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Dietro front- non si chiama più olocausto ma solo shoah


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UN NUOVO ARTICOLO DI OGGI 8-11-2009 http://80.241.231.25/ucei/PDF/2009/2009-11-07/2009110714149086.pdf dell'ebrea susanna nirenstein,una delle 5 sorelle giornaliste della sionista fiamma Nirestein,
rende evidente l'importanza che stà assumendo il termine SHOAh con il quale si vuole sostituire il termine OLOCAUSTO-
iMPORTANZA POLITICA di un ternmine che avevamo gia cercato di analizzare-
con questo post
DIETRO FRONT-NON SI CHIAMA PIù OLOCAUSTO MA SOLO SHOAH-

I termini, soprattutto nella società dell'immagine e della informazione automatica sono importanti, magici.
I termini e le parole magiche erano una volta utilizzate dagli stegoni per evocare demoni pericolosi tra i popolani che emotivamente già fragili a causa delle precarie condizioni di vita in una natura pressocche sconosciuta e pericolosa facilmente prostravano la propria capacità critica ed intellettiva di fronte a chi queste parole sapeva enunciare con formule spettacolari e di grande impatto emotivo.

Oggi che la vita moderna non concede spazi alla riflessione o semplicemente all'ozio, le parole continuano a rappresentare uno strumento fondamentale per il controllo della opinione pubblica e rappresentando quei contenitori che tentano di riassumere magicamente concetti che necessiterebbero, per essere compresi, di tempo e volonta che solo una ristretta cerchia di persone puo permettersi di sottrarre alla incessante aspirazione al benessere economico [aspirazione anche essa evocata, tramite immagini e formule magiche dagli stregoni moderni del giornalismo del marketing e della pubblicità].
Concetti che però alle volte come nel caso della parola shoah o olocausto [che solo apparentemente sembrano sinonimi] assumono una valenza politica e strategica enorme tale da imporne ad esse determinati significati e non altri e la necessità che questi significati siano immediatamente percepiti ed assimilati dalla opinione pubblica senza lasciare la possibilità che questi possano essere messi indiscussione.

Non a caso le parole olocausto e shoah sono sempre corredate da strazianti racconti infarciti di parole e immagini raccapriccianti che facilmente estromettono la capacità critica per far spazio solo alla capacità di emozionarsi.
La questione dei termini shoah ed olocausto è divenuto argomento di discussione e Il 12 agosto 2009 "The New York Times" ha attribuito grande importanza alla questione e in un articolo intitolato: "È tutto troppo tranquillo per gli israeliani? Cresce l'apprensione per capire quale asso i nemici nascondono nella manica".

Articolo che sottolinea come i due termini non sono assolutamente sinonimi ma sottointendono due diversi approcci culturali e politici alle motivazioni che sono alla base della nascita e legittimità dello stato di Israele- Diversi approcci alla genesi di israele che vedono storici ebrei della disapora ebraica come anna Foà o Georges Bensoussan, affermare che "lo Stato d’Israele è nato dal sionismo, ed era già in gran parte edificato durante i decenni dell’Yishuv, prima del 1948 [ammettendo così implicitamente la possibilità che molti degli ebrei risultati deceduti in seguito alle
persecuzioni naziste in realtà erano gia fuggiti da tempo dall'Europa per trovare rifugio in quella terra ancora chiamata Palestina] contrapponendosi cosi in maniera evidente non solo con l'esperienza pubblicamente ormai forse condivisa in occidente grazie ad oltre 50 anni di pubblicistica olocaustica ma anche in aperto scontro con un certo concetto dell'ethos
[stile di vita] israeliano che lega l'olocausto alla costituzione della patria ebraica.
Basti pensare in questo senso all'enorme rilievo che possiede in Israele il museo dell'olocausto Yad washem a cui ogni capo di stato occidentale è obbligato ad accedere per "non dimenticare" appunto il sacrificio [olocausto] sostenuto dal popolo ebraico al fine di ottenere il diritto a creare un propio stato-Sacrificio di sangue che ogni popolo di ogni nazione compie in guerra per difendere o acquisire il diritto di costituirsi in stato.
Sacrificio che dA solo puo giustificare la nascita di uno Stato e la sua legittimità e senza il quale,nel caso di israele, rappresenterebbe solo il risultato di una operazione di COLONIZZAZIONE priva di qualunque radice storica e culturale .Perche allora sta sorgendo questa diatriba politico culturale strettamente interna al mondo ebraico per definire un evento, [anche se la sua veridicità è ampiamente contestata da eminenti storici contemporanei], che per oltre 50 anni siamo stati abituati a definire olocausto e che oggi sorprendentemente ci dicono sia in realtà sbagliato e da sostiture con il termine shoah?
Perche la comunità ebraica diasporica occidentale attenta il fondamento stesso della legittimità alla esistenza dello stato di israele?
In realtà i motivi sono molti.
Uno dei motivi è molto semplice infatti se il termine olocausto da una parte con il suo significato appunto di sacrificio, rinuncia, pena, in visione e con lo scopo dell'ottenimento di un risultato, giustifica e legittima la esistenza
di uno stato ebraico e quindi gli ebrei che in tale stato hanno deciso di trasferirisi dall'altro rischia in futuro di escludere il resto della comunità ebraica diasporica occidentale da tutta una serie di considerazioni politiche che lo
status politico di ebreo e perseguitato attualmente consente in occidente.

