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Gli italiani in Afghanistan e le accuse del “Times”


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Qualunque sia l’esito della questione relativa al presunto pagamento di denaro da parte dell’Italia ai talebani, mi sembra che i recenti fatti abbiano dimostrato che: 1) la principale preoccupazione del governo è quella di minimizzare la perdita di vite dei suoi soldati e il governo cercherà di perseguire questo scopo a tutti i costi — incluso il pagamento di denaro— perché la perdita di vite umane avrà effetti negativi immediati sulla sua popolarità. 2) Quando truppe di vari Paesi si dispiegano, anche con l’obiettivo comune di combattere il terrorismo, ciascun Paese tende a scegliere la propria tattica sulla base di considerazioni nazionali.
Michi Hotta

Posso capire la poca simpatia di alcuni quotidiani d’oltremanica verso Berlusconi, quello che non capisco e non tollero è l’accusa infamante di avere pagato i talebani per lasciare tranquilli i nostri soldati in Afghanistan. Se ci sono prove inconfutabili perché il quotidiano inglese non le pubblica?
Silvano Stoppa

Michi Hotta e Silvano Stoppa ,

Cari lettori,
i sembra che lo «scan­dalo » denunciato dal MTimes si sia progressi­vamente rimpicciolito sino a scomparire dal radar dell’at­tenzione internazionale. Lo stesso quotidiano britannico ha ammesso che la prassi ita­liana, nella sostanza, corri­sponde a quella raccomandata dal generale americano Stan­ley Mc Chrystal nell’ambito di un programma che permette­rebbe di colpire più duramen­te i talebani con un maggior numero di soldati, ma anche di conquistare il consenso e la collaborazione delle tribù. Le stesse considerazioni sono sta­te fatte dal direttore di Newsweek International , Fare­ed Zacharia, in un articolo ap­parso prima della campagna del Times . È importante ricor­dare — ha scritto Zacharia — che il successo dell’operazione irachena del generale Petraeus non fu dovuto all’aumento del­le truppe ma all’opera di per­suasione sulle tribù sunnite, indotte a cambiare campo dal­­l’offerta di denaro, sicurezza e un «posto a tavola».
L’errore degli italiani, secon­do il Times , sarebbe stato, se mai, quello di avere agito auto­nomamente senza informare gli alleati. Ma credo che Michi Hotta abbia ragione quando osserva che nelle coalizioni multinazionali ogni Paese ten­de a scegliere la propria tattica sulla base delle proprie consi­derazioni. Molti giornali, nelle scorse settimane, hanno sotto­lineato che il comandante del­le truppe britanniche in Afgha­nistan (il contingente più im­portante dopo quello degli Sta­ti Uniti) ha spesso preferito chiedere istruzioni a Londra anziché eseguire quelle del co­mandante americano. Sull’Ita­lia tuttavia pesa, sempre secon­do il Times , il ricordo di una vicenda in cui italiani e ameri­cani vennero ai ferri corti. Ac­cadde in Somalia, all’inizio de­gli anni Novanta, quando i se­condi accusarono i primi di avere stretto patti con notabili locali e di avere addirittura al­lertato il più potente «signore della guerra» (Mohamed Ai­did) che le forze degli Stati Uni­ti stavano per arrestarlo. Il co­mandante delle forze italiane respinse l’accusa, ma è indub­biamente vero che i due con­tingenti avevano politiche di­verse: più aggressive quelle de­gli americani, più caute e con­cilianti quelle degli italiani. Mi sembrò che gli americani aves­sero ragione, ma quando deci­sero improvvisamente di an­darsene dopo un sanguinoso scontro con la guerriglia a Mo­gadiscio, dovetti riconoscere che gli italiani non avevano torto.

Sergio Romano
Fonte: http://www.corriere.it/romano/
23.10.2009


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