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La nuova inquisizione: Pallavidini si confessa


Tao
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Ecco il prof assurto a simbolo della resistenza ai lanzichenecchi attentatori della libertà d’insegnamento

GIANCARLO SCOTUZZI

incontra

RENATO PALLAVIDINI, I SUOI STUDENTI, I SUOI PERSECUTORI

"Altri studenti, risposte sempre uguali e precise ed entusiaste. Ah! Il prof Pallavidini! Che errore cacciarlo! Ho chiesto, a tutti e a nessuno: Ma se lo ritenete bravo e vittima di una persecuzione, perché non avete solidarizzato con lui? Sguardi vacui, labbra tese, forse mi sono distratto e ho fatto la domanda in russo".

Dunque eccolo qui l’uomo assurto a simbolo della resistenza ai nuovi lanzichenecchi che attentano alla libertà d’insegnamento. Eccolo qui il capro espiatorio della Torino bigotta e pavida, timorosa che un mattoncino di dissenso possa far crollare la cupola della Verità Rivelata e Intoccabile, della Storia Codificata Una Volta per Tutte nel Santissimo Processo di Norimberga, del Primato di Israele sul Resto del Mondo. Eccolo qui il docente ribelle, che la Torino dei nuovi crociati, quelli col motto pragmatico in una mano – Fiat voluntas sghei – e la pecetta confessionale nell’altra – Cgil o Sion –, vorrebbe cacciare dalla scuola.
Renato Pallavidini è resistente anomalo e, quantomeno in questa battaglia, suo malgrado. Media statura, 51 anni portati bene, gesti misurati, modi civilissimi, occhi azzurri da buono, eloquio schietto e preciso. Uno che dice quel che pensa. Anche a costo di andare controcorrente, di far stecca nel coro, di dispiacere, di seminare zizzania, d’inimicarsi colleghi e superiori gerarchici.
Forse è anche per questo gli studenti ne sono entusiasti. Stamattina ne ho incontrati. I primi sul tram numero 9, che dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova scorre silenzioso e senza intoppi verso il rettifilo Tassoni, su cui affaccia il liceo classico Cavour, da dove Pallavidini è stato indotto a trasferirsi.
– Conoscete il professor Pallavidini, ho chiesto a due fanciulle.
– Come no! È stato il mio prof al Cavour e adesso ce l’ho al D’Azeglio, rispondono quasi in coro.
– E com’è?
– Fantastico. Tanto bravo e non annoia, dice l’una.
– Eccezionale proprio, echeggia l’altra.
– Se è tanto bravo, perché al Cavour gli han fatto la guerra?
– Perché dice quello che pensa.
Altri ne ho incontrati fuori dal Cavour.
– Io l’ho avuto in seconda. Bravo.
– In una scala da 0 a 10, che voto gli daresti?
– Otto e mezzo.
– Perché pensi lo abbiamo indotto ad andarsene?
– Perché le sue idee davano fastidio.
– Lo hanno accusato di portare la politica in classe, di aver offeso la Giornata della memoria…
– Se un alunno ti fa una domanda perché non rispondere? Ha detto la sua opinione sui bombardamenti di Israele in Libano, che poi è quello che pensano anche molti di noi, perché gli israeliani ai palestinesi fanno delle grandi porcate e non è giusto che Israele profitti dell’Olocausto per giustificare queste porcate.
– Il casino che hanno montato sulla Giornata della memoria – è intervenuto un altro – è nato dalla domanda di una ragazza di Prima, e il prof si è limitato a dire la sua. Ma non nel corso della lezione di filosofia: è successo durante le chiacchiere che si fanno tra un’ora e l’altra.
– E tu che ne pensi di Pallavidini come docente? –ho chiesto.
– Valido. Ti rende interessante la materia e non ti fa sconti. Quando sei passato da lui, la filosofia la conosci.
Il bidello di postazione all’ingresso del Cavour ha baffi allegri come quelli sulle carte dei cioccolatini.
– Vuol parlare con la preside? Eccola, è proprio lì, nel mezzo dell’atrio.
Clelia Zanini, tailleur chiaro, scarpe e borse in tinta, acconciatura non spendacciona, ha salito lo scalone che eleva alla presidenza, vi si è chiusa e al citofono ha chiesto al bidello la ragione per cui io volessi vederla. Il nome di Pallavidini ha serpeggiato su per il filo. Ne è ridisceso un diniego che ha fatto ammosciare i baffi del bidello, che ha annunciato, con la desolazione di uno che ti ha appena tamponato l’auto nuova: «La preside è in riunione e comunque riceve i giornalisti solo su appuntamento».
Altri studenti, risposte sempre uguali e precise ed entusiaste. Ah! Il prof Pallavidini! Che errore cacciarlo!
Ho chiesto, a tutti e a nessuno: Ma se lo ritenete bravo e vittima di una persecuzione, perché non avete solidarizzato con lui?
Sguardi vacui, labbra tese, forse mi sono distratto e ho fatto la domanda in russo. No, uno ha capito:
– Qualcuno ha solidarizzato con lui, anzi, in tre. Su un sito internet ovviamente senza nomi.
Ovviamente. Un coraggioso alla volta basta e avanza in un Torino quadrillé, come la Paris ottocentesca, da viali a misura di carica di cavalleria contro la plebe in rivolta. Del resto il microclima del Cavour svoglia dalla contestazione. Adeguante con judicio, potrebbe essere il motto del giornaletto degli studenti (si chiama proprio Studenti, insulto alla dea Fantasia), rituale quadricromia grondante pubblicità e stimoli consumistici, eccipientato dai triti temini svolti o corretti dai genitori che alla scuola chiedono repliche fedeli di se stessi.
* * *

