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Debito privato sull euro, la «tempesta perfetta»


Tao
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Borse in festa, la Bce acquisterà titoli stato dei paesi in bilico

In una giornata di respiro per le piazze globali (quasi tutte hanno guadagnato intorno al 2%, dopo tre giorni di forte calo), sembra un po' da ostinati menagramo indicare i problemi (gravi) che fanno vedere chiaramente come la crisi - lungi dal risolversi - si stia incartando. Ma è meglio guardare in faccia la realtà, piuttosto che sognare tra fondali di cartone. E, giusto per non sentirci soli, la previsione peggiore viene dall'Onu, che in un rapporto reso noto ieri vede possibile una nuova recessione negli Usa nel prossimo anno, con disoccupazione al di sopra del 10%. Lo scenario globale è appena migliore, visto che le stesse previsioni vedono un serio rallentamento della crescita globale, comunque trainata dall'Asia e dall'America Latina. A conferma è giunto il dato sulla concessione di mutui: -16,5%.
Notizie che arrivano mentre l'amministrazione Obama, costretta alla mediazione con i conservatori usciti vincenti dalle elezioni di mid term, cerca una strada per tagliare il debito pubblico di almeno 4.000 miliardi in dieci anni. Dopo aver congelato i salari dei dipendenti pubblici (ma non dei militari), toccherà all'occupazione: circa 200.000 dipendenti dello stato federale perderanno il posto. Ma non si riesce ancora a trovare il punto di equilibrio tra chi - i democratici - vorrebbe metter fine agli sconti fiscali per i redditi oltre i 250.000 dollari (introdotti da Bush figlio), per estenderli invece ai redditi più bassi; e chi, come i repubblicani, si batte per la conservazione di immondi privilegi.

Ma è la zona euro a far la parte del leone in questo passaggio della crisi. Ieri è accaduto l'impensabile: l'asta dei titoli pubblici tedeschi a 5 anni - i Bobl - è riuscita a «piazzare» carta solo per 4,5 miliardi di euro (invece dei 5 programmati). Al contrario, gli 800 milioni messi sul mercato dal pericolante Portogallo sono andati a ruba. La differenza? I titoli tedeschi pagano un interesse dell'1,73% annuo; i lusitani il 5,28%. In un mercato altamente speculativo, insomma, si preferisce incamerare il più possibile senza farsi spaventare dai rischi (tanto c'è l'Europa pronta a salvare gli stati piccoli). Ma si tratta anche di un avvertimento ai «duri» tedeschi: dovete alzare i rendimenti, sennò non vi finanziamo più.

Tanto è bastato però per far riprendere all'euro quota 1,30, persa il giorno precedente. Ma proprio la moneta unica è ormai al centro di una discussione che ne mette in dubbio i fondamenti. Paul Fitoussi ha insistito sull'argomento politico - «stiamo pagando i costi dell'assenza di politica, non il contrario» - ovvero sull'anomalia di una moneta priva di un governo unitario. Uno dei più famosi editorialisti del Financial Times -Martin Wolf - ha però affondato la lama in una contraddizione più squisitamente economica: «la promessa era che l'euro avrebbe liberato i suoi membri dalle crisi valutarie», ma era facile prevedere che queste «sarebbero state sostituite dalle crisi di debito». Molto più serie.

Lo si è visto con la bancarotta islandese, prima, poi con le crisi dei paesi che più avevano fatto ricorso al debito pubblico (Grecia) o privato (Irlanda). La scelta Ue di «salvare» quei paesi con soldi pubblici per evitare il collasso delle banche (private) è, non solo per Wolf, un'idiozia: «il sistema bancario irlandese non è 'troppo grande per fallire', ma troppo grande per essere salvato». E fa un po' impressione leggere sulla bibbia del capitalismo anglosassone una frase come «il primo compito dello stato è salvare se stesso, non caricare i contribuenti dell'obbligo di soccorrere prestatori sconsiderati». Se il «debito delle banche dev'essere debito pubblico, allora i banchieri devono essere considerati funzionari pubblici e le banche come enti pubblici». Ossia nazionalizzate.

Non è una considerazione estremista, ma di puro buon senso. Tra il 2008 e il 2010 gli interventi pubblici dell'intera Ue per salvare il sistema bancario ammontano a 4.589 miliardi. La maggior parte - è vero - sono ancora soltanto «garanzie», che iniziano a pesare sui bilanci pubblici quando vengono davvero utilizzate. La spesa effettiva, per ora, è stata di «appena» 1.028 miliardi. Decine di volte più dei «risparmi» che si vanno ora cercando contagli a welfare, scuola, università, sanità, ricerca, ecc. Non stupisce che il paese che più ha avuto bisogno di aiuti sia perciò la Gran Bretagna, né che persino la Germania abbia avuto necessità di «garanzie» per quasi 600 miliardi.

Gli stati sono insomma paralizzati operativamente da un debito esploso per finanziare il «socialismo dei ricchi» (come l'ha definito Stiglitz), ovvero delle grandi istituzioni finanziarie (le piccole vengono lasciate fallire senza remore). E il compito di «tenere l'argine» resta per intero sulle spalle della Bce. Che sta meditando l'ulteriore acquisto dei titoli di stato dei paesi in difficoltà; un modo come un altro di «pompare liquidità» nel sistema. Altro che «exit strategy» e «ritorno alla normalità». E i finanzieri, in borsa, hanno ovviamente festeggiato.

Tommaso De Berlenga
Fonte: www.ilmanifesto.it
2.12.2010


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