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Infermiera mi curi il paradosso


Maria Stella
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INFERMIERA, MI CURI IL PARADOSSO
Guai a dire che esiste un problema occupazionale. Tremonti, dietro ai fondi di bottiglia, strizza l’occhietto ai più consumati luoghi comuni dopo aver imparato a memoria la lezione politically correct. Perché il lavoro c’è, ma non si vede

Di Nadine Federici

Gli stranieri lavorano, eccome, ma gli italiani, si sa: sono pigri. Anzi no: l’italiano è un gran lavoratore, mai affermare il contrario. E quindi? L’Italia è un Paese contraddittorio che dovrebbe “far pace col cervello”.

La questione del lavoro e della necessità di immigrati è un vero e proprio ossimoro politico e sociale. Come già accennato sono anni che viene evidenziata la necessità di assumere personale medico straniero: gli italiani sono tutti letterati e mancano professionisti. E’ facile accusare di malcelato razzismo chi nota che alcuni stranieri rischiano di abbassare il livello delle prestazioni. Purtroppo però si deve notare che nel resto del mondo i professionisti medici sono obbligati a provare –fra le altre cose- che il loro livello di conoscenza della lingua del paese ospitante sia più che sufficiente. In Italia questo non avviene. Un esempio su tutti è il ridicolo test di lingua italiana che, da novembre 2010, è obbligatorio per gli stranieri che richiedono la carta di soggiorno. Le domande banalissime: “Come ti chiami? Dove abiti? Chi è il presidente del consiglio? Quanto dura questo corso di lingua?” e –ovviamente- si tratta di un mero quiz a risposta multipla. Si converrà che un infermiere, un medico o un tecnico debbano conoscere piuttosto bene la lingua parlata dai pazienti e dai colleghi, altrimenti il servizio non potrà che risentirne.

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità dal 1980 al 2010 in molti paesi d’Europa il numero di impiegati stranieri nel settore sanitario sarebbe aumentato di più del 5% all’anno. Nei paesi Ocse circa il 20% dei medici sarebbe straniero. Quindi, quello che avviene in Italia sarebbe normalissimo. Ciò che non è normale è che medici, infermieri e tecnici di laboratorio italiani si trovino ad emigrare lasciando un vuoto che va ad essere colmato da persone pagate di meno e costrette a lavorare in condizioni che rasentano lo schiavismo. Intanto Australia, Canada, Emirati Arabi, Irlanda, Nuova Zelanda, Svezia , Svizzera e America fanno la spesa di professionisti medici nel Belpaese dove mancherebbero ben 50 mila infermieri a cui, entro il 2015, si aggiungerebbe una quota di medici specialisti (non si capirebbero allora le proteste a La Sapienza di Roma nel 2008).

Ciò che però è veramente paradossale è il modo in cui gli infermieri stranieri in Italia vengano bellamente sfruttati da caritatevoli cooperative. Si perché il cittadino comunitario e non che anche avesse un titolo di studio conseguito nel nostro Paese, non avrebbe il diritto di partecipare ad alcun concorso pubblico poiché è necessario essere cittadini italiani. L’unico modo per lavorare nel Belpaese, dunque, è quello di passare tramite cooperative. L’articolo 27 del Dlgs 286/98 prevede che alcuni lavoratori stranieri non siano sottoposti alle ordinarie procedure d’ingresso. E’ questo il caso di medici e infermieri. Per loro, tra il momento di richiesta del nullaosta e la concessione dovrebbe passare circa un mese. Dopo di che l’equipollenza del titolo di studio estero dovrebbe avere una procedura semplificata per i medici e gli infermieri che si rivolgessero direttamente al ministero della Sanità, mentre gli altri laureati stranieri devono passare per le università. E’ qui che entrano in scena le cooperative, perché per avviare l’iter ci deve essere una chiamata specifica da un ospedale sia pubblico che privato, oppure da un’agenzia di somministrazione o da una società cooperativa già in contatto con la struttura sanitaria. Infatti alla fine della fiera non sono gli ospedali ad assumere i professionisti stranieri, ma apposite cooperative che si occupano dell’inserimento, fungendo da intermediarie. Michele Piccoli, presidente piemontese del Collegio degli infermieri Ipasvi, parla di vero e proprio ‘caporalato’. “Consideriamo questo genere di rapporto lavorativo, oltre che indegno sul piano morale, pericolosissimo per gli effetti che può avere nelle dinamiche salariali, ponendo sul mercato forza lavoro a basso costo”, dice Piccoli che nota che questi lavoratori sono ridotti “alla disperazione, disposta a tutto e senza diritti, sotto il ricatto del visto di soggiorno detenuto dal ‘caporale’. Battersi contro questa situazione è necessario per difendere il valore, anche economico, del nostro lavoro e per tutelare l’immagine della professione così come percepita dai cittadini nelle corsie degli ospedali, increduli nel doversi esprimere a gesti con personale che non spiccica una parola di italiano”.

