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La rete - dell'aracnide (parte III)


GioCo
Noble Member
Registrato: 2 anni fa
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Se vi sono sfuggite le parti precedenti, dato che sono correlate, al fine di capire la presente vi invito a dargli una letta (QUI e QUI). Ricordo inoltre di tenere a mente, come ribadisco ogni volta, che quanto esposto non si riferisce in nessuna sua parte alla verità, a nessuna verità, perché non è una ricerca di verità ma semplicemente una condivisione di temi per riflettere che vogliono arricchire quadri coerenti con l'osservabile, cioé con ciò che è alla portata dell'attenzione di tutti, indistintamente.

Bene, iniziamo riprendendo gli assunti precedenti con un breve promemoria di quanto condiviso fin'ora.

Ci siamo lasciati con l'oggetto nel precedente POST, nel senso che ho dato tutte le indicazioni per capire bene di cosa stessi parlando, ma non ho tirato poi le somme per lasciare che fosse il lettore ad arrivarci. Per "i pigri" lo farò qui. Il delirio è lo stato provocato da questa "forma aracnide" (fondamentalmente e per il comportamento osservabile un parassita) e in specifico dal suo veleno per come agisce. Perché? Semplice, perché induce uno stato (confusionale) che rende la vittima "cibo".

Niente di più e niente di meno.

Tale stato confusionale appare incompatibile con la possibilità che il veleno fornisce, cioé di esprimere (lucidamente e in modo cosciente) un ultimo desiderio (qualsiasi) come fosse una specie di dono della fatina azzurra o del "genio" della lampada di Aladino, ma con aspetti quasi meccanici, diciamo "scientificamente provabili" con metodo sperimentale. Per ciò quel desiderio rappresenta "la scienza" e le sue promesse solutive. Ricordo che sto indicando una lettura metaforica del mostro (Ygramul le molte) raccontato ne "La Storia Infinita" e che quindi l'attenzione va sui principi esposti. Sto intenzionalmente usando infatti questa figura simbolica (anche forzando un po' la mano rispetto la volontà dell'autore, probabilmente) per raccontare qualcos'altro che altrimenti rimane impossibile da inquadrare (con la Mente che mente che interferisce) proprio per le sue caratteristiche sfuggenti e in specie per l'assenza di forma. Ma una volta inquadrato non si fa poi fatica a vedere, come l'Oceano, perché onnipresente anche se trasparente all'accadere. Come un vetro "che definisce il contenitore" in cui ci troviamo. Non lo vediamo, ma comunque agisce, ha un effetto concreto sulle nostre esistenze.

Tuttavia non è possibile parlare di questo stato confusionale senza introdurre il concetto della rete e senza capire cosa la sostiene (cioè la natura, di cosa è fatta questa "rete"). Il problema di fondo è l'indentificazione, sempre. L'indentificazione prima di tutto nel corpo fisico, come già scritto e poi negli epifenomeni che ci coinvolgono. Questo crea un effetto speculare, per cui l'attenzione si concentra totalmente nei fenomeni "del Mondo" definto dai sensi, perché è l'accadere che ci affascina, come l'Inferno (appunto) e quindi proprio per la sua natura "inferica" che appensantisce (l'animo). Si tratta di un effetto implicito che non controlliamo fino in fondo e che ci porta facilmente a immedesimarci con l'accadere (negativo o significato tale). Quindi sviluppiamo un "attaccamento" all'accadere e nella materia, ad esempio con il senso di colpa, ma non solo. L'attaccamento è qui inteso quindi prevalentemente emotivo, proprio del corpo emotivo. La rete (dell'aracnide) è dunque una sorta di "colla emotiva", un bozzolo o uno stato dell'essere (implicito in noi) rimasticato e rimesso dal mostro che ci avvolge e che ci appiccica (letteralmente) al Mondo della materia. Esso ci impoverisce, deprivandoci della patina di creatività (=immaginazione) che poi è la nostra essenza, togliendoci enormi gradi di movimento. La creatività è la caratteristica fondante del nostro essere per ciò nella misura in cui questo essere viene "inquinato" dai disturbi che lo rendono disarmonico rispetto "l'interezza" di tutta l'esperienza, sia sensibile che no, la creatività diventa la nostra nemica primaria, ciò che ci intimorisce, noi stessi e le nostre concrete potenzialità "pervertite", cioè usate contro di noi. In ultima analisi siamo poi quindi noi a concepire i nostri stessi mostri e le nostre persecuzioni.

