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Verità e menzogne: attacco a Pearl Harbor


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Esiste ancora una pletora di “storicamente ignoranti” che credono alla colpevolezza giapponese sull’attacco aereo a Pearl-Harbor, mentre fu uno sporco affare orchestrato dagli Stati Uniti.
Nell’estate del 1940, un gruppo di ricercatori organizzato da William Friedman, il più esperto “criptanalista” del servizio di guerra statunitense, riuscivano ad intercettare e tradurre il “purple code” il sistema segreto giapponese di comunicazione in codice.
Con due apparecchi sincronizzati veniva cambiata la chiave del codice, uno trasmetteva il messaggio, l’altro lo riceveva per la trasmissione in chiaro.
I tecnici statunitensi potevano così captare tutti i messaggi del governo giapponese, ed erano riusciti costruire otto copie degli apparecchi originali giapponesi che venivano poi assegnati a Washington, all’esercito, alla marina e alla base inglese delle Filippine di Cavita.
Così, il dipartimento di Stato, l’esercito e la marina statunitensi erano in grado di conoscere tutte le intenzioni dei piani del Giappone, della politica e i loro interventi sul piano militare, meglio che se avessero partecipato alle riunioni del consiglio di guerra giapponese.
Le relazioni dei messaggi segreti decodificati iniziavano nel 1941 e fornivano agli statunitensi tutte le comunicazioni che intercorrevano tra il governo giapponese, il loro ambasciatore, le relazioni con altri paesi e le decisioni del consiglio di guerra, a quel tempo il Giappone si trovava in guerra con la Cina.

Va osservato che il popolo statunitense non aveva alcuna intenzione d’essere trascinato in una guerra europea, Roosevelt, a Boston il 30 ottobre 1940, durante la campagna elettorale per la sua terza elezione a presidente, dichiarava: “L’ho già detto; ma lo dirò ancora e ancora, e ancora, che i vostri figli non dovranno essere i inviati in alcuna guerra all’estero”.
Era una enorme bugia perché l’intervento contro il Giappone era stato già pensato ed era in via di attuazione.
Nel dicembre 1940, Churchill, riassumendo gli accordi e l’attività svolta e in previsione di quella futura così si rivolgeva a Roosevelt: “Il nostro predominio mondiale, per gli Stati Uniti e per l’Inghilterra, è per i primi sull’Oceano Pacifico e per i secondi sull’Atlantico e l’Oceano Indiano”.
Rieletto per la terza volta alla presidenza Roosevelt dichiarava che gli Stati Uniti erano “l’arsenale della democrazia” e che le forniture belliche all’Inghilterra sarebbero continuate ininterrottamente.

Le decisioni prese da Roosevelt e Churchill escludevano quindi ogni soluzione pacifica delle questioni in corso tra Stati Uniti e Giappone e nella previsione di costringere il Giappone a reagire, faceva convocare l’ambasciatore Nomura, al quale muoveva una delirante accusa attraverso un “ultimatum” riferita alla penetrazione giapponese in Indocina con la quale riteneva il Giappone colpevole, così espressa: “Aver continuato le sue operazioni militari e la dislocazione delle sue forze armate in diversi luoghi dell’Estremo Oriente”, fingendo di dimenticare che il Giappone si trovava in guerra con la Cina e di conseguenza aveva occupato l’Indocina.
Roosevelt informava poi Churchill del suo incontro con Nomura e lo stesso Churchill si affrettava a diffondere con un radio-discorso la potenziale minaccia giapponese su Singapore, Siam e Filippine avanzando così le motivazioni per una possibile entrata in guerra.
Roosevelt affidava poi al capitano Curtis Munson l’incarico di accertare la lealtà di cittadini di origine giapponese verso gli Stati Uniti e li residenti.

Qualche mese più tardi, circa 130.000 cittadini giapponesi, residenti in USA, venivano internati in un campo di concentramento nell’isola Tobago.
A tutto questo si doveva aggiungere le numerose operazioni di violazione delle leggi internazionali statunitensi.
Esisteva quindi già una valida ragione perché il Giappone dichiarasse guerra agli Stati Uniti, ma il governo giapponese continuava nella sua opera di ricerca di un accordo. Infine, Roosevelt e Churchill mettevano in azione il loro piano che consisteva nell’accendere una guerra con il Giappone in modo che fosse quest’ultimo a sparare il primo colpo. I due scelsero infatti la via più silenziosa, quella di un vero e proprio “assedio economico” verso un paese che per densità di popolazione, per esigenze militari dovute al conflitto cino-giapponese, aveva assoluta necessità di importare materie prime.
Gli Stati Uniti concedevano allora alla Cina, in guerra con il Giappone, un prestito di 100 milioni di dollari. Vietavano ogni esportazione di materie prime dalle Filippine al Giappone, infine chiudevano il Canale di Panama alle navi giapponesi.
Questi atti riducevano il Giappone in condizioni disastrose, causando carenze alimentari ed un generale impoverimento.

Dopo vari ed inutili tentativi di accordi da parte del governo giapponese con gli Stati Uniti, il 7 dicembre 1941, veniva intercettata dai servizi statunitensi la parte finale del messaggio riguardante un attacco aereo a Pearl Harbor. Da parte statunitense non veniva presa alcuna precauzione perché quell’attacco avrebbe portato il popolo statunitense ad accettare l’entrata in guerra, presentata come una giusta risposta ad una aggressione agli Stati Uniti. Era una prassi largamente utilizzata dagli USA quella di creare un precedente per aggredire altre nazioni; la più recente riguarda l’Iraq accusato di detenere fantomatici mezzi di distruzione di massa.
L’attacco giapponese avveniva con tre successive ondate di aerei pesanti da bombardamenti. In campo statunitense le perdite ammontarono a più di 200 aerei, due corazzate, tre incrociatori, circa 2800 morti e 26 dispersi; vite umane tutte pesanti sulla coscienza dei due compari Roosevelt e Churchill.
Una indiscutibile testimonianza dei fatti è stata resa nelle memorie del generale americano Wedemayer, incaricato dal 1938 del programma di distruzione della Germania. “Dopo che nemmeno le più estreme provocazioni erano riuscite a farci dichiarare guerra dalla Germania, Roosevelt si rivolse al Pacifico, forse il Giappone si sarebbe opposto meno, perché era possibile esercitare una pressione economica e diplomatica che lo avrebbe costretto a dichiararci guerra”.

Fatto che avvenne puntualmente e con la guerra e la caduta del Giappone, agli Stati Uniti si apriva la via di intervento commerciale in Cina ed in Indocina avendo eliminato un pericoloso concorrente.

Sauro Ripamonti
Fonte: www.rinascita.info
Link: http://www.rinascita.info/cc/RQ_Cultura/EkpuFpAkyuIgSWBRCL.shtml
29.02.08


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