Mia madre è stata indirizzata verso le cure palliative dopo che le è stato diagnosticato un tumore al fegato a seguito di un intervento che avrebbe dovuto rimuovere la massa sospetta. L'intervento pero' non è stato eseguito dal chirurgo che "aprendola" l'aveva giudicata troppo grave e le aveva dato pochi mesi di vita senza neanche eseguire la biopsia. Mia madre è stata poi seguita per quasi tre anni a domicilio in cure palliative, sempre autonoma e in discreta salute, solo con sporadici piccoli episodi di dolore. A seguito di una caduta è stata ricoverata in hospice, visto che c'era posto, per la riabilitazione che stava procedendo bene. Al verificarsi di un unico episodio di dolore all'addome pero' i sanitari decidono di cambiare terapia, somministrando via via dosi sempre piu' alte di morfina che rendono a poco a poco mia madre sempre piu' lenta e dopo qualche settimana poco lucida e delirante tanto che poi viene addormentata fino al decesso. A tutti noi che lo abbiamo vista durante la decenza è sembrato palese che il decesso fosse dovuto non all'aggravarsi della malattia ma all'"overdose" dei farmaci somministrati. Vorrei sapere se qualcuno ha avuto esperienze simili. Grazie.
Quando è successo, di recente? Mi dispiace, ovviamente, per questa perdita. Una mia parente, molto anziana, fu ricoverata in una rsa dopo una diagnosi (peraltro dubbia e non approfondita ufficialmente per l'età avanzata) uguale a quella che lei riferisce. Lei era in discreta forma fisica. Dopo il ricovero c'è stato un aggravamento generale in cui più che altro lei appariva sempre meno lucida. Fino alla sua scomparsa, alcuni mesi dopo, data per scontata. Era il 2014. Dopo il disastro del covid, il tema di queste terapie somministrate con sospetta "faciloneria" è emerso in modo evidente, ma probabilmente e in modo meno palese, era un'abitudine già esistente.
Non vorrei esacerbare il vostro dolore, perchè anch'io ne sono toccato per parte mia, ma non escluderei che esistano delle 'procedure' interne, dei 'protocolli' che i medici applicano ai pazienti gravi ed a quelli in fine vita, senza troppo chiedersi se siano adeguati, validi, opportuni oppure siano semplicemente 'legittimati' in via burocratica alla soluzione rapida dei problemi che la lungodegenza pone a strutture ospedaliere già oberate da carichi di lavoro pesantissimi.
In realtà noi di questo sappiamo poco, anzi nulla e non vorrei dire cose sciagurate.
E' successo recentemente; si, i medici seguono i protocolli ma è evidente che appunto li applicano in maniera "sbrigativa" per chi è in fase terminale e nel mio caso però anche a chi non è apparentemente in fase terminale. Le cure palliative andrebbero applicate a chi ha una speranza di vita di max 6 mesi (nel mio caso eravamo a quasi tre anni senza spiegazione medica); il ricovero in hospice di solito è fatto per pazienti che hanno speranza di vita di poche settimane. Per mia madre, dopo due mesi di ricovero, ho la personale certezza che hanno utilizzato il "solito" protocollo anche se il ricovero era per una caduta. Non posso cambiare quello che è successo ma vorrei tanto che non succedesse ad altri senza consenso di pazienti e famigliari.