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Homo Consumans Morte e rinascita del dono


Tao
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Homo sapiens, homo faber, homo œconomicus, zoôn politikon … la classificazione del genere homo, che si compia sotto auspici scientifici o filosofici, empirici o ideali, è un dato costante della storia del pensiero. L'uomo vive prima di tutto nella concezione che si fa di se stesso e riflette nelle sue grandi narrazioni . Da questa si deducono i rapporti con i suoi simili e con il mondo che lo circonda.

A quale potente definizione di uomo obbedisce la modernità? Quella dell'individuo come "essere di bisogno", destinato incessantemente ad approntare i mezzi per soddisfare i propri fini, supponendo che questi ultimi siano illimitati. Si guardino, ad esempio, i grandi generi sotto cui è stata catalogata l'umanità dalla cultura moderna e affiorerà sempre questo nocciolo duro: l'uomo ricerca razionalmente il suo migliore interesse e non smette di lavorare, di accumulare, di scambiare o di conservare…

I concetti di dono e di gratuità qui esposti non costituiscono tanto la negazione paradigmatica o la contraddizione dialettica del calcolo e dell'accumulazione, quanto la loro sfida simbolica, la loro "parte maledetta", incessantemente soffocata, incessantemente rinascente. Richiamando l'antica presenza della generosità e della prodigalità, questa critica dei fondamenti dell'economia politica dimostra come la maggior parte delle società umane abbiano accordato un posto secondario all'utilitarismo suggerendoci il carattere "eccezionale" del mercato moderno . Ma al di là della critica - sempre limitata e condizionata dal suo oggetto - questo saggio propone un vero e proprio rivolgimento di quei valori e codici, che oggi sembrano dominanti.

Charles Champetier è un apprezzato studioso francese impegnato sulle tematiche dell’antiutilitarismo, del comunitarismo e del dono quali paradigmi critici della modernità. ( Charles Champetier EBOOK - Prezzo: € 4,90 acquista ora in linea)

Indice

Prefazione

Introduzione

La scoperta del dono: Marcel Mauss
Il dono indoeuropeo
L’universalità del dono e i suoi insegnamenti
Politica del dono: al di là del contratto sociale
Filosofia del dono: Jacques Derrida, Martin Heidegger
Etica del dono: Aristotele, Seneca
Il dono cristiano, tra gratuità e calcolo
Dal dono al dispendio

(PP 141)

ESTRATTO
Prefazione di Alfredo Salsano

Nel presentare il libro di Charles Champetier, così esauriente nel ricostruire in breve l’archeologia del dono dalla sua “scoperta” ad opera di Marcel Mauss allo sviamento che ne fa Derrida fraintendendo Heidegger, passando per il dono indoeuropeo, il dono dell’antichità classica – Aristotele, Seneca – e il dono cristiano, una volta lodata la capacità di sintesi e l’acume dell’interpretazione, non ci si può sottrarre a un interrogativo, che, introducendo qualche elemento di controversia, renderà meno di circostanza queste pagine introduttive.
Si tratta di un interrogativo relativo alla politica del dono, nel senso in cui è affrontata nel capitolo centrale di questo libro, certo – dono vs contratto – ma anche, più banalmente, di quella circolazione del tema del dono tra “sinistra” – e il MAUSS, Movimento Antiutilitarista delle Scienze Sociali, si è sempre voluto e si vuole “di sinistra” – e “destra”, nel senso in cui fino a qualche anno fa si parlava, e da parte di alcuni si parla ancora, di “nuova destra” a proposito di Alain de Benoist e delle riviste Eléments e Nouvelle Ecole, di cui Champetier è redattore capo.

Senza insistere su questa denominazione, ormai sostituita da quella di “nuova sintesi”, che meglio esprime la trasversalità di certi temi – oltre al dono, quelli della comunità, della occidentalizzazione... – nonché, perché no, una volontà di riconoscimento al di là dei condizionamenti storici della propria origine e appartenenza culturale, che non è proprio il caso di discriminare nel momento in cui si cerca il contatto, resta il problema di una convergenza, che, scavalcando il mondo dell’utile, la società di mercato, il capitalismo moderno, rende inadeguato il discrimine destra/sinistra almeno come inteso tradizionalmente.

