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Colossi ai ferri corti, monete alla guerra


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Le brutte notizie non vengono mai da sole, si dice. Il weekend appena chiuso ce ne regala in effetti due: l'economia reale dà vistosi segnali di rallentamento a livello globale e i governi mondiali non riescono a prendere decisioni serie su regolazione del sistema finanziario e tassi di cambio delle monete.

La prima si racchiude in pochi numeri: secondo l'Ocse, i primi dieci paesi industriali del mondo (Brasile, Canada, Cina, Stati uniti, Giappone, Francia, Germania, Russia, India e Italia) nel loro insieme stanno frenando la crescita. All'interno di questo gruppo, ovviamente, c'è chi sta bene (Cina, Brasile, India), ma comunque corre un po' di meno. E chi (come Italia, Canada, Francia) sta abbastanza male e ricomincia ad andare all'indietro.

L'«indicatore Clis in agosto per l'intera area ha fatto segnare un -0,1%. E' il quarto mese consecutivo che accade. Disaggregando, solo il Giappone ha registrato un numero positivo. Tutti gli altri sono andati un po' sotto. L'Italia è scesa dello 0,2%; precipita invece il Canada a -0,5. L'andamento tendenziale rispetto all'anno precedente resta ampiamente positivo; basta però ricordare che quello è stato il peggiore anno del dopoguerra...

Sul fronte finanziario le cose non vanno affatto meglio. Il recentissimo incontro del G7 e del Fondo monetario internazionale (Fmi) si sono chiusi nel peggiore dei modi possibile. Non solo non si è registrato alcun accordo, ma si è esacerbato il conflitto tra i due paesi-chiave. Usa e Cina sono in questo passaggio fieramente divisi da interessi difficilmente componibili. L'amministrazione Obama vorrebbe che l'Fmi concentrasse la sua attenzione sui tassi di cambio e l'accumulazione di riserve. Spera insomma che Pechino possa essere «convinta» a rivalutare molto velocemente la sua moneta (renmimbi), in modo da diminuire il suo export verso gli Usa e facilitare quello statunitense.

Al contrario, i cinesi vorrebbero che la politica monetaria della Federal Reserve fosse meno «espansiva». Gli Usa, in effetti, stanno allagando il mondo di dollari (il tasso di interesse è in pratica a zero); questo indebolisce i paesi emergenti - che hanno economie reali solide alle spalle - costringendoli a una rivalutazione coatta, che ne limita le esportazioni.
C'è anche chi suggerisce ai paesi emergenti di aumentare i salari interni, e quindi i consumi. Ma non è davvero facile consigliare alla Cina (o agli altri paesi emergenti) una politica del genere mentre, nei paesi sviluppati, si persegue quella esattamente opposta. Tra i più arrabbiati c'è il Brasile, che ha visto la propria moneta rivalutarsi quasi del 40%. E' ormai evidente, insomma, l'idea statunitense di «scaricare» buona parte dei propri problemi sugli altri, con la più classica delle «svalutazioni competitive», come insegnava l'italietta democristiana.

Questo livello di tensioni allarma tutti. A partire dal Fmi. Il direttore generale, Dominique Strauss-Kahn, ha invitato senza esito i vari paesi a non limitarsi a sottoscrivere «parole calorose», ma a fare «passi concreti». Sorprende, semmai, la cecità del vecchio «centro» capitalista. Mentre Usa e Ue ripongono tutte le loro speranze nel vecchio gioco «svalutativo», Cina e Brasile continuano a infrastrutturare i paesi poveri. Gliene verrà qualcosa di importante. Ai vecchi speculatori, no.

Tommaso De Berlanga
Fonte: www.ilmanifesto.it/
Link: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20101012/pagina/03/pezzo/288804/
12.10.2010


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