Il personale straniero utilizzato (è il caso di dirlo) per sopperire alla carenza italiana però non sempre è all’altezza degli standard richiesti dal servizio sanitario. A tal riguardo Ivan Bufalo, dirigente sindacale del gruppo Nursing-up, afferma che la necessità di verificare la competenza formativa, la conoscenza della lingua e la qualità del lavoro degli stranieri. Cosa che al momento questo non avviene. “Non c’è nessuna forma di controllo –dice Bufalo- eppure è un dato oggettivo che la loro competenza professionale è più scarsa rispetto agli standard del nostro Paese”. Bufalo dice infatti che “la loro formazione avviene in nazioni dove le tecnologie sanitarie sono molto più arretrate, dove il sistema degli esami diagnostici è diverso. E poi c’è il problema della lingua, che è gravissimo: non capire l’italiano vuol dire non essere in grado di rilevare i bisogni dei pazienti”. Ma si sa: il lavoratore straniero conviene di più perché costa di meno. Michele Piccoli, conferma che “un infermiere professionale iscritto all’Albo è pagato circa 25 euro l’ora”, mentre gli stranieri “percepiscono appena 10 euro l’ora e sono sottoposti a turni massacranti, costretti, dall’agenzia da cui dipendono, a lavorare per ore e ore consecutivamente e a trasferirsi senza sosta da una struttura ospedaliera all’altra”. E a denunciare la pratica del continuo spostamento è stata anche la Cgil di Lecco che più di una volta ha manifestato “contrarietà all’impiego della Cooperativa nella gestione dell’assistenza del Reparto di Ortopedia dell’Ospedale Manzoni prima e alla Riabilitazione del Presidio di Bellano”. Il sindacato punta il dito contro la “concentrazione in un unico reparto di tanti infermieri di origine straniera con lingua e cultura diversi, con un elevatissimo turn-over che determina il continuo avvio di nuovi percorsi di inserimento”. A questo si aggiunga che l’inquadramento del personale nelle cooperative sociali prevedrebbe “inferiori tutele e diritti, sia sotto il profilo economico che normativo” e il quadro della perfetta integrazione all’italiana è completo.

http://www.futurolibero.it/1/infermiera_mi_curi_il_paradosso_5907048.html


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Maria Stella
Noble Member
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alla fine della fiera non sono gli ospedali ad assumere i professionisti stranieri, ma apposite cooperative che si occupano dell’inserimento, fungendo da intermediarie. Michele Piccoli, presidente piemontese del Collegio degli infermieri Ipasvi, parla di vero e proprio ‘caporalato’.

Finalmente si diradano le nebbie e spunta l'Italia del caporalato.. indisturbato dall'uno e dall'altro , in qualcosa destri e sinistri vanno d'accordo come culo e camicia.. nel mantenere il sistema di sfruttamento e truffaldinità.

Benedetta Nadine Federici che ce lo spieghi papale papale! Grazie


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dana74
Illustrious Member
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cooperative sono la legalizzazione del caporalato.
Lo si vede anche nel settore agricoltura, solo che nell'ambito sanitario è ben più grave dato che si parla di salute e si può preciudicare non un kg di patate ma la vita di una persona.

Ecco come si crea un servizio che nel complesso costa molto di più e fa schifo.

Perché le coop. poi richiedono dei rimborsi esagerati, in questa puntata ben si evince che se l'ospedale mantenesse e pagasse il dovuto al personale costa meno che delegare alle cooperative.Gli infermieri sarebbero sereni cosa non da poco quando si deve occuparsi di pazienti.

"Nel 2006 ci siamo occupati del fenomeno del ricorso a pratiche di esternalizzazione di lavoratori presso alcuni ospedali romani e italiani in genere, cioè di appaltare a cooperative e ditte l’acquisto di ore di lavoro per sopperire a carenze di personale assunto direttamente dalla azienda stessa. Questo fenomeno comporta la precarizzazione del lavoro e dei lavoratori (buste paghe più basse rispetto ai lavoratori cosiddetti strutturati, contributi pagati per metà nel caso di lavoratori di cooperative, ridotte tutele, ecc.). Questa tesi, contestata allora dall’assessore alla Sanità della Regione Lazio, viene oggi – 2009 – acquisita come valida dall’Amministrazione Regionale. L’aggiornamento fa il punto della situazione a distanza di 3 anni."

http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-7b9da824-2da4-4310-873f-ad20d402c0c8.html


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