Il nuovo termine shoah ,mutuato dal cinema e con esso il suo carico emotivo,propiamente ebraico e non confondibile quindi con altri eventi storici, traduce genericamente il termine catastrofe e indica una azione subita indistintamente da tutto il popolo ebraico ma che in realtà tenta di
estendere a questo, il diritto di esistere come popolo ebraico anche al di fuori del territorio israeliano, cioè il diritto a vivere come una entità politica e nazionale distinta e distante dalla comunità nazionale nella quale risiedono.
lo stato di Israele rivendica il suo diritto ad esistere propio in funzione del sacrificio sostenuto dal suo popolo e il 27 gennaio è la giornata nazionale della memoria che ricorda questo sacrificio poi fatta propia anche da altri stati occidentali che ne hanno assunto la ricorrenza in funzione delle proprie responsabilità storiche e che rappresenta anche il riconoscimento ufficiale della esistenza dello stato di israele-
Non a caso tale giornata è celebrata solo negli stati che riconoscono la esistenza dello stato di Israele.
Giornata della memoria quindi che interpretata secondo il termine shoah, acquisisce sia il significato di ricordo storico, sia il riconoscimento della esistenza di israele sia il significato politico di garanzia agli ebrei diasporici di poter continuare a vivere in occidente rimanendo fedeli ad Israele.
Sembra quindi che il millenario sogno degli ebrei di ricostituire lo stato ebraico si sia avverato ma che in questo, la stragrande maggioranza degli ebrei non ci pensa proprio di voler risiedere ma utilizzino il sacrificio dei loro avi per continuare a vivere secondo una struttura politica, chiusa, inassimilabile e soprattutto infedele agli stati in cui risiedono.

Qualcuno ha notato il fatto che i media non usano piu la parola OLOCAUSTO ma solo SHOAH,ecco forse il motivo!ordini superiori!

