non solo per via della moneta, ma anche per via della mentalita' di governance per Diktat. Che sottintende la cancellazione quasi totale dei tradizionali diritti popolari. Di uno scempio sistematico dello stato sociale, ecc. ecc.

La globalizzazione mostra dei risvolti locali. Il fossato economico fra di qua e di la' della frontiera e' piuttosto profondo. Prima non era affatto cosi', anzi tutto il Norditalia era visto come un vero motore economico che beneficiava anche quel cuneo infilato li' dentro che si chiama Canton Ticino.

Oggi le cose stanno cosi': il frontaliere viene a lavorare in Ticino per due motivi: c'e' ovviamente qualcuno che gli offre lavoro, ma siccome spesso questo lavoro e' remunerato troppo poco per chi vive in Ticino, tenendo conto delle innumerevoli e consistenti spese obbligatorie.

Da questo stato di cose sono nate varie iniziative politiche volte a dar la preferenza nell'impiego ai residenti. Nota bene residenti del Canton Ticino, mica possessori del passaporto rossocrociato.
L'efficacia di queste isure e' difficile da quantificare, ma ad occhio sembra una quisquilia. Tant'e' che i frontalieri sono ormai 65mila suppergiu'. Tradotto: 65mila che entrano in auto la mattina e se ne tornano a casa oltrefrontiera la sera.

Che torna oltrefrontiera e' pure un bel malloppo di stato, circa il 40% delle tasse ritenute alla fonte ai frontalieri. Questo malloppo prende la via per Roma verso il mese di giugno. Il suo nome e' "ristorni".
Il recente accordo fiscale fra Svizzera ed Italia dovrebbe cambiare questo sistema dei ristorni. Il frontaliere dovrebbe pagare le tasse in Italia, da cui verrebbe dedotta la quota alla fonte ritenuta dal Canton Ticino. Tutti questi condizionali stan li' perche' il parlamento di Roma l'accordo non l'ha ancora ratificato.

Insomma di motivi per accordarsi ce ne sono a bizzeffe, ma pure di motivi che dividono le posizioni.
Tutto cio' a cavallo di una frontiera di stato, ma non di usi e costumi, ne' di dialetto.
L'unico uso e costume diverso e' la mentalita' dei funzionari e direi pure dei politici.

Ma anche quella dei giornalisti. Non percepiscono allo stesso modo i problemi transfrontalieri al di qua o al di la' di questa linea bizzarra tracciata sulla carta geografica.

Questo lungo preambolo per introdurre il battibecco fra due giornalisti che la frontiera la conoscono a menadito: Bazzi di qua e Campione di la'. L'oggetto della contesa e' se sia giusto che un medico primario transfrontaliere continui anche dopo decenni di lavoro remunerato benissimo, a non spostare il domicilio in Ticino.

vic

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da:
http://www.liberatv.ch/it/article/34692/dario-campione-nello-spazio-unico-della-regione-transfrontaliera-la-residenza-di-un-primario-non-ha-alcun-peso-qualcuno-vorrebbe-un-muro-di-mattoni-altri-si-accontentano-del-filo-spinato-o-delle-dogane-chiuse-di-notte-ma-la-sostanza-identica-i-frontalieri-sono-un-bersaglio-facile-perch-inerme-forse-ora-di-smetterla

Dario Campione: "Nello spazio unico della regione transfrontaliera la residenza di un primario non ha alcun peso. Qualcuno vorrebbe un 'muro' di mattoni, altri si accontentano del filo spinato o delle dogane chiuse di notte. Ma la sostanza è identica. I frontalieri sono un bersaglio facile. Perché inerme. Forse è ora di smetterla"
Il giornalista comasco: "I frontalieri lavorano in Ticino, i ticinesi fanno la spesa nei supermercati italiani e riempiono i ristoranti d’oltrefrontiera. Traggono cioè, tutti quanti i vantaggi della globalizzazione senza farsi troppe domande. Sebbene continuino a incontrare, sulla strada del consenso, chi fomenta odio e rancore"