Il filo dell'aracnide avvolge il Mondo, trasforma la realtà in una sorta di "pappa" (disgustosa, aggiunerei) velenosa di cui non possiamo fare a meno (perché è il nostro fondamento e la nostra sicurezza) ma che ci consuma e ci avvelena, lentamente, mentre popola la realtà come  parte trasparente del nutrimento dell'essere. Attenzione che quando parlo di consumazione, non intendo mai e poi mai "anima", per quanto il desiderio di raggiungimento della stessa rimane intenso. Infatti (ammettendone l'esistenza) essa non può che logicamente stare totalmente al di fuori dei fenomeni, intoccata e disinteressata, rispetto qualsiasi accadere e per le sue caratteristiche precipue (in quanto essere infinito). A consumarsi è sempre e solo una proiezione "finita" che si muove entro una specie di sceneggiatura "finita", in un rapporto di contenuto e contenitore. Tale sceneggiatura non è altro che un canovaccio di un opera precostituita in cui ci sono dei gradi di libertà, ma ciò che deve accadere accade. Tale proiezione "corporea" rimane indispensabile per fare esperienza entro quest'opera e quindi una volta consumata "a prescindere", se si vuole proseguire, va ripristinata (un po' come la vita in un videogame). Eventualmente, nel caso peggiore inserendo un nuovo "gettone" nella macchinetta per ricominciare da capo un altra vita.

Noi poi rimaniamo immemori delle "vite" precenti consumate quando ripartiamo da capo, ma solo a un certo livello, quello cosciente e terreno. L'altro livello è quello necessario a non ripetere esattamente gli stessi passi allo stesso modo e con gli stessi pensieri, cioé con lo stesso significato. In quando comunque siamo forme pensiero anche quando incarnate e immemori dei nostri trascorsi (e inganni affrontati).

Quindi l'effetto peggiore del veleno di Ygramul, quello che ci rincoglionisce per intenderci, tende a diminuire in quanto a prescindere e con una parte che rimane intonsa rispetto gli avvenimenti, ne facciamo esperienza. Impariamo cioè a rispondere e diventiamo sempre più "resistenti". Non possiamo evitare la morte, perché il veleno è la morte stessa e per venire al Mondo incarnati dobbiamo discendere "nel bozzolo" e quindi essere avvelenati dalla morte. Tuttavia gli "effetti secondari" di quel veleno a ogni giro sono sempre meno efficaci. Quindi è l'ottundimento, l'effetto stordente che si riduce. Al suo ridursi, tutto ciò che ci circonda inizia a svelarsi, cioé a mostrare la sua natura distorta e perversa.

Ci risvegliamo nella tana di Ygramul e di sicuro non è un bello spettacolo quello che "vediamo". Peggio che peggio, non emergiamo esattamente "in forma", cioè nel pieno delle nostre capacità e quindi in grado di affrontare il mostro. Siamo solo appena più resistenti al veleno e per quel minimo che ci occorre per renderci conto che quello che prima credevamo, era un illusione. Forse lo è pure quella che dopo ci si para innanzi, tuttavia avrà la tendenza a mostrarsi infinitamente più coerente e "stabile", cioè presente in via "insistente" (e quindi avrà una certa caratteristica "ossessiva"). Se mi avete seguito fin qui dovrebbe anche essere evidente il perché: non è il semplice spettacolo dei sensi, effimero per statuto, ma qualcosa che ci coinvolge in via molto più profonda e che ci appartiene. Ma considerare tale l'orrore non è esattamente quello che ci aspettiamo, ne avere l'animo di analizzarlo con rigore e logica è esattamente la prima cosa che salta in Mente.