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=29&sez=120&id=31671

Per chiarezza qualsiasi discorso sulla Shoah dovrebbe affermare che essa è il male estremo. Un evento che proietta la sua ombra su ogni risultato che il progresso umano possa raggiungere, che ha scatenato una crisi di valori identificati con la civiltà occidentale e ha scosso la fede dell'umanit
à nell'esistenza di Dio. All'inizio degli anni Novanta, durante un incontro con gli ambasciatori, un anziano funzionario del ministero degli Esteri israeliano disse che il ricordo della Shoah si sarebbe dovuto mantenere come intima memoria privata piuttosto che come esposizione in pubblico delle sofferenze e dei traumi. Solo così il ricordo sarebbe rimasto autentico e immune da banalità e strumentalizzazioni. Queste osservazioni, benché di grande impatto, contrastano con l'esperienza pubblicamente condivisa sul modo in cui creare e conservare una cultura della memoria. Queste dichiarazioni sembrano di fatto minare alla base un certo concetto dell'ethos israeliano che lega la Shoah alla costituzione della patria ebraica. Già prima della Shoah si pensava che la ragion d'essere dello Stato d'Israele più che la mera realizzazione del sogno di ritornare nella Terra promessa, fosse creare un porto sicuro per il popolo ebraico, disperso e perseguitato nella diaspora. Come conseguenza della Shoah è emersa un'ulteriore nozione: che non si sarebbe mai più permesso il verificarsi di una catastrofe simile. Israele non è stato fondato a motivo della Shoah, ma se fosse stato creato prima, essa si sarebbe evitata. Sembra dunque che gli israeliani siano destinati a vivere in uno stato permanente di paranoia giustificata. Il 12 agosto 2009 "The New York Times" ha attribuito grande importanza alla questione in un articolo intitolato: "È tutto troppo tranquillo per gli israeliani? Cresce l'apprensione per capire quale asso i nemici nascondono nella manica". Pare che gli israeliani non si permettano il lusso di concepire una vita quotidiana priva di minacce. L'altra faccia di questa medaglia è l'assunzione di un atteggiamento eroico motivato dall'essere israeliani, invece che gli ebrei massacrati, indifesi e privi di un proprio Stato. Senza dubbio coltivare la memoria collettiva di un evento così traumatico, unico nel suo genere, è una necessità perché, con il trascorrere del tempo, i sopravvissuti scompaiono e il ricordo dei fatti potrebbe sbiadire. I primi anni Cinquanta furono caratterizzati dal silenzio delle vittime e degli aguzzini, un silenzio che lentamente si ruppe alla fine di quel decennio e durante gli anni Sessanta. Nonostante il processo Eichmann abbia portato a elaborare una nuova formulazione della Shoah fra i membri della seconda generazione - sia delle vittime sia degli aguzzini - è stata proprio la seconda generazione a promuovere più di ogni altra la cultura della memoria della Shoah. Si ritiene che la memoria si mantenga viva grazie alla ripetizione. Il tema della Shoah divenne una parte essenziale della letteratura postbellica e dei mezzi visivi di comunicazione sociale. Tuttavia l'avere modellato con successo una cultura della memoria ha causato anche effetti negativi. Con il passare dei decenni, da quell'evento unico emerse il problema della sua rilevanza, specialmente quando quegli eventi indescrivibili dovevano essere spiegati alle generazioni più giovani. Con il trascorrere del tempo nulla fu più così ovvio e, forse inevitabilmente, si aprì la strada alla banalizzazione. Inoltre, poiché per correttezza politica si usava il termine "olocausto" per descrivere il male estremo, la tentazione di etichettare altri eventi come olocausti divenne politicamente conveniente. Olocausti in Biafra, in Cambogia, in Burundi o nel Darfur hanno riempito i titoli dei media, contribuendo a richiamare l'attenzione su eventi che lo meritavano. Tuttavia lo scotto da pagare è stato il venir meno dell'unicità della Shoah e della sua memoria. Il termine "olocausto" si è politicamente inflazionato. È divenuto un mezzo per definire afflizioni politiche e umane di ogni tipo. "Olocausto" è la traduzione in greco del termine ebraico olah, adottata dalla versione dei Settanta. Olah è un sacrificio in cui tutto viene bruciato sull'altare. Secondo la Torah l'uso di questo termine religioso non riguardava gli esseri umani ma nel libro di Geremia (19, 4-5) i tanto esecrati sacrifici umani del culto pagano di Baal sono definiti, al plurale olot. La Bibbia di Donay-Rheims (edizione del 1750), che ha cercato di restare il più possibile fedele alla versione dei Settanta, offre la seguente traduzione: "E hanno fabbricato altari a Baal per bruciare nel fuoco i loro