Dario Campione, collega del Corriere di Como, mi ha inviato ieri alcune riflessioni dopo il mio articolo (leggi qui sotto) in risposta a quello che ha pubblicato sul suo giornale domenica in merito al caso del primario frontaliere che lavora all’EOC (leggi qui: http://www.liberatv.ch/it/article/34680/primario-frontaliere-all-eoc-inaccettabile-l-articolo-di-liberatv-e-sul-confine-c-un-clima-irrespirabile-a-causa-dell-azione-politica-di-lega-e-udc ). Le nostre opinioni sul caso divergono, ma le riflessioni di Campione contengono interessanti spunti di riflessione e di dibattito. Per questo gli ho chiesto il permesso di pubblicarle.

emmebi

di Dario Campione - 4 aprile 2017

Gentilissimo Marco Bazzi,

ho letto oggi un articolo sul suo portale in cui vengo chiamato in causa direttamente e mi permetto quindi di replicare in forma breve.
Una sola premessa: ribadisco in toto quanto ho scritto sul Corriere di Como domenica scorsa. E lo faccio alla luce delle sue obiezioni che non riescono a rispondere in modo coerente alla critica principale da me formulata, vale a dire l’uso strumentale che una certa politica e una certa informazione fanno della questione frontalieri.
Credo che lei abbia volutamente scavalcato il punto principale della mia analisi, vale a dire il fatto che viviamo uno spazio unico in cui la frontiera non è una barriera ma un punto di allaccio. Il “muro” non è retorica né ideologia. È un’idea fissa di alcuni (basti vedere alcune prime pagine, anche recenti, dei domenicali politici) e un’ipotesi di lavoro per altri. Qualcuno lo vorrebbe di mattoni, qualcun altro si accontenta del filo spinato o delle dogane chiuse di notte. Ma la sostanza è identica.
Le due realtà - quella italiana e quella ticinese - restano divise e non sono capaci di dialogare, soprattutto sul piano politico. Al contrario i cittadini normali vivono molto più serenamente questa situazione. I frontalieri lavorano in Ticino, i ticinesi fanno la spesa nei supermercati italiani e riempiono i ristoranti d’oltrefrontiera. Traggono cioè, tutti quanti i vantaggi della globalizzazione senza farsi troppe domande. Sebbene continuino a incontrare, sulla strada del consenso, chi fomenta odio e rancore.
Il vero problema è l’assenza di uno spazio pubblico transfrontaliero in cui si possano discutere le questioni nei loro termini reali e non a partire dalle fantasiose elucubrazioni di chi, oltre il proprio naso, distingue soltanto il volto del nemico. Come insegna Marc Augé, nel mondo della globalizzazione il problema principale è la mancanza di uno spazio pubblico, «quello in cui si forma l’opinione pubblica. Nella Grecia della polis c’era una coincidenza tra lo spazio materiale dell’agorà e il luogo di espressione di formazione dell’opinione pubblica». Questo ruolo, oggi, dovrebbe essere svolto dai media che invece, purtroppo, spesso vi rinunciano.

Nello spazio unico della regione transfrontaliera la residenza di un primario non ha alcun peso. Non è, io credo, né una notizia né tantomeno un argomento su cui polemizzare. Penso che siano invece un pesante fardello ideologico e culturale - su cui sarebbe bene ragionare insieme - tutte le richieste “primanostriste”. La visione della destra ticinese, così come quella di ogni altra destra nel mondo, è protezionistica, non inclusiva, xenofoba (e non assegno a questi aggettivi, che comunque non fanno parte del mio orizzonte ideale, un valore negativo in assoluto). Contro i cambiamenti che non si condividono - ad esempio, gli effetti della globalizzazione - è lecito e giusto lottare. Ma la coerenza impone di chiamare le cose con il loro nome.
I frontalieri sono un bersaglio facile. Anche perché inerme. Forse è ora di smetterla.

