Euro, la profezia di Milton Friedman: sarà la fine dell'Ue
Nel 1997 l'economista l'aveva detto. La moneta unica, senza un governo centrale con potere di spesa, aumenterà le divisioni politiche. Facendo fallire l'Unione.
A rileggerla ora, mentre Alexis Tsipras accusa i creditori di voler rovesciare il suo governo e l'Unione europea vive la sua ora più difficile, suona come una macabra profezia.
RISCHIO FRAZIONAMENTO. Quasi 18 anni fa, correva l'anno 1997, il premio Nobel per l'economia Milton Friedman, esponente della scuola di Chicago e capofila degli economisti liberisti a livello mondiale, avvertiva che l'adozione di una moneta unica come l'euro, creata senza che ci fossero i necessari fattori di compensazione tra gli Stati dell'Unione, avrebbe portato, nel lungo periodo, al frazionamento dell'Europa.
MOTIVO DI DIVISIONI POLITICHE. Quando Friedman pubblicò la sua analisi The euro: monetary unity to political disunity, la moneta unica era ancora il progetto di un gruppo ristretto di leader politici, economisti e banchieri centrali.
Ma in quelle poche cartelle, aveva previsto il grande paradosso: l'introduzione della valuta comune europea «avrebbe esacerbato le tensioni politiche (...) e trasformato gli choc economici in questioni politiche divisive».
Milton Friedman alla Casa Bianca (GettyImages).
Ottimo strumento negli Stati Uniti, ma non in Europa
Milton Friedman in un'immagine d'archivio. L'economista è morto nel 2006.
(© Gettyimages) Milton Friedman in un'immagine d'archivio. L'economista è morto nel 2006.
Il ragionamento di Friedman era semplice: una moneta comune è un eccellente strumento economico in certe condizioni; ma inadeguato, anzi controproducente, in altre.
La sua bontà o meno dipende dai meccanismi di aggiustamento che esistono tra gli Stati che adottano la valuta unica.
La prima situazione, quella positiva, per Friedman era rappresentata dagli Stati Uniti.
La seconda, dalla allora Comunità europea.
USA, TANTE COMPENSAZIONI. Gli Usa, infatti, presentavano all'epoca - e presentano ancor oggi - molti fattori di compensazione: «Gli americani parlano la stessa lingua, vedono gli stessi film e possono muoversi liberamente da un Paese a un altro, stipendi e prezzi sono moderatamente flessibili e il governo federale spende circa il doppio dei governi nazionali», scriveva l'economista.
E anche le differenze fiscali tra gli Stati, che pure esistono, sono poca cosa se paragonate al peso della «politica comune».
CHOC ECONOMICI ATTUTITI. Il risultato di questo quadro è che gli choc economici - e non ce ne sono stati pochi nella storia statunitense - vengono compensati dal «movimento di persone e capitali, dai trasferimenti di liquidità dall'amministrazione centrale agli Stati e dalla flessibilità di prezzi e stipendi».
L'Europa di allora, invece, non presentava nessuna di queste condizioni favorevoli: i beni e i capitali non si spostavano rapidamente, le differenze nella regolazione del mercato del lavoro e delle relazioni d'impresa erano notevoli, e la Commissione europea - allora e oggi - spende una frazione minima del budget dei governi dell'Eurozona.
UN'ANALISI IMPIETOSA. Per questo, diceva Friedman, l'andamento di prezzi e stipendi è meno flessibile.
E gli Stati membri risultano meno capaci di affrontare i traumi dell'economia.
Un'analisi impietosa, ma che risulta ancora più incisiva se si pensa che viene dall'economista divenuto celebre in tutto il mondo per aver smontato l'idea del ricorso all'inflazione come leva per la crescita.
Dallo studioso più distante da quella sinistra radicale che ha sempre invocato un'Europa più politica.
Il nucleo era la Germania: e oggi poco è cambiato
Atene, la bandiera greca accanto a quella dell'Unione europea.
(© Gettyimages) Atene, la bandiera greca accanto a quella dell'Unione europea.
Nel 1997 gli unici Paesi che presentavano condizioni adatte all'adozione di una moneta unica erano, secondo Friedman, la Germania, l'Austria e il Benelux, che tuttavia continuavano a mantenere le loro banche centrali nazionali.
Oggi cosa è cambiato? Poco. Troppo poco. L'integrazione delle economie 'tedesche', come previsto, è uno dei pochi punti fermi dell'Eurozona.
L'Ue si è dotata di un'autorità centrale in materia bancaria, ma la Bce di Mario Draghi sconta tutti i limiti della mancanza di un governo centrale con possibilità di spesa.
