Si racconta che a metà dell'ottocento un parassita proveniente dall'America minacciò seriamente di estinguere le viti* del Vecchio Continente.
Su questa calamità venne costruito il business del vino che conosciamo, destinato a durare, e a crescere a dismisura, raggiungendo vertici di comicità e innescando una vera e propria psicosi, fino ai nostri giorni.
Furono messi al bando i vitigni autoctoni, pericolosi veicoli del parassita, sostituiti da quelli che conosciamo oggi, innestati su ceppi di vite americana (resistente al parassita che ciclicamente attacca le radici alternando una fase sulle foglie) appositamente preparati e, per l'occasione, venne inventata l'enologia con l'annessa leggenda obbligata che quelli di "prima" non capivano nulla e disponevano di viti di infima qualità, noi invece che siamo scienziati...
Naturalmente l'affare non fu improvvisato, fu condotto da un nucleo che sapeva il fatto suo, e che ne ha tratto grandi vantaggi e dato vita ad ambienti ancora oggi esclusivi e influenti.
* Queste viti resistono ancora qua e là, e ogni tanto i vini che se ne ricavano riappaiono come rarità da mercato nero.
in realtà però, essendo successo il fattaccio in epoca dove c'erano ancora conoscenze agricole vere, frutto di osservazioni secolari, furono innestati su piede americano credo una buona parte dei vitigni allora esistenti, tant'è che anche oggi l'Italia ha la maggior biodiversità viticola mondiale. Nessun dubbio invece sul fatto che se fosse successo oggi, avrebbero scelto 10 varietà da sovrinnestare e il gioco sarebbe finito lì. Di sicuro c'è il fatto che l'affinità di innesto non è perfetta come vogliono far credere, infatti le viti franche di piede campavano oltre il secolo, quelle innestate se tirano i 30 anni è un miracolo, soprattutto se spingi la produttività col miraggio del profitto
L'operazione, allora, ha avuto come centro la Francia, e le qualità commercialmente significative si contavano sulle dita*, la differenziazione è avvenuta in questi ultimissimi decenni, coincidenti con un boom ma anche con un esaurimento del fenomeno e del "monopolio".
* Ricordo bene l'eccitante novità, quando è apparso il pinot grigio (che era rosa). Da noi, tranne che per pochi casi (Piemonte e Toscana) "il vino" era il risultato di vino locale tagliato con vino pugliese (cosa che, più spesso di quanto si pensi, avviene ancora oggi).
PS - Credo che la maggiore biodiversità, in materia di viti e vini, appartenga, con distacco significativo, alla Georgia (nei dintorni del Paradiso Terrestre).
In giro per il podere che conduco si trovano molte piante di vite non innestate, sono sopravvissute agli impianti specializzati degli anni settanta. Hanno una tenacia incredibile, riescono a fruttificare dopo cinquanta anni senza trattamenti o cure producendo acini molto buoni. Nel tempo sto cercando di maritarle con le essenze presenti, dai meli selvatici agli aceri campestri. In questa stagione sono bellissime alcune chiome degli alberi, allo stesso tempo piene di frutti e grappoli d'uva.
sì, se si parla di rilievo commerciale le varietà dominanti sono poche, ma i vitigni iscritti al Registro Nazionale in Italia sono veramente tantissimi, anche se i più entrano solo in piccole percentuali ammesse dai Disciplinari di produzione per le varie denominazioni. Ci sta che la Georgia ne abbia persino di più, è il centro di origine della vite europea. Io nel mio vigneto, circa 7000 mq, ho predominanza di Nebbiolo ma ci sono altri 4 vitigni, e in zona ce ne sono molti altri, il tutto in un'area marginale rispetto alle grandi estensioni vitate italiane. Ora mi taccio perchè so che il tema del post era un altro 😉
in realtà, soprattuttose il terreno è sabbioso (la fillossera non gradisce la sabbia), si può pensare di lasciare viti franche di piede, ci sono piccole zone qua e là con vigneti non innestati (es. nella Camargue). La vite maritata in effetti regala spettacoli non da poco
I romani facevano inerpicare la vite sugli alberi, non sugli alberi da frutto, e la vendemmia costava inevitabilmente qualche rovinosa caduta, ho visto questa tradizione in un paesino dell'Alto Lazio negli anni '70, un posto dove avevano disimparato a fare il vino e più gli veniva male più si ostinavano, ma che quando, per qualche fortunata combinazione, gli riusciva...
