Nostra Signora Mort...
 
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Nostra Signora Morte: questa sconosciuta


GioCo
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Ieri sono uscito tardi di casa, per il solito crollo nervoso che poi controbilancio con il sonno quando posso permettermelo. Non sempre ci riesco, d'altronde già Gaber ci ricordava che questo è un mondo che ci consuma dall'interno. Non possiamo fuggire.

Erano circa le 18:00 e avevo come mete la farmacia e prendere qualcosa da mangiare e altra spesa varia. Sapete, anche se non sembra, dato il paravento digitale che ci separa, anche io sono umano. Non è scontato dirlo e non lo sarà nemmeno nel prossimo futuro.

Quindi avevo la testa piena dei programmi per la giornata ed ero di fretta perché era tardi: mentre esco soprappensiero riconosco in prossimità del cancelletto del cortile una figura maschile che si avvicina.

Dovete sapere che è già qualche anno che di tanto in tanto incrocio un mio vicino di circa 40 anni, alto e robusto, apparentemente e in distanza minaccioso ma nel concreto e da vicino uno mite. Tutto il nostro rapporto è che lui si avvicina mentre mi preparo ad andare via in moto per chiedermi: "Hai un euro per caso?".

Me lo chiede sempre allo stesso modo, con la stessa cadenza, lo stesso tono, mai troppo brusco o mellifluo. Un tono che vuole essere rassicurante, caldo nel suo incedere metodico, quasi meccanico, prevedibile quando un circuito elettrico semplice, fatto di un interruttore e una lampadina.

Inizialmente avevo mille fantasie riguardo l'intenzione dietro quella richiesta, anche perché non salutava nemmeno. Allora ho iniziato a marcare il saluto quando lo incontravo, finché non ha cambiato la frase in: "Ciao! Hai un euro per caso?". Certo non un gran che ma non mi importava in fondo il risibile successo dal mio insulso intendo educativo, capivo che dietro c'era un vasto mondo di esigenze differente dalla media dei miei simili e che quel successo così piccolo, poteva tranquillamente avere tutt'altre dimensioni "dall'altra parte".

Quando la storia è andata avanti abbastanza per cui si era creata una specie di "confidenza" (si, lo so che la parola è esagerata, ma non ne ho un altra più adatta, per ciò andate di fantasia e interpretatela così come vi viene) tale da darmi una certa sicurezza che avrebbe risposto con il massimo della sincerità che potevo pretendere, gli ho chiesto cosa se ne faceva di questo euro. Lui mi ha risposto con il candore "classico" che si riceve da chi vive una realtà differente: "Vado a prendermi un caffè". Cioè ha risposto come fosse del tutto normale in quest'epoca chiedere a chicchessia un euro per andare a prendersi un caffè. Ancora di più chiederlo instaurando un abitudine "tra sconosciuti" senza mai sentire l'esigenza di negare l'ignoto "altro" da sé, magari cercando un rapporto più confidenziale, invasivo, "amichevole", di fiducia. La maggioranza tende a considerare una richiesta di questo tipo "bieco sfruttamento", ma questo giudizio salta troppi assurdi particolari. Ad esempio, se davvero c'è la volontà di sfruttare, perché chiedere semplicemente un euro e non vedere se si può ottenere di più con una migliore confidenza? Non è così che veniamo poi davvero fregati, per esempio dagli "amici", dai mercati o nella politica? Per la semplice applicazione della logica di un "approfittatore", un comportamento furbo limitato a un caffé non ha senso.

In effetti appena ricevuto l'euro in mano, il mio "amico" scattava sparato nella direzione in cui si trovavano i bar più vicini, particolare che avevo già notato, ma che non sapevo interpretare prima che mi chiarisse cosa ci faceva con il suo euro. Andava così di fretta che quando si congedava si dimenticava di nuovo di salutare, ma nel tempo siamo riusciti a integrare anche quella formalità, maledetta e inutile quanto "necessaria" in questo mondo moderno della civiltà superficiale.

Non gli davo sempre il suo euro, anche perché non mi ritenevo il suo salvadanaio privato, in particolare non gliel'ho dato l'ultima volta che l'ho visto. Tuttavia qualche volta gliel'ho messo da parte apposta, sopratutto quando temevo di non averne nemmeno per me, non senza però farglielo notare quando poi me lo chiedeva. Un sacrificio da un valore diverso ai gesti e il mio era di certo un sacrificio, anche se così piccolo.

Speravo un giorno di potergli dire di venire a trovarmi nella mia associazione a Sesto dove facciamo degli incontri che hanno il fine di aiutare a socializzare e dove avrebbe potuto avere tutti i caffè che voleva gratis, ma avevo paura che mi dicesse di no, anche perché se chiedeva a me l'euro per il caffè sotto casa, non aveva di certo i soldi per i mezzi pubblici e poi non ero sicuro che avrebbe preso la cosa bene, dato che la mia è una associazione che si occupa di persone che sanno di essere "diverse". Non tutti la prendono bene, non tutti hanno le spalle per accettare lo stigma. Per ciò non volevo bruciarmi l'occasione e me la tenevo per quando fossi stato certo di poterla spendere. Dovevo saperne di più ed anche se non è una giustificazione valida, non ho mai avuto tempo per indagare la realtà di questa persona, anche perché non è così semplice indagare l'altro nel nostro mondo per un comune cittadino. Sapete, la privacy o cretinate del genere sul genere PolCor. Mi era persino venuto in mente di appendere un volantino della mia associazione nella bacheca dello stabile, sperando che magari si facesse vivo un suo parente, riconoscendo i tratti di chi ha tante difficoltà a socializzare.