CRISI DEBITO NON SFRUTTATA. Il veicolo per uniformare le regole del mercato del lavoro e delle relazioni industriali è stata la crisi del debito, che ha permesso alla tecnocrazia europea di imporre ricette simili in Paesi a sovranità limitata, seppur temporanea.
Ma quelle norme, ancora più paradossalmente, sono ben distanti da quelle esistenti in Germania e Austria, dove, senza il fardello dell'austerity, gli investimenti pubblici direzionano intelligentemente la crescita e i sindacati hanno un ruolo cruciale nella definizione delle strategie delle imprese.
LA SVALUTAZIONE NON BASTA. L'Ue ha fallito anche nell'esportazione del modello considerato virtuoso.
E il caso greco dimostra che Friedman aveva ragione: la mancanza di fattori di compensazione, rende la Grecia incapace di superare la crisi facendo affidamento solo sulla flessibilità degli stipendi, la famosa svalutazione interna.
«L'euro nasce con un obiettivo politico, porterà all'effetto opposto»
Romano Prodi.
(© Ansa) Romano Prodi.
In un'intervista del novembre 2014, quando già il progetto europeo aveva subito duri colpi, Romano Prodi difendeva così l'introduzione dell'euro: «Non è, come si dice comunemente, un progetto dei banchieri».
Anzi, diceva alla rivista Limes l'ex premier italiano ed ex presidente della Commissione Ue: «È la più innovativa idea politica dopo la fondazione dell’Unione europea. La grande e irreversibile decisione di unire gli europei in una sola entità politica a partire dalla moneta».
UNA QUESTIONE TECNICA. Alla fine degli Anni 90, un salto di qualità politico per Prodi era impossibile: «Le discussioni su una politica di difesa comune si erano fermate su progetti minimalisti, bilaterali, di cooperazione. Quanto alla politica estera, le divisioni sul Medio Oriente o sull’influenza americana nel nostro continente erano evidenti».
Per questo si pensò di superare gli ostacoli sfruttando la presunta neutralità della tecnocrazia: «L’aspetto monetario», argomentava Prodi, «era affrontabile con argomenti tecnici, con i numeri, con le statistiche, che spesso tranquillizzano i politici e l’opinione pubblica».
L'integrazione che doveva seguire però si è bloccata. L'Europa della speranza, ammetteva in quella stessa intervista il padre italiano dell'euro, è stata sostituita dall'«Europa della paura».
Ma Friedman in qualche modo aveva previsto anche questo.
BARRIERA DELL'UNITÀ POLITICA. «La spinta per l'euro», spiegava l'articolo del 1997, «viene dalla politica, non dall'economia. L'obiettivo è quello di collegare Germania e Francia in maniera così stretta da rendere impossibile una nuova guerra europea e creare le basi per la federazione degli Stati Uniti d'Europa. Ma io credo che l'adozione dell'euro porterà all'effetto opposto».
La conclusione della riflessione era questa: «L'unità politica può pavimentare la strada per l'unità monetaria. L'unità monetaria imposta in condizioni sfavorevoli diventerà una barriera per l'unità politica».
Ho letto questo articolo e per quelle che sono le mie capacita' di lettura e di sintesi capisco che Friedman avrebbe voluto una forzatura maggiore nel "piu' Europa", pena il fallimento dell'Euro.
Da un canto si indicano e si riconoscono le diversita' varie fra i popoli, con cio' ammettendo un arbitrio bello e buono, quello di condizionare forzatamente una unita' di insieme che nemmeno si potrebbe contemplare dopo secoli come evoluzione naturale, nel senso che determinate cose non si possono prevedere, figuriamo fantasticarci e giocarci su; dall'altro si evidenzia quanto la preoccupazione di questo "esperto" sia per il fallimento economico e di potere piuttosto che per quello civile, in senso di civilta', e quindi umanitario.
Per quanto riguarda la storia americana, nemmeno sono convinta della bonta' del suo federalismo, la questione sarebbe piu' complessa e le conseguenze sicuramente le piu' disparate, sia sotto l'aspetto positivo che negativo.
Brilla senza dubbio anche nel sogno americano una base motivazionale altra da quella evolutiva nel senso etico, libertario e di pace: quella cioe' a favore di un wilsonismo coloniale e imperialistico volto a condizionare e dirigere il mondo intero.
Che l'Europa dunque debba porsi a baluardo della offensiva mondiale americana e' un punto basilare di partenza ma certo il pensiero occidentale europeo dovrebbe rigettare i semi e i metodi dell'americanismo imperialista e ritrovare, sepolto attraverso decenni di condizionalmento culturale, politico ed economico, il suo originale spirito indipendente, e farlo rinascere.
