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Tra mito e realtà i due volti di Spartaco


Tao
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Un ritratto del filologo Luciano Canfora ospite di FestivalStoria

Tra mito e realtà i due volti di Spartaco in lotta per la libertà

Anche Marx era un estimatore moderno di Spartaco, lo schiavo che sfidò il potere di Roma e riuscì, per tre lunghi anni, a capo di un esercito di schiavi come lui, a tenere in scacco la più potente macchina da guerra del tempo. A dire il vero, in tanti nel corso della storia hanno subìto il fascino di questo mito, simbolo della più importante rivolta schiavile del mondo antico. In una lettera privata a Engels, l'amico di sempre, Marx scriveva col suo abituale tono caustico: «La sera per sollievo leggo le "Guerre civili" di Appiano (lo storico che riporta notizie relative alla guerra di Spartaco, ndr) nel testo greco, libro di grande valore. Costui è un egiziano dalla testa ai piedi. Schlosser (qui entra in polemica con lo storico tedesco Friedrich Christoph, ndr) dice che è senza anima, probabilmente perché sviscera fino in fondo le cause materiali delle guerre civili. Spartaco vi figura come il tipo più in gamba che ci sia posto sotto gli occhi, di tutta la storia antica», «fu davvero un grande generale (non un Garibaldi)», «carattere nobile», «vero rappresentante del proletariato antico».

Ma non è Marx l'unico a richiamare la figura di Spartaco come mito funzionale alla storia del movimento operaio moderno. Il suo nome è stato adottato da partiti, comitati, riviste (nel nostro piccolo, anche Liberazione lo utilizzò per uno slogan pubblicitario, "Si incazzerebbe pure Spartaco"), evocato nelle piazze e nei cortei, persino adottato come modello nella rivoluzione fallita degli "spartachisti" Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg in Germania agli inizi del 1919, prima di venire barbaramente uccisi. Di Spartaco si è parlato al Festivalstoria di Torino, diretto da Angelo d'Orsi, oggi alla sua ultima giornata (con appuntamenti tra Saluzzo, Savigliano e Monforte d'Alba). E' toccato, nella fattispecie, al filologo Luciano Canfora il compito di scandagliare il gioco di rimandi tra lo Spartaco storicamente esistito, da rintracciare nelle (poche) fonti storiografiche che ci sono pervenute, e il mito di Spartaco nelle sue tante rielaborazioni e riletture in epoca moderna.
E' soprattutto nello spazio politico che il mito spartachiano offre le "prestazioni" migliori, se non altro per la sua indubbia capacità di generare valori contrapposti, campi semantici conflittuali: da una parte l'eroe in lotta per la giustizia, lo schiavo ribelle, il partigiano della libertà; dall'altra parte della barricata, l'imperialismo, l'ordine, il padrone, la legge a tutela della proprietà e delle gerarchie. Non a caso, il movimento operaio intravede in Spartaco un mito a misura di immaginario di massa. Il suo potenziale simbolico sta soprattutto nel prestarsi a dare un'immagine dei conflitti sociali della modernità. Il mito di Spartaco permette di costruire una tradizione di "parte", di narrare la storia mai narrata e dimenticata degli sfruttati e delle loro rivolte. I partiti socialisti di fine Ottocento avvertono il bisogno di costruire un passato alle spalle di una classe operaia alle "prime armi" e senza storia, alle prese con conflitti inediti. Spartaco è il "passato" da cui provengono idealmente gli operai moderni, che fa del proletariato contemporaneo l'erede delle rivolte degli schiavi antichi.

Anche nel cinema, il mito spartachiano ha ispirato una serie di pellicole, tra le quali non si può non citare il celeberrimo

Spartacus del 1960 a firma di Stanley Kubrick, tratto dall'omonimo romanzo di Howard Fast del 1950. Il ruolo dell'eroe protagonista è affidato a Kirk Douglas. Certo, se raffrontato con la realtà storica, il film presenta «qualche imprecisione» - come segnala Canfora -, nell'attribuire con un paio d'anni d'anticipo sulla realtà, la carica di primo console a Crasso, il feroce comandante romano che alla fine sconfisse l'esercito degli schiavi. Ma va ricordata la genialità dello sceneggiatore, Dalton Trumbo, che ebbe modo di sperimentare sulla propria pelle il clima persecutorio del maccartismo nei confronti di tutto ciò che fosse in odore di comunismo. Stessa sorte, del resto, toccò all'autore del romanzo da cui il film fu tratto, Howard Fast, un ebreo comunista. Il film fu ampiamente boicottato, «alla fine ebbe via libera solo perché piacque a Kennedy».