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da:
http://www.liberatv.ch/it/article/34684/primario-frontaliere-all-eoc-caro-campione-retorica-la-tua-ecco-perch-la-cosa-inaccettabile-dal-profilo-economico-e-da-quello-politico-qui-non-c-entrano-i-muri-e-ai-partiti-o-facciamo-le-cose-sul-serio-o-se-dobbiamo-prenderci-per-i-fondelli-piantiamola-coi-proclami

Primario frontaliere all'EOC, caro Campione, retorica è la tua. Ecco perché la cosa è inaccettabile, dal profilo economico e da quello politico. Qui non c'entrano i muri! E ai partiti: o facciamo le cose sul serio o, se dobbiamo prenderci per i fondelli, piantiamola coi proclami
Replica al giornalista del Corriere di Como, con alcune precisazioni: il tema non è la nazionalità del medico ma il suo domicilio. Anche alla luce delle iniziative parlamentari firmate da tutti i partiti che chiedono "la precedenza va data alle persone residenti" per tutto il personale medico e non solo quello dell'EOC

di Marco Bazzi - 3 aprile 2017

Forse non ci siamo capiti… Forse non ci siamo spiegati… Il caso del primario frontaliere (primario in ben quattro ospedali pubblici dell’EOC) ha suscitato molto clamore e reazioni contrapposte. Anche oltre confine. Chi lo ritiene uno scandalo e chi una roba normale. Portando il caso all’attenzione dell’opinione pubblica, settimana scorsa, abbiamo scritto che si tratta di una situazione inaccettabile (leggi qui). E lo ribadiamo.

Ecco i passaggi salienti di quell’articolo: “Ci pare francamente inaccettabile che un primario di un ospedale pubblico risieda in Italia e abbia lo statuto di frontaliere (…). È inaccettabile non che abbia la cittadinanza italiana, sia chiaro, ma che non viva nel Paese in cui lavora. Perché qui non stiamo parlando di un infermiere o di un capo-clinica. Ma di un primario, dunque di un medico che ricopre un ruolo di alta responsabilità e che per questo viene debitamente remunerato”.

Questo articolo ha fatto andare la mosca al naso a un giornalista del Corriere di Como, Dario Campione, che sul suo giornale l’ha definito ‘a dir poco incredibile’ (leggi qui). Ma mente sapendo di mentire quando, filosofeggiando, critica il nostro articolo mischiandoci al coro dei populisti che urlano ‘dagli al frontaliere’.

Sul Corriere di Como ha scritto: “L’unica cosa inaccettabile di questa vicenda è l’articolo che la racconta. Poiché non si tratta di una notizia né di un fatto rilevante. Si può contestare un medico che non ha la laurea e si spaccia per tale o un medico che non azzecca una diagnosi. Oppure, un medico che dimostri, sul campo, di non saper fare il proprio mestiere e occupi una posizione che altri, migliori di lui, potrebbero giustamente pretendere. Il resto è retorica senza senso".

Invece non è affatto retorica. Ribadiamo: un medico che esercita in un ospedale pubblico o privato in Ticino, primario o non primario, può essere svizzero, canadese, francese, tedesco, italiano, croato, inglese o di qualsiasi altra nazionalità, a patto che sia bravo e che sia domiciliato. Ma frontaliere proprio no!

Il tema non è dunque se ci fossero altri medici di nazionalità svizzera che potessero aspirare al primariato, tema sottolineato da molti lettori che hanno commentato l’articolo sui social, e sussurrato anche da qualche amministratore dell’Ente ospedaliero… Il tema è il domicilio del primario. Punto e basta.

Per chiarezza, dividiamo il discorso in due piani: quello economico e quello politico, iniziando dal primo.

È vero che i frontalieri pagano le imposte alla fonte, ma è anche vero che quasi il 40% di quanto versano al Cantone se torna in Italia sotto forma di ristorni. Le persone che vivono in Ticino, soprattutto se sono benestanti o hanno salari elevati, siano svizzeri o stranieri poco conta, generano invece un importante indotto a favore dello Stato e dell’economia.

Pagano non solo le imposte, cantonali, comunali e federali, ma anche la tassa sul sacco (dove esiste), l’imposta di circolazione, la Billag, la cassa malati, l’elettricità, l’acqua potabile, il combustibile per il riscaldamento, le assicurazioni, l’affitto, e se hanno una casa di proprietà tutta una serie di altre tasse causali.
In Ticino comprano l’automobile e consumano, generando un indotto economico in base alla loro capacità finanziaria e al loro tenore di vita. In questo modo, danno lavoro ad altre persone. E in un’epoca di serie difficoltà per l’economia e per le finanze pubbliche l’indotto generato da ogni singolo cittadino è importante e va preservato. Anzi: va difeso con i denti!