figli in olocausto a Baal: cose che io non comandai, né mai mi vennero in mente". Non è noto se lo stesso termine greco holòkauston si riferisse a un rito sacrificale pagano o ebraico. Nell'Anabasi, molto antecedente alla traduzione della Bibbia in greco, Senofonte utilizza la forma verbale holokàutei in riferimento al rito sacrificale pagano greco. Il testo di Senofonte è stato letto praticamente da ogni classe istruita nel corso di tutta la storia europea. Anche per questo i termini "sacrificio" e "olocausto" sono stati spesso associati ai riti pagani, con il significato di "offerta interamente bruciata". Nella Encyclopédie (1765) di Diderot e D'Alambert, la voce Olocausto, in trenta righe, non fa alcun riferimento a ebrei o a pratiche ebraiche, ma solo a sacrifici in onore di "divinità infernali". Nel 1929 Winston Churchill definì le atrocità turche contro gli armeni come "olocausto amministrativo". D'altra parte, a New York, nel 1932, un annuncio pubblicitario di una grande svendita promozionale affermava che tappeti orientali e nazionali erano oggetto di un "grande olocausto del prezzo". Il termine "olocausto" per indicare lo sterminio nazista degli ebrei fu utilizzato per la prima volta nel novembre 1942 in un editoriale del "Jewish Frontier". Tuttavia, anche dopo il 1945, non è mai divenuto un sinonimo preciso di sterminio degli ebrei, infatti, fino ai primi anni Sessanta, era usato principalmente nel contesto della catastrofe nucleare. Fu il pensatore cattolico François Mauriac, nel 1958, nella prefazione al libro di Eli Wiesel La notte ad adottare il significato religioso del termine "olocausto" utilizzato in Geremia 19, 4-5 per indicare grave peccato: "Per Wiesel (...) Dio è morto (...) il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe si è dileguato per sempre (...) nel fumo dell'olocausto preteso dalla razza, la più ingorda di tutti gli idoli". L'interpretazione di Mauriac può condurre alla possibilità della formulazione di un impegno cattolico vincolante che dovrebbe considerare la negazione dell'"olocausto" un peccato contro Dio. È interessante osservare come il nome della legge israeliana che nel 1953 istituì lo Yad Vashem sia Remembrance Authority of the Disaster and Heroism. In questo caso il termine Shoah è stato tradotto con "disastro" o "catastrofe", resa abbastanza precisa del suo significato biblico. Il termine "olocausto" per indicare lo sterminio degli ebrei era dunque usato raramente e, perfino negli anni Sessanta, sempre insieme all'aggettivo "ebraico" o ad altri. Negli anni Settanta, nelle pubblicazioni americane l'uso del termine divenne più frequente per indicare lo sterminio degli ebrei. Nel 1978 la serie televisiva statunitense Holocaust fu trasmessa in tutto il mondo occidentale. E tuttavia il termine non poteva identificarsi esclusivamente con lo sterminio degli ebrei. Sono numerosi i motivi per cui è divenuto preferibile il termine Shoah per indicare l'evento, unico nel suo genere, dell'uccisione sistematica e meccanizzata che portò allo sterminio di un terzo del popolo ebraico. In primo luogo, esso offre un'alternativa ai significati, in qualche modo vaghi, del termine "olocausto". L'unicità è meglio mantenuta con il termine Shoah. In secondo luogo, utilizzando il termine Shoah si può mostrare rispetto e solidarietà alle
vittime e al modo in cui esse stesse esprimono la propria memoria nella loro lingua ebraica. Più probabilmente dobbiamo questa sostituzione di termini al regista Claude Lanzmann, che, nel 1985, ha intitolato il suo acclamatissimo documentario di nove ore proprio Shoah. Ciò ha reso internazionalmente nota questa parola ebraica. La scelta è condivisa anche da Benedetto XVI, che, in occasione del settantesimo anniversario della "notte dei cristalli", ha definito, il 9 novembre 2008, "quel triste avvenimento" inizio della "sistematica e violenta persecuzione degli ebrei tedeschi, che si concluse nella Shoah". Gli ebrei, fin dalla seconda generazione dei sopravvissuti alla Shoah, hanno sviluppato un atteggiamento paranoico per evitare la dimenticanza. Ciò viene mitigato dalla ripetizione o, in altre parole, dalla memoria ritualizzata. A tutt'oggi accomunare la loro unica esperienza di vittime con le atrocità commesse contro altre nazioni sembra equivalere al tradimento di un lascito trasmesso alle generazioni di ebrei sopravvissuti a quell'evento. Infatti, se la possibile conseguenza della memoria è la banalizzazione, il prezzo della dimenticanza è molto più alto. Per questo all'entrata dello Yad Vashem si possono leggere le parole attribuite al fondatore del movimento chassidico, il Ba'al Shem Tov: "La memoria è la fonte della redenzione".