Genitori di buon censo. Me ne segnalano un paio al tavolino di un bar esoso di Piazza San Carlo. Uno è loquace.
– Pallavidini? Dovrebbe accendere un cero alla tolleranza torinese, invece di atteggiarsi a vittima. Abbiamo chiuso un occhio sulla sua militanza con l’estrema destra eversiva; ne abbiamo chiuso un altro sulle sue poco edificanti, e per un educatore imbarazzanti, avventure sentimentali; non ne abbiamo un terzo da chiudere anche sulla pretesa di mischiare discorsi politici a lezioni di filosofia.
Un’insegnante-sindacalista della Cgil liquida telefonicamente Pallavidini con una battuta: «Perché non si adegua correttamente alla riforma scolastica, invece di considerare la scuola come cosa sua?»

* * *

– Entri, e non badi al disordine.
Pallavidini abita a un tiro di scarpinata da Porta Nuova. In un appartamento di modesto arredo, ma ordinatamente foderato di 3.500 libri.
– Li ha letti tutti, professore?
– Tranne quelli di consultazione…
Ad irrilevante contorno di tanta cultura c’è una seminagione disordinata di oggetti che dicono l’infelice contingenza economica e psicologica dell’inquilino.
Su un ripiano la foto a colori di una famiglia felice: una donna bellissima, bionda, sulla trentina, una bambina altrettanto bella, e il professore, uniti sul divano che ora il professore occupa da solo.
– Sua figlia? – indago, dando per scontato che la donna sia la moglie.
– No, di mia moglie e del suo primo compagno. Può guardare anche le altre foto.
Squarci di serenità familiare, in uno la piccola si diverte a scrivere direttamente sul nuovo papà, metamorfosato in maxiblocco.
– Dev’essere stata dura separarsi da tutto questo, eh, professore?
– Si metta nei miei panni e converrà quanto, ultimamente, sia stato perseguitato dalla malasorte. Circa un anno fa mia moglie mi lascia. Così, dopo tre anni di favoloso matrimonio, questa russa bellissima, che avevo fatto venire qui a mie spese, insieme alla sua bambina, prende le sue cose e se ne va. Si è portata via anche la suocera, una tragedia che pure ho fatto venire qui a mie spese dalla Russia e mantenevo, ma questo non mi ha consolato granché. Amavo mia moglie e mi stavo affezionando anche alla bambina. Sono rimasto solo, come vede, gravato da un assegno di mantenimento, anche se la donna da cui mi sono separato ha un buon posto fisso come commessa in un negozio.