D’altra parte, la discriminazione potrebbe essere confermata soltanto da una “sinistra”, che si è ormai interamente fatta carico, sul piano europeo e mondiale, della riproduzione allargata, “globalizzata”, del mondo dell’utile, cioè di quel coacervo di Stato e mercato – la “strana coppia” – fuori dal quale le formazioni economico-sociali dominate dal capitalismo non avrebbero speranza di vita. Questa sinistra progressista, produttivista, utilitarista ha fatto proprio e rilancia l’immaginario individualistico nel momento stesso in cui assicura la copertura statalista indispensabile alla sopravvivenza della società di mercato (è questo il senso della conversione neoliberale di tutto un ceto politico e intellettuale, che in Italia si pretendeva “marxista”...).

Niente discriminazione, dunque, quando si tratta invece di ripensare criticamente proprio i fondamenti reali e immaginari della cultura occidentale, che la sinistra di cui sopra assume come indiscussi.
Niente discriminazione, in particolare, da parte di un’altra sinistra, che, sulla base delle tradizioni socialiste, comuniste e libertarie, si riqualifichi come “sociale”, accetti cioè di ripartire “dal basso”, dal riconoscimento e dalla ricostruzione del legame sociale, fuori dalle logiche disgreganti e distruttive della società – statalista – di mercato.

Proprio di questo si tratta quando, sulle orme di Marcel Mauss e di Karl Polanyi, qui opportunamente ricordati e utilizzati, si reintroduce il concetto di dono e – si vedrà – di “dispendio” nella riflessione etico-politica contemporanea, a partire da una messa in prospettiva storica del capitalismo. Ed è proprio qui che il confronto tra provenienze politico-culturali diverse si fa interessante. Perché se per quanto detto non ha alcun senso chiedersi se il dono sia “di destra” o “di sinistra”, resta non di meno il fatto che nella convergenza il tema del dono possa subire, e di fatto subisce, declinazioni diverse, come del resto diversamente il tema del dono è declinato all’interno dello stesso movimento antiutilitarista.

Si è già avuto modo di sottolineare come, in questo campo, la posizione di Serge Latouche, per il quale l’antiutilitarismo è difficilmente dissociabile da una critica della modernità, si confronti con quella di Alain Caillé, che tende piuttosto ad allentare il nesso tra antiutilitarismo e critica della modernità, dissociandolo da eventuali residui tanto di marxismo quanto di radicalismo democratico [1] .
Se quello di Latouche è un anticapitalismo sostanziato da una critica dello sviluppo e se dalla sua identificazione dell’Occidente con la realtà della megamacchina tecnoscientifica nasce un pessimismo, che va fino a confidare ironicamente nella “pedagogia delle catastrofi”, Caillé è decisamente meno pessimista e meno critico della megamacchina occidentale, più interessato anche alle sorti della “sinistra” [2] .

Naturalmente, per quanto significative, queste differenze restano all’interno di una posizione comune preoccupata non tanto della politica quanto del politico e della sua rifondazione. In breve, l’antiutilitarismo del MAUSS si situa in quell’altrove della politica, che Caillé cerca di definire come una dimensione originaria del politico, non ridotto allo Stato, alla sistematicità dei rapporti tra funzioni di comando e di obbedienza, e nemmeno alla regolarità del conflitto tra gli interessi istituiti. Dimensione primitiva del politico, egli precisa, che non è dell’ordine del sistema, bensì dell’ordine della contestualità, non dell’ordine dei rapporti tra funzioni, ma dell’ordine del rapporto tra sogg
etti.

Ma se questa è la base comune della posizione antiutilitaristica, se questo è il senso della reintegrazione del dono nella riflessione sul politico, non c’è dubbio che proprio il diverso atteggiamento verso la modernità porta alla diversa declinazione del tema cui si è accennato e precisamente: mentre Caillé ha orientato la sua riflessione sul dono in senso paradigmatico, facendo con Jacques T. Godbout dello stato d’indebitamento reciproco positivo esteso a tutta la società l’alternativa all’individualismo liberale da una parte e all’olismo totalitario dall’altra, nella prospettiva di una rifondazione della democrazia [3] , Latouche è rimasto più aderente a un’accezione storico-antropologica del dono come forma di scambio, nel quadro di un pensiero del doposviluppo [4] .