vicenda interessante questa della fillòssera...conosco la storia dei principali vitigni sardi ma non sono minimamente un esperto di enologia, né a livello italiano né tantomeno europeo.
Sapevo che la cosiddetta Daktulosphaira vitifoliae colpì vitigni autoctoni dell'isola come il Cannonau (e da qui l'incrocio con qualità americane)
https://it.wikipedia.org/wiki/Cannonau_di_Sardegna_Jerzu
non ero però a conoscenza del fatto che il medesimo problema avesse riguardato gran parte dei vitigni europei, con le conseguenze che hai descritto. Che tu sappia esiste qualche libro che tratti l'argomento in maniera specifica (quindi dalla comparsa dell'insetto in Europa all'utilizzo di varietà americane sul mercato europeo)?
Ti ringrazio, ottimo link con finale significativo: "La viticoltura conosciuta da tutto il mondo antico, medievale e dell'epoca dei lumi era scomparsa per sempre. Nasceva la nuova viticoltura."
Nasceva la nuova viticoltura."
Capito mi hai?
PS - Si tratta di un parassita molto interessante, che attacca un anno le radici e l'anno seguente le foglie, per cui finché qualcuno è stato in grado di scoprirlo pensavano fossero due e non ne venivano a capo.
Ora che preoccupa la viticoltura dalle mie parti è lo Scafoideus titanus vettore della flavescenza dorata...e giù con trattamenti insetticidi obbligatori.
Eh già, a Jerzu sanno il fatto loro...e chissà che doveva essere il Cannonau pre-fillossera!
L'affaire 'filossera' fu anche il motivo per il quale, guarda caso, negli Usa si smise di importare ed utilizzare il cognac francese, che andava per la maggiore come base alcolica dei cocktail - ricordiamo che l'epoca d'oro della mixology va dal 1860 ai primi decenni del '900 - e si cominciò ad usare in modo massivo i loro bourbon (corn=mais) e rye (avena) americani; celebre è il caso del Sazerac, da molti - non da me né dagli storiografi delle misture - considerato il primo vero cocktail della storia: nato a new Orleans grazie ad Antoine Amedeè Peichaud un farmacista creolo appartenente ad una loggia massonica che intratteva i suoi confratelli con questa mistura a base cognac (Si chiama così perché Sazerac de forges et filles era il nome del cognac francese importato che veniva usato) e che invece grazie alla filossera cambiò base e ancora tutt'oggi è universalmente miscelato con base rye o bourbon; mistura prelibatissima che mi concedo solo per le occasioni speciali e che quasi mai riesco a trovare fatto come si deve in giro.
Come cambiare in senso nazional-protezionista una nuova moda, quella dei drink miscelati che in quel secolo esplose e che fece la fortuna di molti furboni, americani, ovviamente. A proposito di business dirottati ad arte.
Stesso destino subirono il Mint julep, l'old fashioned, e tutta la famiglia dei sour e degli sling, prima concepiti con cognac ( e ancor prima ruhm) e poi dirottati tutti sul bourbon e rye. E non era un mercato da poco se si pensa che ci fu una vera esplosione dei drink in tal periodo, gli storici dei drink raccontano che i capostipiti dei grandi bartender come Jerry Thomas e Harry Johnson guadagnavano più del vicepresidente americano e nei loro locali avevano attrezzature d'argento e vere e proprie collezioni di opere d'arte appese alle pareti.