Milton Friedman dà uno schiaffo morale a tutta quella sinistra che vede nell'ipocrita Naomi Klein (che mai si è pronunciata sull'euro), la quale dedicò un intero libro intitolato Shock economy ad una critica al pensiero di Friedman, e nel suo amico Troikas i loro punti di riferimento.
Mi attengo all'articolo non conoscendo i meccanismi economici. Si tratta di politica monetaria, qui qualche esperto potrebbe magari intervenire per chiarire bene la posizione di Friedman nei confronti soprattutto dell'euro, moneta che io considero un marchio della politica americana in Europa.
In genere cerco di leggere con tranquillita' ben sapendo che posso cogliere poco di concreto per via della mia non preparazione, supplisce quindi un po' il mio desiderio di sapere e di capire ma certo i limiti non risolti sempre tali rimangono.
Cio' che ogni tanto pero' sempre mi lascia perplessa e' l'accusa che si fa all'euro e alla sua conseguente politica monetaria con la motivazione che, a rafforzarlo, come cura, invece che ripristinare le varie sovranita' monetarie e politiche europee, si possa rendere L'Europa un novello sogno americano.
Poi sempre per gli ignoranti come me sarebbe interessante sapere la differenza tra banca centrale nazionale e banca centrale europea per esempio, o Federal reserve etc..... perche' mica sono la stessa cosa.
Poi se tanto ci puzza la Bce, tanto deve puzzare la Fde, saranno leggende ma qualcuno per restituire veramente un potere statale autonomo americano alle banche, o per parteggiare per esso, pare ci abbia rimesso le penne e qualcun altro abbia rischiato grosso. Ma qui siamo in altro ambito, discuterne forse lascerebbe il tempo che trova, e sarebbe invece piu' interessante capire esattamente il pensiero di Friedman nei confronti dell'euro.
Magari arrivano anche Mincuo e Istwine - e pure Nat che almeno a me mette sempre un po' di allegria ogni volta che ricompare e scrive- con pazienza a raccontarci qualcosa, e in quel caso grazie.
Difficilmente qualcuno oggi si assumerebbe la responsabilità di sostenere che la Grecia, restando fuori dall'euro, non si sarebbe risparmiata la tragica fine che gli eurosocialisti le stanno riservando.
L'approfondirsi della crisi greca, italiana, europea, è il prezzo pagato da quanti hanno irresponsabilmente e colpevolmente ignorato i consigli di Friedman e della Thatcher per rincorrere, da sinistra come dall'estrema sinistra, l'ennesima utopia senza porre mente ai costi umani che questa follia avrebbe comportato.
Oppure, peggio ancora, ponendovi mente ma fregandosene altamente essendo sul libro paga della peggiore alta finanza.
Come ho gia' detto, poco ne so per poter dire la mia in cio' che tu descrivi.
Sicuramente se la Grecia continua a svendere, sara' sempre piu' difficile ripartire da zero invece che da tre, una volta usciti, ipotizzando, dalla moneta unica.
Cosa significa intanto preparare la fiera della svendita anche da noi non si sa ma mi sarebbe piaciuto piu' un consigliere e un esperto nostrano e non l'ennesimo esempio americano o anglo americano da seguire.
Poi di che consiglio si tratta esattamente? Quale era il prezioso consiglio di Friedman che l'italia ha disatteso? Concretamente intendo. Nell'articolo intanto lui parla di rafforzamento della unione politica, ma che significa rafforzamento della unione politica in una realta' europea quale quella attuale? Realta' di paesi differenti sotto molti aspetti, culturali, politici ed economici? Con quali mezzi? Quali sarebbero i tempi? Si vuole forse inaugurare una nuova campagna del "fate presto" in ogni campo e aspetto della nostra vita?
Io in genere sono un po' lenta nel capire le cose, ma quando non mi sono chiare aspetto per lanciarmi ed entusiasmarmi per questa o quella campagna. Non mi piacciono le ambiguita', le cose che possono apparire anche superficiali, almeno leggere, nei confronti delle popolazioni alle quali sono in realta' dirette, perche' chi paga alla fine e' sempre tutta la popolazione, tenuta a rispettare quelle leggi sperimentali, figlie di teorie e ideologie di esperti, esperti in campo non solo economico, ma anche politico, giuridico e soprattutto culturale. Mi piace invece chi "parla" chiaro, chi con le sue parole riesce a trasmettere anche uno spirito ed idee logiche, razionali e concrete.
Andro' magari a leggermi qualcosa di Friedman che sia per me piu' chiaro e definito di quello esposto nell'articolo sopra proposto.