Di conseguenza diventa un esperienza destabilizzante. La ricerca di conforto e di protezione è automatica come l'esigenza di solitudine (gli altri iniziano a spaventarci come fossero cadaveri ambulanti di un Mondo in putrescenza). Se poi si riesce a fare "il salto" (come quello di Neo nel primo film "Matrix") e si esce dalla tana è facile intuire quale "coraggio" sia richiesto per tornare indietro, tanto più se si fa per i "cadaveri" che sono rimasti indietro e con la piena consapevolezza che nonostante siano nostri fratelli ci daranno la caccia, ci malediranno e ci perseguiteranno, perché rappresentiamo per loro solo dolore, follia e incertezza. Cioé deprivazione dalla droga "rassicurante" che è l'identificazione.

L'identificazione! Quella che in certe scritture, di stampo gnostico, è riassunta nel "...io sono..." che occorre per essere nel Mondo e che ci rende coscienti in quanto "pensanti" (secondo Cartesio) o autoidentidicati, riconosciuti nell'immagine (corpo) e in quanto schegge di quell'ente divino unico originale che ha compiuto quest'atto per primo.

Ma che nella lettura dello specchio (rovesciata) significa esattamente il contrario. Ci aggancia all'immagine e ci rende quindi dipendenti dal pensiero (che gravita oltre il Mondo della materia); un pensiero che se nostro è per forza silente (implicito) ma finché non facciamo esperienza della Mente vuota, lo confonderemo con quanto non promana da noi: quella moltitudine di forme pensiero che si estendono ben oltre di noi.

Perché? Ecco qui arriva un altro concetto che rieccheggia in ogni pensiero esoterico e religioso di qualsiasi etnia umana. Cioè che tra noi e ciò che ci circonda non esiste realmente alcuna separazione, come la goccia nel mare. Certo a guardare quanto ci racconta la realtà che ci circonda non sembra proprio. Perché questo "trucco" della non-separazione si esprime oltre il velo. Non lo vediamo.

A meno che... A meno che non si faccia attenzione. Perché comunque non possiamo evitare di esprimere il nostro essere, per quante maschere indossiamo è impossibile. Allora cosa ci permette di renderci conto che "i conti non tornano"?

Beh, per esempio che l'intero vissuto emotivo come quello onirico è derubricato come "fake news". Peccato che è come tentare di rimuovere "solo" la nostra essenza. Qualsiasi tentativo è per forza destinato a fallire.

Quindi tutto a posto? Non proprio. Ci sono dei "rischi" oggettivi piuttosto significativi, in particolare perché la creatività perversa crea fratture profonde e potenti "attrattori" che trascinano TUTTO verso il basso e alimentano l'Abisso e ciò che da esso promana. Non c'è forza che possa resistere all'Abisso. Ma tutto ciò sarà il tema del prossimo POST in cui parleremo appunto dell'Abisso e del rapporto che c'è con la tana di Ygramul e il mostro che da una parte è emanazione dell'Abisso, ma dall'altra è un argine che impedisce di caderci dentro, argine che viene a mancare per chi supera questo primo ostacolo. Quindi il "pericolo" percepito è anche più grade di quello visto fin qui. Interessa il "dopo".

Questi "risvegliati" dal torpore, coscienti di quanto li circonda, avranno da affrontare l'Abisso e ogni volta che vorranno "andare dall'altra parte" verso l'Armonia ormai conosciuta (ad esempio per raccogliere energie) e oltre la tana di Ygramul, i suoi orrori  e perversioni, perché ogni volta rischiano di attirare le "cose" mai dorminenti che vi abitano, emanazioni che metteranno alla prova (il desiderio di potere) e che puntano a plasmare Abominazioni che rafforzano il loro potere sulla coscienza. I mandanti di Gmork (o Moloch) il servo che è sempre a caccia di guerrieri in grado di fermare l'avanzata del Nulla.

Ovviamente si tratta di pericoli emotivi e per lo più legati al problema di "salvare il Mondo" o almeno una qualche sua parte, quando il Mondo non può essere salvato. Se ognuno facesse la sua parte senza voler strafare, dato che è sempre e solo l'esagerazione a fare casino, si salverebbe da sé.


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