Non sappiamo quanto guadagni il primario in questione, ma di sicuro percepisce un salario di alto livello. Pagato interamente dai contribuenti, sotto forma di imposte e di premi di cassa malati.

Passiamo adesso al secondo piano, quello ‘politico’. Se il nostro discorso è, come ha scritto il collega Campione, ‘retorico, stupefacente e inaccettabile’, ci chiediamo per quale motivo i comuni, quando assumono un funzionario dirigente, pongono, già nel bando di concorso, la condizione della residenza nel comune stesso o almeno nella regione. Lo stesso vale (o dovrebbe valere) per gli appalti pubblici: si cerca di attribuirli ad aziende domiciliate nel comune o nella regione.

Secondo Campione e chi la pensa come lui, questa è retorica. “Viviamo lungo la linea di frontiera. Che attraversiamo quasi senza accorgercene – scrive -. Qualcuno, però, ce lo ricorda in ogni istante possibile. E tenta di trasformare quella linea in un muro. Se non di mattoni, almeno simbolico”.

E dagli con ‘sta storia del muro! Questa sì che è retorica. Forse Campione non ha capito che i ticinesi (o la maggior parte di essi) stanno semplicemente cercando di difendere la loro qualità di vita, le loro conquiste sociali e il loro benessere, sempre più messi a dura prova dalla liberalizzazione e dalla globalizzazione.
La stessa globalizzazione che, con la complicità di caste, ladroni, tangentari ed evasori, sta massacrando il lavoro e la ricchezza anche nelle province italiane più virtuose, anche nella ricca Padania e nel Nord-Est, dove il miracolo economico è sempre più un ricordo. E con esso il lavoro e la dignità dei lavoratori.

Conosciamo casi di organizzazioni di ambulanza che assumono sì soccorritori e infermieri italiani se non trovano in Ticino le figure che cercano, ma pongono come condizione che trasferiscano in Svizzera il domicilio. Questo è il discorso corretto che anche l’Ente ospedaliero avrebbe dovuto fare in occasione dell’ultima nomina al primario, che da ben dieci anni – cioè da quando ebbe la prima nomina - fa il frontaliere.

Anche perché la maggioranza di coloro che sono andati a votare il 9 febbraio del 2014 e qualche mese fa l’iniziativa ‘Prima i nostri’ ha dato un chiaro segnale alla politica, politica che governa il Consiglio di amministrazione dell’Ente ospedaliero!

Quel segnale si è tramutato in due iniziative parlamentari della ‘Commissione Prima i nostri’, dove siedono deputati di tutti i partiti, da destra a sinistra.
Una chiede di introdurre il principio della preferenza indigena per il personale dell’EOC: "A parità di requisiti e qualifiche e salvaguardando gli obiettivi aziendali, la precedenza va data alle persone residenti, purché idonee a occupare il posto di lavoro offerto".
Principio che, con una seconda iniziativa parlamentare la stessa Commissione intende estendere anche al “personale delle strutture ospedaliere private e delle altre istituzioni finanziate dal Cantone tramite un contratto di prestazione”. Dunque, istituti per anziani, invalidi e minorenni e servizi di assistenza e cura a domicilio.
Tutta retorica?
La Commissione si riserva inoltre il diritto di approfondire l'opportunità di “estendere l'applicazione di tale obbligo anche a istituzioni finanziate dal Cantone che sono attive in altri settori. Si ritiene infatti che anche enti di diritto privato, nella misura in cui beneficiano di importanti finanziamenti pubblici, possano essere sottoposti dal diritto cantonale a determinati vincoli per quanto attiene alla gestione delle loro risorse, comprese l'assunzione e le condizioni lavorative del personale da essi impiegato”.

Ecco, ma poi quando agli infermieri o ai medici assistenti italiani assunti dall’Ente, o dalle cliniche, o da altri istituti di cura, diremo che per avere il lavoro devono trasferirsi in Ticino, cosa risponderemo a proposito del pluri-primario frontaliere? Che i principi non si applicano reatroattivamente? Ma per favore...

Insomma, o facciamo le cose sul serio o, se dobbiamo prenderci per i fondelli, piantiamola con la politica dei proclami e delle illusioni…


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