Al complesso di queste posizioni si riferisce Champetier quando si richiama a Il pianeta dei naufraghi di Latouche e a Lo spirito del dono di Godbout e Caillé a proposito della “economia informale” studiata dal primo e della caratterizzazione del dono moderno come dono tra sconosciuti, tra estranei operata dai secondi [5] , ma mentre egli rileva correttamente come non si possano interpretare il dono e il controdono in termini di scambio economico, non sembra cogliere il nesso tra diverso atteggiamento verso la modernità, diverso orientamento teorico ed esiti pratici non coincidenti, anche se in qualche modo compatibili, come la preferenza di Latouche per forme di autorganizzazione e di autoproduzione e quella di Caillé per il “reddito di cittadinanza” [6] .

Più in generale, Champetier mostra una eccellente comprensione della problematica antiutilitaristica del dono quando scrive che situare il dono in un complesso di spontaneità e di obbligo, di gratuità e di calcolo non equivale a negarne la realtà e respinge l’idea di un dono strettamente “calcolatore” o di un dono “superstizioso”, ma sembra scostarsi dal cuore della questione posta dalla ripresa antiutilitaristica del dono quando afferma che, in tale prospettiva, il dono deve leggersi al tempo stesso come canalizzazione simbolica e come contraddizione materiale dello scambio interessato, come effetto di una volontà consapevole di se stessa e non forma naturale della distribuzione delle merci, come potrebbero immaginarla i nostalgici del “buon selvaggio” [7] .

A parte il fatto che il gusto della purezza primitiva e il desiderio di un arcaismo vergine, denunciati da Remo Guidieri come le espressioni simmetriche ed egualmente alienate della credenza nel progresso e del culto della novità, sono del tutto estranei all’antiutilitarismo del MAUSS, leggere il dono solo in contrapposizione – simbolica e materiale – allo scambio interessato (di merci) lascia da parte gli sviluppi più interessanti e controversi del pensiero antiutilitarista nel suo complesso. Questi sviluppi vanno nel senso della “ibridazione” delle forme di scambio – oltre al dono lo scambio mercantile e la redistribuzione statale – per cui il dono, sia nella forma della reciprocità all’interno del legame sociale esistente o ricostruito, sia nella forma del dono anonimo tra estranei, viene reintrodotto a pieno titolo accanto e in interazione con le altre due forme dello scambio, secondo configurazioni variabili nella realizzazione delle quali possono esprimersi, come si è accennato, diverse preferenze e in prospettiva diversi interessi politici.

In questo quadro, che è quello dell’economia solidale [8] , proprio per la presenza del dono non si può più parlare di scambio puramente economico né di semplice distribuzione di merci, cui sono invece esclusivamente finalizzate le altre due forme di scambio.

Non è questa la sede per sviluppare tale problematica [9] , cui basterà avere accennato al solo scopo di sottolineare come il libro di Champetier preferisca invece interpretare la politica del dono in contrapposizione e come superamento del contratto sociale, a partire dalla dimensione agonistica e gerarchizzante del dono, con un capitolo sul potere, che coniuga brillantemente Schmitt e Foucault, Baudrillard e Sahline, senza dimenticare Pierre Clastres.

Soprattutto, ed è questa una declinazione del tema del dono distinta e, per certi versi, opposta a quella antiutilitaristica sulla quale è importante richiamare l’attenzione, Champetier ricorre a Georges Bataille per superare i limiti – incontestabili – della definizione, da parte di Godbout e Caillé, della “grande cesura storica” tra società funzionanti sulla base del dono e della parentela e società di classi organizzate più o meno a partire dal mercato [10] .

Per dirla subito, l’impressione è che, pure avvertito delle aporie delle nozioni di dispendio e di consumo/consumazione, Champetier finisca col cedere al fascino della batailleana “estetica del dono” [11] quando conclude individuando nell’emergere di un nuovo valore – il “valore di perdita” – la via di uscita dal mondo della produzione, dell’economia, dell’utile.

