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L'economia sommersa si moltiplica con la crisi


Anonymous
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L’ECONOMIA SOMMERSA SI MOLTIPLICA CON LA CRISI

DI ENRIC LLOPIS
Rebelion.org

Lo Statuto dei Lavoratori somiglia sempre più a una fortezza. Dentro queste mura, la forza lavorativa può contare su alcune protezioni e su certi diritti, anche se in una cornice di relazioni capitaliste. Fuori dalla muraglia, regnano la precarietà e lo sfruttamento della manodopera senza freno né regole. È l'impero dell'economia sommersa. Anche se sono inerenti al modello produttivo spagnolo, le attività chiamate "irregolari" o "informali" si sono moltiplicate nell'attuale situazione di crisi.

Una relazione della Fondazione di Casse di Risparmio del giugno 2011 valuta l'economia "non ufficiale" della Spagna al 24 per cento del PIL; secondo questo studio più di 4 milioni di lavoratori eseguono lavori al "nero". Tuttavia, i dati sono fino al 2008, cioè coincidono con l’apice della bolla immobiliare e l'inizio della crisi. Sarebbe necessaria, pertanto, una correzione al rialzo delle cifre a causa della recessione e bisognerebbe considerare inoltre che, trattandosi di attività che esulano dal controllo ufficiale, si lavora soprattutto con stime.

Altra precisazione da fare. Neanche l'economia sommersa è un aspetto esclusivo dello Spagna. Lo è però il luogo comune che associa l’economia "informale" ai paesi della periferia mondiale. Una relazione dell'OCSE del giugno del 2011 mette in allarme per la proliferazione di pratiche lavorative prossime allo schiavismo. Il caso recente di 1.200 lavoratori agricoli che lavoravano a Napoli in condizioni miserabili, in una proprietà simile a un campo di concentramento e vigilati da una milizia privata, mostra gli estremi ai quali possono arrivare la concorrenza selvaggia e la corsa alla diminuzione del costo di lavoro in tutto il mondo.

Per un'analisi dell'economia sommersa spagnola dobbiamo considerare due variabili: i settori economici e il processo produttivo. Per quanto riguarda i settori, le attività "in nero" si concentrano nella classica triade composta dall’agricoltura, dall’edilizia e dall'industria alberghiera (molto vincolata al turismo); in minore misura, riguarda l’industria tessile, delle calzature, la produzione dei giocattoli e le badanti.

Il secondo elemento che condiziona l'economia sommersa – il processo di produzione – necessita della partecipazione di piccole e medie imprese e, soprattutto, l’applicazione di metodi di frammentazioni e di subappalto. In questo modo una grande impresa madre, quella che controlla tutto il processo, esercita una pressione verticale sulle piccole imprese per poter fissare i prezzi e risparmiare i costi, e con questo riesce anche a eliminare la resistenza sindacale. Il risultato di questo modello è la concentrazione del lavoro non dichiarato (economia sommersa, negli anelli finali della catena), anche se non in modo esclusivo.

Ad esempio, nel settore edilizio il progettista di un'opera può subappaltare a un'impresa di costruzioni che a sua volta subappalta a un muratore, a uno specialista in intonaci che a sua volta subappalta a imprese del gesso e di tubature, a un altro per la posa delle tegole e alla fine a uno specialista per gli infissi e per i pavimenti. Questo è un modello semplice, visto che nelle grandi infrastrutture si possono avere fino a 40 sub-contrattazioni. Ma la logica è sempre la stessa: il massimo del profitto, la selezione delle offerte più economiche da parte dell’impresa madre e la precarietà massima degli strati inferiori. Fino agli anni ’70 le imprese madri si incaricavano direttamente di tutti i lavori.

L'economia sommersa costituisce per le imprese, in termini marxisti, un "esercito di riserva", come i disoccupati. In realtà compiono la stessa funzione: spingono al ribasso i salari e costituiscono una manodopera abbondante, docile ed economica, molto utile per le imprese in tempo di crisi. Disoccupati e lavoratori "irregolari" possono, in realtà, scambiarsi il ruolo con relativa facilità. Fanno parte di una stessa realtà.

