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Gli schiavi bulgari delle griffe


Tao
 Tao
Illustrious Member
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«Ieri sera mi ha chia­mato il mio capo per dirmi che c’era un ordine urgente da finire per Zara. Ho lavo­rato dalle 7 alle 10 di sera per la stessa tariffa dell’orario diurno e ho rice­vuto 0,50–0,60 euro all’ora. Non ho un con­tratto di lavoro e non mi ver­sano i con­tri­buti». «Pro­du­ciamo per mar­chi famosi come Zara, Levi’s e H&M. Il nostro capo ci dice con­ti­nua­mente che siamo un’azienda euro­pea che opera secondo gli stan­dard euro­pei e i livelli euro­pei di retri­bu­zione. Come sono cinici! Non voglio rischiare la mia già bassa paga e finire in mezzo a una strada. Quindi, pre­fe­ri­sco stare zitta e non dire nulla; mi ras­se­gno ad essere sfrut­tata e umiliata».

La  regione di Petrich, nella Bul­ga­ria sudo­rien­tale, è per l’industria tes­sile quasi meglio di un paese orien­tale: qui, ai mar­gini dell’Europa unita, si può pro­durre a costi più che con­te­nuti e senza nep­pure la fatica di dover tra­ver­sare mezzo mondo per vedersi reca­pi­tata la merce. Nella regione più povera d’Europa, si cal­cola che metà della popo­la­zione lavori (in fab­bri­che di grandi dimen­sioni, in scan­ti­nati o a domi­ci­lio) per conto di agenti greci che a loro volta ope­rano per conto di grandi mar­chi e distri­bu­tori. E le sto­rie che si ascol­tano sono gli sfo­ghi di chi sa di essere sfrut­tato ma non ha alternative.

Una lavo­ra­trice, occu­pata da 18 anni in una fab­brica che pro­duce per Tom Tai­lor e Zara, ha rife­rito ai ricer­ca­tori della cam­pa­gna Clean Clo­thes di gua­da­gnare 179 euro netti, com­prese cin­que ore di straor­di­na­rio medie al giorno. Un’altra ha rac­con­tato di cucire a domi­ci­lio per­line sulle cami­cette di Benet­ton o Max Mara e di rice­vere non più di un euro e mezzo per un’ora e mezza di lavoro. Una donna slo­vacca ha spie­gato ai ricer­ca­tori che il suo sala­rio è stato ridotto da 430 euro a 330.

Non si tratta di ecla­tanti ecce­zioni, bensì della nor­ma­lità in paesi che sono a pieno titolo nell’Unione euro­pea e in altri che ne hanno fatto richie­sta o riman­gono ai mar­gini. E in molti casi i com­mit­tenti sono, col solito mec­ca­ni­smo del lavoro in subap­palto, mul­ti­na­zio­nali dell’abbigliamento. Nel 2013, si legge nel dos­sier “Stit­ched Up”, che accende i riflet­tori sulle con­di­zioni di lavoro nell’industria tes­sile dell’est Europa ed è stato rea­liz­zato per conto della Com­mis­sione Ue, Bul­ga­ria, Mace­do­nia e Roma­nia hanno fatto regi­strare salari minimi infe­riori a quelli cinesi, Mol­da­via e Ucraina (prima della rivolta di piazza Mai­dan e della guerra civile nel Don­bass) sono rima­ste sotto l’Indonesia, nell’Anatolia Orien­tale i salari per i lavo­ra­tori dell’abbigliamento sono il 20 per cento al di sotto del minimo per vivere una vita appena digni­tosa. Tra­dotto in cifre, si va dagli 81 euro al mese mol­davi ai 129 bul­gari. Nel migliore dei casi (in Croa­zia, Slo­vac­chia e Istan­bul) i salari non supe­rano comun­que i 300 euro.

Si tratta di un feno­meno che riguarda, secondo le stime dei ricer­ca­tori di Clean Clo­thes, almeno tre milioni di per­sone, che con le fami­glie arri­vano a nove milioni: solo nelle repub­bli­che ex sovie­ti­che nel set­tore tes­sile sono impie­gati 750 mila lavo­ra­tori rego­lari e 350 mila al nero. Quello che emerge dal dos­sier è che i paesi post-socialisti fun­zio­nano come bacino di lavoro a buon mer­cato per i mar­chi e i distri­bu­tori occi­den­tali della moda. A essere impie­gate sono nella stra­grande mag­gio­ranza donne (in Tur­chia addi­rit­tura il 90 per cento) che, come rac­conta una ricer­ca­trice geor­giana, «sono retri­buite per quan­tità di pro­dotto rea­liz­zato e le loro paghe non supe­rano i 104–124 euro al mese», men­tre gli uomini lavo­rano «pre­va­len­te­mente nel taglio e nella logi­stica e hanno un sala­rio fisso di 124–145 euro mensili».