"...in questa scuola i rapporti con i colleghi, già pesanti da tempo, erano diventati insopportabili. A parte la vicenda della Giornata della memoria, i miei colleghi, quasi tutti egemonizzati dalla Cgil, mi contestano la scelta di insegnare in ma
niera autonoma. Io sono sempre stato contrario a collettivizzare l’insegnamento. Credo invece che ogni docente debba svolgere liberamente il programma, senza le inframmettenze dei colleghi. E sono anche convinto che le ultime riforme della scuola non hanno fatto altro che peggiorarla ..."

– E perché se n’è andata?
– Incomprensioni, malintesi. Pensi che a un certo punto mi rimproverava di sprecare troppo tempo a leggere e a scrivere. Diceva di non vederne l’utilità. Come se uno potesse dedicare la propria vita ad acculturarsi, a prepararsi per insegnare meglio, a produrre magari anche un solo articolo l’anno, tutto questo per tornaconto!
La cucina-sala da pranzo termina in un tavolino minimo con un vecchio computer, assurdamente controluce alla finestra, ma confortevolmente affacciato sui rumori della strada, ecco, questa è la voce della Marisa che questiona col marito.
– Cosa scrive, professore?
– Articoli, lezioni, traduzioni.
– Da che lingua traduce?
– Dal tedesco.
Fa fiorire sul video una pagina fitta di incisi in corsivo, di parentesi, di numeretti di rinvio alle note.
– Questo è un trattato di filosofia che ho tradotto per conto di un editore di nicchia. Mi ha dato un anticipo di 800 euro, mi ha chiesto alcuni ritocchi alla traduzione e poi è sparito. Più visto un centesimo. È il lavoro di un anno. Se mi pagasse risolverei tutti i miei problemi economici. Ma non mi paga. Che le dicevo, della sfortuna che mi perseguita?
– Come ha imparato il tedesco?
– Per conto mio. Mi è riuscito facile e l’ho imparato bene, se no mica potrei tradurre questa roba. Ma, e questo vale anche per le altre lingue, ho difficoltà a parlarla altrettanto bene perché sono di carattere introverso.
– Veniamo ai suoi guai professionali sul fronte scolastico.
– Anche qui provi a mettersi nei miei panni. Dopo 27 anni di apprezzato servizio come insegnante di filosofia, ecco che la mia preside e un ispettore scolastico prendono a pretesto una sciocchezza per mettere in dubbio la mia idoneità a insegnare.
– Liquidiamo subito questa sciocchezza, perché 21&33, il sodalizio per conto del quale sono qui, l’ha raccontata a iosa: un giorno una ragazzina di Prima le chiede ragione della mancata celebrazione della Giornata della memoria e lei risponde che Israele farebbe meglio a smettere di bombardare i palestinesi rifugiati in Libano...
– Sono caduto in una trappola...
– È quanto ha sostenuto anche un suo ex allievo che ho incontrato poche ore fa. Ha addirittura insinuato che sarebbe stata un’insegnante a spingere alcuni studenti, tra cui la ragazzina in questione, a stimolare lei, professore, a esternarsi sulla Giornata della memoria. Le risulta?
– L’ho sentito anch’io, sì, ma si tratta di voci, io non ho niente di scritto...
– Comunque i genitori scatenano contro di lei la reazione della lobby sionista, che l’accusa di antisemitismo.
– Soltanto due genitori, rispettivamente una giornalista della Stampa (Loewenthal) e una viceprocuratrice della repubblica (Donatella Masia).
– Soltanto due genitori?
– Sì. Pensi che il babbo della ragazzina che mi fece la famosa domanda mi spedì un fax che mi dava ragione. Eccolo.
Lo mostra. Una breve scritto in cui spiccano le parole Caro professore, sono perfettamente d’accordo con lei. Salvatore Mureddu.