Secondo Héctor Illueca, ispettore del lavoro, "esiste una grande ipocrisia rispetto all'economia sommersa; da una prospettiva capitalista non rappresenta assolutamente un problema, al contrario permette di ristrutturare la relazione capitale-lavoro in un contesto di crisi a beneficio delle imprese; quindi, più che un problema, è una soluzione."
E per la classe lavoratrice? Un articolo nel quotidiano Público della professoressa universitaria emerita di Economia Applicata dell'UAB, Miren Etxezarreta, risponde alla domanda: "Gran parte dei quasi cinque milioni di disoccupati riescono a sopravvivere svicolando con lavori irregolari nell'economia sommersa; quindi, molti dei disoccupati si mantengono facendone parte. Molti di più, tenendo conto che più di 1,3 milioni di famiglie hanno tutti i componenti di disoccupati che uno di ogni tre disoccupati lo è di lunga durata, che il settore pubblico sta realizzando severi programmi di aggiustamento e che si sono eliminati praticamente tutti gli aiuti per quelli che non avevano reddito." Senza contare la carente salute lavorativa e l'alto grado di incidentalità implicati dall’economia "irregolare".

L'Ispettorato del Lavoro e della Previdenza Sociale ha effettuato circa 150.000 controlli nel primo trimestre del 2011, e il 9 per cento (13.528) ha comportato una sanzione, nella maggioranza dei casi per la situazione di lavoratori che non erano iscritti alla previdenza sociale. In due province, Santa Cruz de Tenerife e Alicante, si raggiunge – a causa della loro dipendenza dal turismo – il 20 per cento di lavoro non dichiarato. Il profilo di lavoratore "irregolare" si adatta essenzialmente a due tipi: impiegato immigrante senza permesso di lavoro e lavoratore nazionale che non viene iscritta dall’impresa alla Previdenza Sociale o che realizza un'attività dipendente nell'impresa, ma con l’incarico di "falso lavoratore autonomo".

Gli ispettori hanno scoperto casi come quello di una dozzina di lavoratori immigranti che esercitavano attività in ristoranti e di telefonia di Barcellona senza contratto né iscrizione alla previdenza sociale, in imprese senza licenza o che ne avevano una per un altro tipo di commercio. O quello di 71 impiegati immigranti in un agrumeto di Castellón che lavoravano sotto il minimo salariale e che venivano fatti dormire in tre abitazioni dove vivevano ammassati in cambio di 120 euro al mese. A Elda (Alicante), un’ispezione di giugno ha rilevato che in un calzaturificio erano impiegati 20 lavoratori senza contratto né iscrizione alla previdenza sociale, che dovevano ancora riscuotere una mensilità. Si tratta di situazioni all’ordine del giorno.

In una congiuntura di crisi economica e con un deterioramento progressivo delle relazioni lavorative, come agisce il governo nei confronti dell'economia sommersa? "Con grande ipocrisia, poiché non si pretende assolutamente di risolvere il problema", assicura Héctor Illueca. Il Decreto Legge del 29 aprile, approvato dal governo in seguito alle direttive dell’UE, fissa un termine di tre mesi per la regolarizzazione di un lavoratore clandestino, ossia un'amnistia per le imprese che rendono palese il lavoro "irregolare". Il Decreto, del quale si ignorano ancora i risultati, ha suscitato molte critiche poiché fa tabula rasa delle irregolarità delle imprese, anche se aumenta le multe per le situazioni di impiego "irregolare".

Ma il problema è di fondo. L'economia sommersa in generale e il Decreto del governo in questo contesto particolare si associano alle competenze del Ministero di Lavoro. Ossia si considera solamente come un problema di lavoro non dichiarato e di assenza di versamenti al
la previdenza sociale. Ma l'economia sommersa è, soprattutto, secondo Illueca, "una gigantesca e massiccia frode fiscale, a cui non si vuole mettere mano, perché richiederebbe l’introduzione di una riforma impositiva che colpirebbe inevitabilmente gli imprenditori e le grandi fortune."

La Relazione della Lotta contro la Frode Fiscale realizzata dai tecnici del Ministero del Tesoro e delle Finanze (GESTHA) abbonda precisamente di questa idea: lavoratori e pensionati guadagnerebbero, secondo le dichiarazioni dell’IRPF – più del 75% degli imprenditori e dei liberi professionisti presentano dichiarazioni dei redditi vicine ai 1.000 euro mensili o addirittura meno. Questo mette evidenza l'esistenza di una frode "vasta e strutturale”, concludono i tecnici del Ministero delle Finanze. Ma la riforma fiscale è uno dei grandi tabù che non si vogliono assolutamente affrontare. È evidente che la crisi debba essere caricata sulle spalle delle classe popolari.

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Fonte: http://rebelion.org/noticia.php?id=133888

12.08.2011

Traduzione di SUPERVICE


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