L’obiettivo della cam­pa­gna Clean Clo­thes è arri­vare a otte­nere almeno il 60 per cento del sala­rio medio nazio­nale. Ma al momento si tratta di una chi­mera, sia per la man­canza di una legi­sla­zione comune, nei paesi che ade­ri­scono all’Ue, sia per l’assenza totale di pro­te­zione legale in Paesi come la Geor­gia, sia per la dere­gu­la­tion con­trat­tuale e per la dif­fi­coltà di con­trol­lare la filiera pro­dut­tiva, cosa che con­sente a padroni e padron­cini di com­por­tarsi nel modo in cui viene rac­con­tato da una lavo­ra­trice rumena con ven­ti­cin­que anni di ser­vi­zio: «Rag­giungo a mala­pena il minimo sala­riale, c’è stato un mese in cui non ce l’ho fatta nep­pure lavo­rando di sabato. Se dico al capo che qual­che volta non rag­giungo il minimo se non vengo a lavo­rare di sabato, lui mi risponde: “E allora vieni di sabato”».

La con­clu­sione del gruppo di ricerca è in con­tro­ten­denza rispetto a quanto il buon­senso potrebbe sug­ge­rire: a que­ste con­di­zioni è meglio la disoc­cu­pa­zione, per­ché «forme di occu­pa­zione con livelli retri­bu­tivi ecces­si­va­mente bassi creano povertà anzi­ché com­bat­terla». Anche per­ché a gua­da­gnarci, in que­sti anni, sono state solo le mul­ti­na­zio­nali che hanno spo­stato la pro­du­zione dove il lavoro costa meno, i sin­da­cati sono più deboli e i con­trolli meno strin­genti. I ricer­ca­tori met­tono in evi­denza come i più noti mar­chi della moda siano riu­sciti a gua­da­gnare dalla crisi eco­no­mica. I pro­fitti per le big com­pa­nies sono schiz­zati alle stelle: dagli 11,8 miliardi di fat­tu­rato del 2008 ai 16,98 del 2013 per H&M; da 10,41 miliardi del 2008 a 16,72 per Adi­das, i cui lavo­ra­tori rice­vono nove euro al giorno (per dieci ore di lavoro) in Bosnia e cin­que (per otto ore di lavoro) in Geor­gia. Molti, per poter soprav­vi­vere, sono costretti a fare anche un secondo lavoro oppure a dedi­carsi all’agricoltura di sussistenza.

Ci sono poi alcuni “casi di stu­dio”. Fra il mag­gio 2013 e il gen­naio 2014 sono state inter­vi­state 40 lavo­ra­trici in diverse aziende croate e tur­che che pro­du­cono vestia­rio per conto del mar­chio Hugo Boss. Le denunce riguar­dano i salari da fame, l’abuso degli straor­di­nari, la libertà di asso­cia­zione negata e l’assenza di con­trat­ta­zione col­let­tiva, la repres­sione dell’attività sin­da­cale, con mole­stie, atti inti­mi­da­tori e ten­ta­tivi di cor­ru­zione, l’obbligo per le donne di non avere gra­vi­danze. I ricer­ca­tori sono andati nella città turca di Bat­man, dove esi­ste un sistema di sub­for­ni­tura simile a quello bul­garo di Petrich. In un pic­colo labo­ra­to­rio che impiega una ven­tina di donne kurde e alcune siriane hanno sco­perto con­di­zioni di lavoro al limite della schia­vitù: dalle 9 di mat­tina fino a mez­za­notte, senza straor­di­nari e, in caso di ordini urgenti, fino al mat­tino suc­ces­sivo. Al nero e per 130 euro al mese. Gli ospe­dali, in caso di inter­venti gravi, chie­dono il paga­mento della pre­sta­zione. Le lavo­ra­trici la pren­dono con filo­so­fia: «Cer­chiamo di non ammalarci».

Angelo Mastrandrea
Fonte: www.ilmanifesto.it
13.11.2014


Citazione
Primadellesabbie
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
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L'industria della moda, per inciso (ma non troppo) largamente monopolizzata da gay, é sempre stata all'avanguardia per molti aspetti, e tra gli altri anche nello sfruttamento spregiudicato e capillare della manodopera, e non solo ai livelli più marginali della produzione.

Un aspetto da notare é che questo settore riesce a sfruttare manodopera "capace" che, se non si può definire artigianato in senso pieno, possiede una certa dose di abilità e, spesso, capacità di lavoro autonomo.

Questo mondo emana un certo fascino per la vivacità e la creatività che dimostra, ma il rovescio della medaglia é che queste qualità di cui evidentemente dispone in abbondanza, le usa anche in senso negativo, quando si tratta di trovare espedienti per incrementare i guadagni.

C'é da chiedersi se, in un regime di imposizioni fiscali e di costi meno asfissiante la manodopera godrebbe di maggior considerazione. Forse la caccia alle sacche di diseredati volonterosi, indifesi e capaci si attenuerebbe, ma qui la parola va agli "economisti", talmente gelosi delle loro competenze che, se non gli vai a genio, ci mettono niente a dimostrarti il contrario di qualsiasi tesi.

Il fatto che, quasi contemporaneamente alla "caduta del muro", siano apparsi sul mercato gli attori dell'estremo oriente, mi sembra rappresentare una fattore negativo per i Paesi dell'Est Europa.


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