Mordechay Lewy Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede

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rende evidente l'importanza che stà assumendo il termine SHOAh con il quale si vuole sostituire il termine OLOCAUSTO-
iMPORTANZA POLITICA di un ternmine che avevamo gia cercato di analizzare-
con questo post
DIETRO FRONT-NON SI CHIAMA PIù OLOCAUSTO MA SOLO SHOAH-

I termini, soprattutto nella società dell'immagine e della informazione automatica sono importanti, magici.
I termini e le parole magiche erano una volta utilizzate dagli stegoni per evocare demoni pericolosi tra i popolani che emotivamente già fragili a causa delle precarie condizioni di vita in una natura pressocche sconosciuta e pericolosa facilmente prostravano la propria capacità critica ed intellettiva di fronte a chi queste parole sapeva enunciare con formule spettacolari e di grande impatto emotivo.

Oggi che la vita moderna non concede spazi alla riflessione o semplicemente all'ozio, le parole continuano a rappresentare uno strumento fondamentale per il controllo della opinione pubblica e rappresentando quei contenitori che tentano di riassumere magicamente concetti che necessiterebbero, per essere compresi, di tempo e volonta che solo una ristretta cerchia di persone puo permettersi di sottrarre alla incessante aspirazione al benessere economico [aspirazione anche essa evocata, tramite immagini e formule magiche dagli stregoni moderni del giornalismo del marketing e della pubblicità].
Concetti che però alle volte come nel caso della parola shoah o olocausto [che solo apparentemente sembrano sinonimi] assumono una valenza politica e strategica enorme tale da imporne ad esse determinati significati e non altri e la necessità che questi significati siano immediatamente percepiti ed assimilati dalla opinione pubblica senza lasciare la possibilità che questi possano essere messi indiscussione.

Non a caso le parole olocausto e shoah sono sempre corredate da strazianti racconti infarciti di parole e immagini raccapriccianti che facilmente estromettono la capacità critica per far spazio solo alla capacità di emozionarsi.
La questione dei termini shoah ed olocausto è divenuto argomento di discussione e Il 12 agosto 2009 "The New York Times" ha attribuito grande importanza alla questione e in un articolo intitolato: "È tutto troppo tranquillo per gli israeliani? Cresce l'apprensione per capire quale asso i nemici nascondono nella manica".

Articolo che sottolinea come i due termini non sono assolutamente sinonimi ma sottointendono due diversi approcci culturali e politici alle motivazioni che sono alla base della nascita e legittimità dello stato di Israele- Diversi approcci alla genesi di israele che vedono storici ebrei della disapora ebraica come anna Foà o Georges Bensoussan, affermare che "lo Stato d’Israele è nato dal sionismo, ed era già in gran parte edificato durante i decenni dell’Yishuv, prima del 1948 [ammettendo così implicitamente la possibilità che molti degli ebrei risultati deceduti in seguito alle
persecuzioni naziste in realtà erano gia fuggiti da tempo dall'Europa per trovare rifugio in quella terra ancora chiamata Palestina] contrapponendosi cosi in maniera evidente non solo con l'esperienza pubblicamente ormai forse condivisa in occidente grazie ad oltre 50 anni di pubblicistica olocaustica ma anche in aperto scontro con un certo concetto dell'ethos
[stile di vita] israeliano che lega l'olocausto alla costituzione della patria ebraica.
Basti pensare in questo senso all'enorme rilievo che possiede in Israele il museo dell'olocausto Yad washem a cui ogni capo di stato occidentale è obbligato ad accedere per "non dimenticare" appunto il sacrificio [olocausto] sostenuto dal popolo ebraico al fine di ottenere il diritto a creare un propio stato-Sacrificio di sangue che ogni popolo di ogni nazione compie in guerra per difendere o acquisire il diritto di costituirsi in stato.
Sacrificio che dA solo puo giustificare la nascita di uno Stato e la sua legittimità e senza il quale,nel caso di israele, rappresenterebbe solo il risultato di una operazione di COLONIZZAZIONE priva di qualunque radice storica e culturale .Perche allora sta sorgendo questa diatriba politico culturale strettamente interna al mondo ebraico per definire un evento, [anche se la sua veridicità è ampiamente contestata da eminenti storici contemporanei], che per oltre 50 anni siamo stati abituati a definire olocausto e che oggi sorprendentemente ci dicono sia in realtà sbagliato e da sostiture con il termine shoah?
Perche la comunità ebraica diasporica occidentale attenta il fondamento stesso della legittimità alla esistenza dello stato di israele?
In realtà i motivi sono molti.
Uno dei motivi è molto semplice infatti se il termine olocausto da una parte con il suo significato appunto di sacrificio, rinuncia, pena, in visione e con lo scopo dell'ottenimento di un risultato, giustifica e legittima la esistenza
di uno stato ebraico e quindi gli ebrei che in tale stato hanno deciso di trasferirisi dall'altro rischia in futuro di escludere il resto della comunità ebraica diasporica occidentale da tutta una serie di considerazioni politiche che lo
status politico di ebreo e perseguitato attualmente consente in occidente.