Il mito di Spartaco è viaggiato anche per mezzo di espedienti e fonti immaginarie. Ad esempio, «nell'Enciclopedia italiana - spiega Canfora - la voce "socialismo" del 1932 è scritta da Rodolfo Mondolfo, che da lì a qualche anno lascerà l'Italia per via delle leggi razziali. Mondolfo fa riferimento a un frammento delle storie di Sallustio in cui si narrerebbe della propaganda di Spartaco a favore della creazione di uno Stato nuovo in cui giuste leggi assicurassero un'esistenza felice per tutti. Questo frammento non esiste e non è mai esistito. Ma al di là della "gaffe" filologica c'è un'idea sottostante secondo la quale nel movimento di Spartaco non ci fosse soltanto una ribellione, un'esplosione di cieca violenza, ma anche il proposito di fondare uno Stato nuovo con giuste leggi per tutti. Mondolfo va al di là delle fonti per caricare Spartaco di connotazioni politiche che è difficile sostenere esistessero in lui».

Ma si potrebbero citare anche riletture nel campo opposto dei detrattori, come quella dello studioso di storia romana, Friedrich Münzer, anche lui autore di una voce enciclopedica su "Spartakus". «Münzer - siamo nel 1929 - avverte il bisogno di scrivere: "una triste fama ottenne il nome di Spartaco nella più recente storia tedesca, a partire da quando, nel 1916 Karl Liebknecht adottò il nome di lui come titolo della sua rivista". Il seguito della voce assume toni anche più aspri. Ma quel che sorprende è che a scrivere questa voce è un uomo come Münzer che di lì a non molto morirà ad Auschwitz. Quegli uomini come Liebknecht e Rosa Luxemburg che nel nome di Spartaco si erano lanciati nel 1919 in un'avventura rivoluzionaria, suicida senza dubbio, furono massacrati dalle stesse persone che avrebbero mandato a morte Münzer».

Sul versante del mito negativo si colloca anche il classicista italiano Giorgio Pasquali che nella seconda edizione di un suo libro, Socialisti tedeschi, uscita nel '20, se la prende con lo Spartakusbund di Liebknecht e Luxemburg. Usa «toni sprezzanti soprattutto nei confronti di quest'ultima, alla quale addebita uno stile inutilmente didattico nello spiegare nei suoi libri il pensiero economico di Marx». La schiera dei detrattori arriva fino al 1985, anno di pubblicazione di un libro di Wolfgang Schuller, Spartacus heute (Spartaco oggi) che «gronda sarcasmo e ironia ma, del resto, nella Germania occidentale si provava fastidio per gli studi sulla schiavitù antica condotti nell'altra Germania. In gara con essa si sosteneva che la schiavitù nel mondo romano fosse stata attenuata da un atteggiamento illuminato di
"humanitas"».

Ma chi fosse veramente Spartaco è un problema. Lo storico tedesco Mommsen - coetaneo di Marx e da questi citato diverse volte - era convinto che fosse un principe tracio. Ma le fonti superstiti sono davvero poche. «Purtroppo non abbiamo i libri di Tito Livio che, stando ai riassunti che ci sono arrivati, dovevano offrire una narrazione ampia di questa guerra. Non abbiamo neppure le storie di Sallustio». Uno dei pochi testi storiografici che dedichino attenzione all'argomento sono le pagine di Appiano sulle "Guerre civili", lo storico alessandrino citato da Marx, della fine del II secolo d.C.. E poi ci sono le poche pagine di Plutarco sulla vita di Crasso. E quelle di Floro, il cui libro di storia è una sorta di sunto della lezione del maestro Tito Livio. «Floro descrive le guerre servili siciliane della fine del II secolo avanti Cristo. Segue quind
i il "Bellum Spartacium", la guerra di Spartaco. Dice di non sapere come definire quella guerra perché - questa è la lettura che ricaviamo da un manoscritto importante conservato a Bamberga - gli schiavi combatterono come se fossero liberi, pretendendosi liberi. La questione fondamentale è che questi schiavi assunsero un atteggiamento da cittadini». Del resto, quando Spartaco, ormai padrone di quasi tutta l'Italia meridionale, dopo aver sconfitto i precedenti comandanti romani, si troverà di fronte Crasso, lo tratterà da pari a pari.

Non fu una guerra regolare, bensì «una guerra militarmente anomala, di agguato», tendente a evitare lo scontro in campo aperto. «Insomma, una guerra partigiana». Non dimentichiamo che dall'altra parte c'era la più potente macchina da guerra del mondo antico e un comandante come Crasso che non esitò a fare uso sistematico del terrore. Non solo nei confronti degli schiavi rivoltosi - nell'ultima battaglia ne morirono, pare, 60 mila, e seimila vennero fatti prigionieri e crocifissi lungo la via Appia - ma anche verso gli stessi soldati romani. Secondo una versione, riferita dallo stesso Appiano, Crasso fece decimare i suoi soldati per terrorizzarli e meglio incitarli allo scontro.

Tonino Bucci
Fonte: www.liberazione.it
17.10.2010


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