"Un euro" (questo era il soprannome che gli avevo dato) non aveva un nome per me. Non sentivo il bisogno di chiederglielo e nemmeno lui mi ha mai chiesto il mio. "Istintivamente" ma anche per esperienza personale, sapevo che non avrebbe gradito quest'ulteriore ingerenza educativa e d'altronde per me non era fondamentale. Tutta la nostra relazione era "bastante" dentro quel gesto che per la stragrande maggioranza delle persone è troppo poco anche solo per considerarlo "relazione" tra pari, figuriamoci per stabilire un qualche legame affettivo. Per le persone, tipi come "un euro" sono per lo più una seccatura, magari da evitare quando li si incrocia per strada e non dico che per me è diverso, solo che non è unicamente quello. Ho chiavi che aprono porte maledette, dietro le quali si trovano storie che nessuno vuole ascoltare, storie che non possono lasciarci indifferenti, che non possono lasciarci in pace di notte o di giorno, storie che non mi permettono di dare per scontata la mia diffidenza.

Beh, l'ho fatta lunga per dire che arrivato al cancello del cortile, ho messo a fuoco meglio e ho visto che la figura che stavo incrociando aveva un cane: era un altro vicino con cui ho buoni rapporti ma non era "un euro". Non mi sono sentito sollevato, non so perché in quel momento "speravo" fosse proprio lui. Quando poi sono uscito, appesa alla recinzione in ferro della casa ho trovato un annuncio funebre: non è insolito, abitano molti anziani nel mio palazzo. Ma quando ho guardato la foto ci sono rimasto male: era la foto di "un euro". Non so dire la tristezza che mi ha assalito. Grande come quella che si può provare a perdere un genitore o un fratello.

Eppure so bene che lui era solo un vicino nonché perfetto sconosciuto che incrociavo occasionalmente sotto casa per una manciata di secondi, giusto il tempo di un caffè. Oggi hanno fatto il funerale. Non ho mancato e ho trattenuto le lacrime anche se mi è costato caro, perché non sopporto di doverlo spiegare anche solo a me stesso. Figuriamoci al resto del mondo che mi trovo a vivere.

Al funerale ho saputo che è morto per un attacco di cuore, probabilmente conseguente a un attacco epilettico di cui era affetto. Ovviamente non sapevo che era epilettico. Non andava quindi bene che prendesse tutti quei caffé e mi sono rincuorato un poco l'idea che almeno all'ultimo nostro incontro non gli ho dato il suo euro ...


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illupodeicieli
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Mi dispiace per il tuo amico, così come per il tuo stato d'animo: dirti che succede a tutti, non di morire perché quello lo sappiamo, ma di provare e vivere certe emozioni, non è di consolazione. Ti direi che anch'io ho vissuto situazioni simili, ma non voglio apparire come quello del "ma , anch'io...sai che ".


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GioCo
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illupodeicieli;237171 wrote: Mi dispiace per il tuo amico, così come per il tuo stato d'animo: dirti che succede a tutti, non di morire perché quello lo sappiamo, ma di provare e vivere certe emozioni, non è di consolazione. Ti direi che anch'io ho vissuto situazioni simili, ma non voglio apparire come quello del "ma , anch'io...sai che ".

Grazie @illupodeicieli. Vorrei però che passasse un po' il messaggio "restiamo umani" sulla stile di questa canzone. Credo sia più importante che ricevere consolazione, no? 🙂


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azul
 azul
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Credo tu sia un cinefilo come me. Ti consiglio allora, sul tema della salvaguardia della memoria, della pietas più vera, la visione di questo piccolo, meraviglioso film: "Still Life" di Uberto Pasolini del 2013.


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GioCo
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azul;237173 wrote: Credo tu sia un cinefilo come me. Ti consiglio allora, sul tema della salvaguardia della memoria, della pietas più vera, la visione di questo piccolo, meraviglioso film: "Still Life" di Uberto Pasolini del 2013.

Ti ringrazio per la fiducia e per la segnalazione, ma ti confesso d'essere un ignorante cronico di cinema impegnato; a parte qualcosa delle solite firme, quelle più note, come Herzog, Visconti (che leggo essere imparentato con Uberto) o Tarkovskij non conosco molto. Adoro però di tanto in tanto sbirciare i piccoli capolavori semi-sconosciuti, come "Bab'Aziz" di Nacer Khemir, del 2005, oppure "L'isola - Ostrov" di Pavel Lungin, del 2006. Quindi guarderò con curiosità questo "Still Life" che mi suggerisci: ho già dato un occhio alla trama e sembra promettere bene.


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