Il nuovo termine shoah ,mutuato dal cinema e con esso il suo carico emotivo,propiamente ebraico e non confondibile quindi con altri eventi storici, traduce genericamente il termine catastrofe e indica una azione subita indistintamente da tutto il popolo ebraico ma che in realtà tenta di
estendere a questo, il diritto di esistere come popolo ebraico anche al di fuori del territorio israeliano, cioè il diritto a vivere come una entità politica e nazionale distinta e distante dalla comunità nazionale nella quale risiedono.
lo stato di Israele rivendica il suo diritto ad esistere propio in funzione del sacrificio sostenuto dal suo popolo e il 27 gennaio è la giornata nazionale della memoria che ricorda questo sacrificio poi fatta propia anche da altri stati occidentali che ne hanno assunto la ricorrenza in funzione delle proprie responsabilità storiche e che rappresenta anche il riconoscimento ufficiale della esistenza dello stato di israele-
Non a caso tale giornata è celebrata solo negli stati che riconoscono la esistenza dello stato di Israele.
Giornata della memoria quindi che interpretata secondo il termine shoah, acquisisce sia il significato di ricordo storico, sia il riconoscimento della esistenza di israele sia il significato politico di garanzia agli ebrei diasporici di poter continuare a vivere in occidente rimanendo fedeli ad Israele.
Sembra quindi che il millenario sogno degli ebrei di ricostituire lo stato ebraico si sia avverato ma che in questo, la stragrande maggioranza degli ebrei non ci pensa proprio di voler risiedere ma utilizzino il sacrificio dei loro avi per continuare a vivere secondo una struttura politica, chiusa, inassimilabile e soprattutto infedele agli stati in cui risiedono.

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DIETRO FRONT-NON SI CHIAMA PIù OLOCAUSTO MA SOLO SHOAH-

I termini, soprattutto nella società dell'immagine e della informazione automatica sono importanti, magici.
I termini e le parole magiche erano una volta utilizzate dagli stegoni per evocare demoni pericolosi tra i popolani che emotivamente già fragili a causa delle precarie condizioni di vita in una natura pressocche
sconosciuta e pericolosa facilmente prostravano la propria capacità critica ed intellettiva di fronte a chi queste parole sapeva enunciare con formule spettacolari e di grande impatto emotivo.

Oggi che la vita moderna non concede spazi alla riflessione o semplicemente all'ozio, le parole continuano a rappresentare uno strumento fondamentale per il controllo della opinione pubblica e rappresentando quei contenitori che tentano di riassumere magicamente concetti che necessiterebbero, per essere compresi, di tempo e volonta che solo una ristretta cerchia di persone puo permettersi di sottrarre alla incessante aspirazione al benessere economico [aspirazione anche essa evocata, tramite immagini e formule magiche dagli stregoni moderni del giornalismo del marketing e della pubblicità].
Concetti che però alle volte come nel caso della parola shoah o olocausto [che solo apparentemente sembrano sinonimi] assumono una valenza politica e strategica enorme tale da imporne ad esse determinati significati e non altri e la necessità che questi significati siano immediatamente percepiti ed assimilati dalla opinione pubblica senza lasciare la possibilità che questi possano essere messi indiscussione.

Non a caso le parole olocausto e shoah sono sempre corredate da strazianti racconti infarciti di parole e immagini raccapriccianti che facilmente estromettono la capacità critica per far spazio solo alla capacità di emozionarsi.
La questione dei termini shoah ed olocausto è divenuto argomento di discussione e Il 12 agosto 2009 "The New York Times" ha attribuito grande importanza alla questione e in un articolo intitolato: "È tutto troppo tranquillo per gli israeliani? Cresce l'apprensione per capire quale asso i nemici nascondono nella manica".

