Il senso della vita
 
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Il senso della vita


Tao
 Tao
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Accade che la morte sia l'occasione per incontrarci e gioire della nostra presenza

Mio zio è morto mercoledì. Abitava in un paese della Polonia orientale. Da bambino e da adolescente vi trascorrevo tutte le vacanze. Ero un ragazzo di città, ma laggiù mi sentivo a casa. Come se ci fossi nato. Era da lì che veniva mio padre. Il villaggio si trovava su una sponda ripida. In basso scorreva il Bug, capriccioso e verde. Insieme ai ragazzi di campagna raggiungevamo a nuoto la riva opposta o piantavamo le tende sulla spiaggia sabbiosa. Era lungo lo stesso fiume che mio padre, da piccolo, raggiungeva la scuola nel villaggio vicino: d'inverno, quando era ghiacciato, infilava i pattini e scivolava lungo il suo corso per una decina di chilometri.

Durante la Seconda guerra mondiale fu proprio il Bug a demarcare la frontiera fra le due zone d'occupazione, la tedesca e la sovietica. Mio zio allora faceva il contrabbandiere. La notte, su delle barche, si contrabbandavano nella zona sovietica prodotti industriali e si faceva ritorno con l'alcol puro. Nella fattoria di mio zio stazionavano i tedeschi. Nascondevano gli armamenti nel frutteto dietro grandi tele mimetiche.

La leggenda familiare racconta che si comportassero in maniera molto corretta. Scambiavano le razioni militari in cambio di latte fresco e di uova. All'alba del 22 giugno 1941 scomparvero. In paese ci fu anche chi rimpianse che se ne fossero andati.

Durante la mia infanzia questi ricordi e leggende erano quanto mai vivi. Si mescolavano con il presente. E con la magia. Mia nonna, così come le altre donne, credeva negli spiriti, credeva che l'aldilà e la vita quotidiana si permeassero in maniera incessante. In un certo senso ho assunto da lei questa fede e non l'ho mai perduta fino in fondo. La sera mi raccontava dei suoi incontri con i morti. In questi racconti non c'era nessun orrore, nessuna minaccia, piuttosto la soddisfazione per il buon funzionamento del mondo.

Poi anche la nonna è morta, e io ho assistito alla sua morte. È morta in maniera naturale, tranquilla, si è semplicemente trasferita dai suoi morti con cui era capace di mettersi in contatto già da viva. È stata la prima morte della mia vita. Quella mattina d'estate, quando il corpo della nonna venne vestito di nero e deposto sul tavolo, provai una tristezza profonda, ma non paura né disperazione.

E dunque mio zio è morto mercoledì. Il funerale si è svolto lunedì. Cadeva una neve a piccoli fiocchi.

La messa funebre si è tenuta in una piccola chiesa di legno. Questa chiesa cento anni fa era di rito greco-cattolico. Lo zio aveva 81 anni, da un anno era seriamente malato e la sua morte non è stata una sorpresa. Durante tutta la sua vita adulta era stato una persona importante nella nostra famiglia. La sua figura minuta e mobile si trovava sempre al centro degli eventi. La sua intelligenza tranquilla e il suo senso dello humour, discreto e autoironico, facevano sì che la gente gli si attaccasse.

Durante il funerale e subito dopo questa forza si mostrò ancora una volta. Si era infatti radunata una famiglia dagli angoli più lontani del paese, persone che spesso non si vedevano da anni, da decenni. Già dopo il funerale, quando prendemmo posto alle lunghe tavolate, questa cerimonia che sembrava tanto triste si trasformò in una tranquilla festa di famiglia. Persino la vedova, mia zia, non era disperata e sembrava rassegnata. Lo stesso i due figli dai capelli che andavano incanutendo, lo stesso i nipoti e il resto della famiglia ramificata.

I partecipanti ai funerali mangiavano, bevevano i liquori alla frutta e semplicemente si rallegravano di essere insieme. Fuori dalle finestre scure cadeva una neve precoce. Alcuni parenti li riconobbi in maniera istintiva. Tanto erano cambiati, tanto erano invecchiati. Ricordavamo e ci sorridevamo. La figura minuta e fragile dello zio appariva in questi ricordi in maniera del tutto naturale, priva di patos e disperazione. Mi rammentai come un anno prima lo zio già indebolito si lamentasse che tutti i suoi amici se ne fossero già andati. Allora la zia, assolutamente tranquilla, gli aveva detto: "Non aver paura. Ti aspettano". E aveva lanciato uno sguardo eloquente verso il soffitto.

Non è per un capriccio che scrivo questo necrologio, all'apparenza molto privato, per una lontana rivista italiana e per il lontano pubblico italiano. Quello che voglio dire è semplicemente che a volte la morte ci rivela il suo senso. Fa sì che ci possiamo incontrare e gioire della nostra presenza in una maniera che senza la morte non ci sarebbe possibile.

E laggiù, nel remoto villaggio di mio zio, che contrabbandava attraverso il fiume l'alcol sovietico, compresi che la morte, nella vita, ci serve molto.

Andrzej Stasiuk
Fonte: http://espresso.repubblica.it
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il-senso-della-vita/1918918&ref=hpsp
20.12.07


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