Altri, oltre a chi scrive, si sono posti il problema se lo spreco dell’ homme juvénile identificato da Bataille con il dispendio improduttivo delle società primitive – il dono – altro non fosse che l’anticipazione del comportamento del consumatore “postmoderno”, se la subordinazione della produzione a un consumo che ha il suo fine in se stesso non fosse che la prefigurazione di quel che accade nelle società postindustriali.

Così, Jean-Joseph Goux ha sottolineato il fatto che nessuna società ha mai sprecato tanto quanto il capitalismo contemporaneo e ha accostato la trasgressione batailleana all’apologia del capitalismo realizzata nel 1981 dall’economista americano George Gilder sullo stesso terreno, cioè proprio a partire dal dono. Si tratta addirittura, secondo Goux, di una vera e propria «legittimazione postmoderna del capitalismo», capace di spiazzare tutte le critiche di sinistra (Lukács, Horkheimer e Adorno) e di destra (Heidegger) del calcolo razionale utilitario con un inatteso elogio della irrazionalità. Non che Goux faccia di Bataille un precursore di Gilder, ma osserva giustamente che nella sua critica, certo più antiborghese che anticapitalistica, il primo non immaginò la situazione paradossale del capitalismo postindustriale, dove solo l’appello a competere indefinitamente nel consumo improduttivo permette lo sviluppo della produzione [12] .

Di fronte a questa difficoltà, che peraltro egli puntualmente registra [13] , Champetier sembra invece soddisfarsi della batailleana distinzione tra consumo e consumazione, imboccando così la strada dell’esaltazione del dispendio come «negatività senza impiego», di cui il dono sarebbe una modulazione [14] .

Ora, proprio la nozione di dispendio, chiave della “economia generale” di Bataille fondata sulla economia solare senza contropartita, sul dono che ci fa il sole della sua energia, è il punto critico di ogni riflessione appunto sul dono, in quanto, legando il concetto all’eccesso, allo spreco, al sacrificio, alla distruzione e in definitiva alla morte, lo sottrae alla relazionalità umana, introducendo inoltre una idea di gratuità, che è esclusa dalla ricerca antropologica.

«Non esiste dono gratuito», ha scritto Mary Douglas proprio nell’introduzione alla nuova edizione inglese del Saggio sul dono di Marcel Mauss, riportando il fatto di donare alla reciprocità, dunque al contesto sociale, al significato relazionale del dono. E prima ancora Jean Baudrillard, sottolineato il valore di sfida agli dei del sacrificio, aveva accusato Bataille di “naturalizzare” Mauss: l’eccesso di energia non viene dal sole – dalla natura – ma da un rilancio continuo dello scambio, processo simbolico che non è quello del dono, come crede Bataille – precisa – ma quello del controdono. Dunque, non estasi individuale, ma scambio sociale [15] .

Si potrebbe continuare, dimostrando come la negazione dell’eco
nomico in nome del suo inverso identificato nel dono lasci Bataille sprovveduto quando l’economico stesso si rivela fondato sul dispendio (e non sul risparmio, come nella sua concezione sostanzialmente weberiana del capitalismo). Sul piano filosofico come su quello storico-antropologico, questa è la conseguenza di una concezione del dono, che, a differenza di quel che accadeva in Mauss, esclude lo scambio economico. Insomma, quel che viene meno nella “naturalizzazione” batailleana di Mauss è la capacità di comprendere l’ibridazione delle forme di scambio, restringendosi a un’antitesi dono/produzione, che i fatti si sono incaricati di smentire.

Nelle pagine conclusive del libro, Champetier ci invita a dimenticare la modernità reiscrivendoci nell’eternità, nel “tempo morto” finalmente conquistato dall’uomo che ha ritrovato la sua “sovranità” in quanto non più oeconomicus ma consumans. L’adesione a Bataille è esplicita e senza riserve e piega l’intero discorso nel senso della suddetta estetizzazione del dono.