Articolo che sottolinea come i due termini non sono assolutamente sinonimi ma sottointendono due diversi approcci culturali e politici alle motivazioni che sono alla base della nascita e legittimità dello stato di Israele-
Diversi approcci alla genesi di israele che vedono storici ebrei della disapora ebraica come anna Foà o Georges Bensoussan, affermare che "lo Stato d’Israele è nato dal sionismo, ed era già in gran parte edificato durante i decenni dell’Yishuv, prima del 1948 [ammettendo così implicitamente la possibilità che molti degli ebrei risultati deceduti in seguito alle
persecuzioni naziste in realtà erano gia fuggiti da tempo dall'Europa per trovare rifugio in quella terra ancora chiamata Palestina] contrapponendosi cosi in maniera evidente non solo con l'esperienza pubblicamente ormai forse condivisa in occidente grazie ad oltre 50 anni di pubblicistica olocaustica ma anche in aperto scontro con un certo concetto dell'ethos
[stile di vita] israeliano che lega l'olocausto alla costituzione della patria ebraica.
Basti pensare in questo senso all'enorme rilievo che possiede in Israele il museo dell'olocausto Yad washem a cui ogni capo di stato occidentale è obbligato ad accedere per "non dimenticare" appunto il sacrificio [olocausto] sostenuto dal popolo ebraico al fine di ottenere il diritto a creare un propio stato-Sacrificio di sangue che ogni popolo di ogni nazione compie in guerra per difendere o acquisire il diritto di costituirsi in stato.
Perche allora sta sorgendo questa diatriba politico culturale strettamente interna al mondo ebraico per definire un evento, [anche se la sua veridicità è ampiamente contestata da eminenti storici contemporanei], che per oltre 50 anni siamo stati abituati a definire olocausto e che oggi sorprendentemente ci dicono sia in realtà sbagliato e da sostiture con il termine shoah?
Perche la comunità ebraica diasporica occidentale attenta il fondamento stesso della legittimità alla esistenza dello stato di israele?
In realtà i motivi sono molti.
Uno dei motivi è molto semplice infatti se il termine olocausto da una parte con il suo significato appunto di sacrificio, rinuncia, pena, in visione e con lo scopo dell'ottenimento di un risultato, giustifica e legittima la esistenza
di uno stato ebraico e quindi gli ebrei che in tale stato hanno deciso di trasferirisi dall'altro rischia in futuro di escludere il resto della comunità ebraica diasporica occidentale da tutta una serie di considerazioni politiche che lo
status politico di ebreo e perseguitato attualmente consente in occidente.
Il nuovo termine shoah propiamente ebraico e non confondibile quindi con altri eventi storici, traduce genericamente il termine catastrofe e indica una azione subita indistintamente da tutto il popolo ebraico ma che in realtà tenta di
estendere a questo, il diritto di esistere come popolo ebraico anche al di fuori del territorio israeliano, cioè il diritto a vivere come una entità politica e nazionale distinta e distante dalla comunità nazionale nella quale risiedono.
lo stato di Israele rivendica il suo diritto ad esistere propio in funzione del sacrificio sostenuto dal suo popolo e il 27 gennaio è la giornata nazionale della memoria che ricorda questo sacrificio poi fatta propia anche da altri stati occidentali che ne hanno assunto la ricorrenza in funzione delle proprie responsabilità storiche e che rappresenta anche il riconoscimento ufficiale della esistenza dello stato di israele-
Non a caso tale giornata è celebrata solo negli stati che riconoscono la esistenza dello stato di Israele.
Giornata della memoria quindi che interpretata secondo il termine shoah, acquisisce sia il significato di ricordo storico, sia il riconoscimento della esistenza di israele sia il significato politico di garanzia agli ebrei diasporici di poter continuare a vivere in occidente rimanendo fedeli ad Israele.
Sembra quindi che il millenario sogno degli ebrei di ricostituire lo stato ebraico si sia avverato ma che in questo, la stragrande maggioranza degli ebrei non ci pensa proprio di voler risiedere ma utilizzino il sacrificio dei loro avi per continuare a vivere secondo una struttura politica, chiusa, inassimilabile e soprattutto infedele agli stati in cui risiedono.


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mendi
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Questo MordechaY Lewy sembra una persona ragionevole e per bene.
Sembra, perché in realtà è anche lui un complice di ladri e assassini in quanto funzionario consapevole di quel regime nazi-sionista che domina in Israele.


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