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Artisti israeliani in rivolta...è maccartismo


Tao
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Tel Aviv. La nuova ministra della Cultura vuole censurare le opere che «delegittimano» il Paese

Erano in cen­ti­naia dome­nica a Giaffa, riu­niti per dire no al «mac­car­ti­smo». Alcuni sono per­so­naggi noti, gli altri no. Tutti arti­sti comun­que, decisi a pro­te­stare con forza con­tro la minac­cia del mini­stero della Cul­tura di revo­care il soste­gno, ossia cen­su­rare, le pro­du­zioni cul­tu­rali che, secondo la mini­stra Miri Regev, «dele­git­ti­mano» Israele.

È la rea­liz­za­zione con­creta della linea, ampia­mente pre­vi­sta dopo la for­ma­zione del nuovo governo Neta­nyahu, di attacco a coloro che all’interno del Paese danno spa­zio alle voci dis­si­denti e poli­ti­ca­mente sco­mode nell’arte e nella cul­tura. Ma nes­suno si aspet­tava che arri­vasse tanto pre­sto la sfida di Regev e anche del suo col­lega all’istruzione Naf­tali Ben­nett, lea­der del par­tito ultra­na­zio­na­li­sta Casa ebraica.

La mini­stra della cul­tura qual­che giorno fa ha scritto sulla sua pagina Face­book che «il con­fine deve essere chiaro. «Non intendo soste­nere le pro­du­zioni cul­tu­rali che dele­git­ti­mano Israele». Poco prima Regev aveva minac­ciato di tagliare i fondi a un tea­tro, gestito da un regi­sta arabo, per­ché non vuole por­tare le sue pro­du­zioni anche nelle colo­nie ebrai­che nei Ter­ri­tori pale­sti­nesi occu­pati. A far salire la ten­sione ha con­tri­buito la recente deci­sione del mini­stro Ben­nett di revo­care i finan­zia­menti asse­gnati a una rap­pre­sen­ta­zione per le scuole del tea­tro al Midan di Haifa, ispi­rata alla vicenda di un dete­nuto arabo, Walid Daka, che ha ucciso nel 1984 un sol­dato israe­liano, Moshe Tamam.

Dome­nica, in un’atmosfera incan­de­scente, la mini­stra Regev era al cen­tro delle accuse degli arti­sti a Giaffa. Il più duro è stato l’attore di tea­tro Oded Kot­tler che, qual­che ora prima aveva sca­te­nato un puti­fe­rio para­go­nando a un gregge di bestie gli elet­tori del Likud, il par­tito del primo mini­stro e della stessa Regev.

Molto applau­dito l’intervento di Michael Gure­vitch, il diret­tore arti­stico del tea­tro Khan di Geru­sa­lemme – dove un paio d’anni fa fu rap­pre­sen­tato in ebraico Il mio nome è Rachel Cor­rie, diretto da Ari Remez, con l’attrice israe­liana Sivane Kretch­ner nei panni dell’attivista ame­ri­cana tra­volta e uccisa nel 2003 da un bull­do­zer mili­tare israe­liano a Rafah – che è stato accolto con un lungo applauso quando ha pro­po­sto uno scio­pero di tutte le isti­tu­zioni cul­tu­rali. «Non ci può essere alcun dia­logo con Regev fin­ché cer­cherà di influen­zare le opere d’arte. Per­ché non può deter­mi­nare lei ciò che dan­neg­gia o meno sicu­rezza e imma­gine dello Stato», ha detto Gure­vitch. Gli arti­sti rin­no­vano l’appello a sot­to­scri­vere la peti­zione online con­tro le «misure anti­de­mo­cra­ti­che adot­tate da espo­nenti del governo per uomini di cul­tura le cui opere e opi­nioni non sono con­formi con quelle ministeriali».

Regev ha negato l’accusa di «mac­car­ti­smo». Da parte sua il mini­stro Ben­nett ha smen­tito l’intenzione di voler inter­fe­rire nella pro­du­zione cul­tu­rale ma ha difeso la deci­sione di impe­dire uno spet­ta­colo tea­trale che «mostra sim­pa­tia per un assassino».

Ben-Dror Yemini colum­nist del quo­ti­diano Yediot Ahro­not, che nei giorni scorsi aveva dura­mente attac­cato il movi­mento Bds che chiede il boi­cot­tag­gio di Israele, da un lato ha rico­no­sciuto che la libertà di espres­sione e di pro­vo­ca­zione sono «il cuore e l’anima della demo­cra­zia» ma dall’altro ha appog­giato pie­na­mente i tagli. «Certi arti­sti vogliono pro­cla­mare che Israele è cri­mi­nale, lascia­teli fare. Vogliono fare del tea­tro ispi­rato a un assas­sino, fateli fare…ma non si capi­sce per­chè i cit­ta­dini israe­liani dovreb­bero finan­ziare la deni­gra­zione dello Stato», ha scritto.

Per Bashar Mur­kus, autore e regi­sta dello spet­ta­colo tea­trale bloc­cato, la mossa del mini­stro Ben­nett con­fer­me­rebbe le forti con­trad­di­zioni «di uno Stato che si defi­ni­sce demo­cra­tico». Nello spet­ta­colo, ha detto Mur­kus, «cerco solo di ren­dere evi­dente l’aspetto umano del pri­gio­niero… Nes­suno lo tratta come un essere umano e sul palco è bello e impor­tante guar­dare e ascol­tare la pro­fon­dità umana». Il mini­stro dell’Istruzione invece non trova in alcun modo scon­ve­niente che al pros­simo Jeru­sa­lem Film Festi­val (in parte finan­ziato dallo Stato) ci sarà un docu film su Yigal Amir, in cui l’assassino del primo mini­stro Yitz­hak Rabin nel 1995, è rap­pre­sen­tato con un volto molto umano. In que­sto caso la libertà di espres­sione è pie­na­mente garantita.

Michele Giorgio
Fointe: www.ilmanifesto.info
16.06.2015


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