– La fase più umiliante di questa persecuzione contro di me è stata quella della visita attitudinale: mi hanno persino imposto una visita psichiatrica, partendo dal presupposto che un insegnante che rivendica autonomia di insegnamento e libertà di parola sino al punto di criticare i bombardamenti israeliani dev’essere per forza pazzo.
– Ma lei ha superato brillantemente la verifica ed è risultato idoneo all’insegnamento.
– Sì, ma ho dovuto spendere 2.000 euro di parcella al consulente psichiatrico che ho dovuto per forza arruolare.
– Più gli avvocati…
– No, per fortuna il legale che mi difende a Torino e quello che mi difende a Roma, davanti al Consiglio scolastico nazionale, lo fanno per ragioni ideali e non chiedono soldi.
– Facciamo il punto della sua vicenda. Sul piano burocratico, lei è stato dichiarato idoneo all’insegnamento, mentre la contestazione di aver offeso la Giornata della memoria non ha sinora prodotto sanzioni. Tuttavia lei ha chiesto e ottenuto il trasferimento dal Cavour. Perché?
– Perché in questa scuola i rapporti con i colleghi, già pesanti da tempo, erano diventati insopportabili. A parte la vicenda della Giornata della memoria, i miei colleghi, quasi tutti egemonizzati dalla Cgil, mi contestano la scelta di insegnare in maniera autonoma. Io sono sempre stato contrario a collettivizzare l’insegnamento. Credo invece che ogni docente debba svolgere liberamente il programma, senza le inframmettenze dei colleghi. E sono anche convinto che le ultime riforme della scuola non hanno fatto altro che peggiorarla, surrogando l’apprendimento tradizionale con la sperimentazione, un pretesto che consente ai docenti di non insegnare i fondamentali e agli allievi di giocare invece di studiare. Così ho preferito trasferirmi in un liceo che mi consente di continuare a insegnare come ho sempre fatto e nel quale le riforme non hanno fatto troppi danni e dove operano insegnanti rispettosi del principio dell’autonomia.
– Lei lamenta spesso, nelle sue interviste, di essere preso di mira dalla sinistra in generale e dalla Cgil in particolare. Ma lei non è forse noto per la sua militanza nell’estrema destra, dunque per altrettale antagonismo nei confronti della sinistra? Benché io provenga dal marxismo, ho reputazione di militante di estrema destra. E non rinnego di esserci passato. Nel 1991 ho guidato l’occupazione dei miei studenti liceali (all’epoca insegnavo al liceo di Chivasso) per protesta contro la guerra in Iraq, che ben pochi in Italia contrastavano. Sempre in quegli anni mi sono battuto contro le riduzioni di personale alla Fiat. Andai persino a scrivere sui muri No ai licenziamenti (scritte che l’indomani mattina trovammo bell’e cancellate), che la Cgil e gli altri sindacati avevano accettato. È anche vero che sono stato vicino a Pino Rauti, di Ordine Nuovo. Sono passati quasi tre lustri e, benché sia andato nei guai al Cavour per affermazioni e orientamenti che i miei detrattori considerano marxiste o di estrema sinistra, molti persistono a marchiarmi di estrema destra. La verità è che seguo un mio percorso politico, anche se oggi tendo a concentrarmi sulla ricerca storica.

Pubblicato da Gruppo di informazione e denuncia in difesa degli articoli 21 e 33 della Costituzione italiana a domenica, ottobre 07, 2007

Fonte: http://21e33.blogspot.com/2007/10/la-nuova-inquisizione-pallavidini-si.html


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