Presente anche a “sinistra”, questa estetizzazione del dono non può servire a individuare una posizione di “destra” o di “nuova destra”; né questo era l’intento. Averne sottolineato la presenza nel libro di Champetier può servire invece a tenere aperta la questione politica del dono nel senso di un più radicale superamento della modernità utilitaristica e mercantile.

Se infatti, come sembra, la “parte maledetta” di Bataille è stata pienamente integrata nel funzionamento “normale” di un sistema in cui un consumo che è ormai impossibile distinguere dalla “consumazione” è la condizione imprenscindibile per assicurare la produzione, la concezione del dono come dispendio si trova ricompresa nella logica utilitaria della modernità (o, se si preferisce, della postmodernità).

E per quanto simpatica e condivisa sia la voglia di «riapprendere a contemplare l’inutile splendore delle stelle», le cose continueranno ad andare per lo stesso verso. Di contro, la valorizzazione politica del dono come forma di scambio (non solo economico) produttrice e riproduttrice di legame sociale nel quadro di una democrazia associativa che sottoponga al controllo della società Stato e mercato si propone come alternativa reale al mondo dell’economico e dell’utile.

[1] Cfr, A.Salsano, Presentazione ad A.Caillé, Il tramonto del politico. Crisi, rinuncia e riscatto delle scienze sociali , Dedalo, Bari, 1995, pp. IX-X.

[2] Cfr. A.Caillé, Trenta tesi per la sinistra, a cura di C.Grassi, Donzelli, Roma, 1997 .

[3] Cfr. da ultimo A.Caillé, Il terzo paradigma. Antropologia filosofica del dono , Bollati Boringhieri, Torino, 1998 e J.T.Godbout, Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
[4] Cfr. S.Latouche, L’altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri, Torino, 1997.

[5] Cfr. Infra, pp. 64-66 (ed. francese).
[6] Cfr. l’Appello dei “35” (1996, ma una prima redazione risale all’anno precedente) promosso da Alain Caillé e sottoscritto da Serge Latouche e del resto anche da personalità per la maggior parte estranee al movimento antiutilitarista, che propone come soluzioni non alternative, ma complementari alla crisi, accanto alla riduzione dell’orario di lavoro, tanto il reddito di cittadinanza quanto la promozione di forme di autorganizzazione sociale. Il testo e l’elenco dei firmatari si trovano in appendice a M.Revelli, La sinistra sociale. Oltre la civiltà del lavoro, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, pp. 200-206.
[7] Cfr. Infra, pp. 68-9 (ed. francese).
[8] Sulla ibridazione delle forme di scambio nel quadro dell’economia solidale, cfr. J.L. Laville, L’economia solidale, Bollati Boringhieri, Torino, 1998.

[9] Cfr. in proposito A. Salsano, Al cuore delle scienze sociali. per una teoria non utilitaristica delle forme di scambio , in B. Sitter-Liver e P. Caroni (a cura di), Der Mensch – ein Egoist? Für un wider die Susbreitung des methodischen Utilitarismus in den Kulturwisenschaften. 15. Kolloquium (1996) der Schweizerischen Akademie der Geistes - und Kulturwisenshaften, Universitatsverlag Freiburg Schweiz, 1998, pp. 211-25, nonché G.P. Cella, Le tre forme dello scambio. Reciprocità, politica, mercato a partire da Karl Polanyi , Il Mulino, Bologna, 1997.

[10] Cfr. Infra, p. 132 (ed. francese).

[11] Cfr. A. Salsano, Estetica del dono, in “Igitur”, IX, n. 1, gennaio-luglio 1997, pp. 27-43, risultato di una personale “colluttazione” ormai quasi decennale con il pensiero di Bataille.
[12] Cfr. J.J. Goux, General Economics and Postmodern Capitalism, in “Yale French Studies”, LXXVIII, pp. 206-24.

[13] Cfr. Infra, pp. 141-42 (ed. francese).

[14] Cfr. Infra, pp. 156-57 (ed. francese).
[15] Cfr. J. Baudrillard, Quand Bataille attaquait le principe métaphisique de l’économie , in “La quinzaine litteraire”, 1-15 giugno 1976, pp. 4-5.

Fonte: www.ariannaeditrice.it/
26.10.08


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