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Halevi - Zero soluzioni alla guerra dei cambi tra Usa e Cina


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Nessun accordo tra Cina ed Usa alla riunione del Fondo Monetario Internazionale questo weekend. Con la politica economica di Obama a pezzi, con l'euro che si sta nouvamente rivalutando, nonchè con il nuovo rialzo dello yen, il fallimento della riunione di Washington avrebbe dovuto sconvolgere le borse. Invece sta accadendo il contrario e la ragione è semplice. Mai banche ed affini sone state così forti sul piano politico economico e ciò permette alle borse di scommettere sul sicuro. Con la ripresa morta annegata nei tagli di bilancio e nel perdurante calo occupazionale e dei redditi delle famiglie, è ormai certo che da Washington sta per arrivare la QE2. Significa «quantitative easing 2». Si tratta di una seconda ondata di soldi da regalare alle banche ed alla finanza. È ovvio che tanto più la situazione peggiora per l'economia e l'occupazione tanto più i mercati vanno in visibilio per il previsto arrivo di nuovi denari.
Mentre gli incendiari già festeggiano in borsa, lo scontro sui tassi di cambio è espressione dello stato di scoordinamento dell' economia mondiale. Se si litiga sui tassi di cambio vuol dire che non si ha più nulla su cui dialogare. Nessuno può seriamente credere che basta rivalutare lo yuan cinese e lo yen nipponico per risolvere il problema degli squilibri strutturali a livello mondiale.

L'impossibilità da parte degli Usa a limitare la dipendenza dal deficit estero è a sua volta radicata nel sistema economico americano. È l'orma economica del capitalismo Usa che si è estesa avviluppando la Cina col sistema di outsourcing e di subcontracting (subappalto). Una rivalutazione anche del 30% dello yuan non cambierebbe questo stato di cose perchè, come ampiamente dimostrato dalla letteratura sulle value chains (catene di valorizzazione), le produzioni le cui fasi si sono estese sino alla Cina ed altrove non sono ritrasferibili negli Usa. Solo nel falso e mitico mondo immaginato proprio da economisti tipo Fondo Monetario vi è sostituibilità sistematica negli investimenti e nelle loro localizzazioni. Una forte rivalutazione dello yuan schiaccerebbe i profitti e gli investimenti delle produzioni esportate dalla Cina. Aziende tipo Walmart e perfino molte industrie militari statunitensi - da un'indaginedel Congresso emerge che esse hanno ampiamente subappaltato in Cina - verrebbero colpite. Di più non si può dire.

Dal canto suo Pechino non può assolutamente contemplare una forte rivalutazione dello yuan. Riprendo delle lucidissime osservazioni fattemi in proposito da Mario Seccareccia professore di economia all'università di Ottawa. La Cina sta subendo una forte pressione causata dalla grande emigrazione dalle campagne verso le città. È quindi obbligata a crescere contando sulle esportazioni perchè con una tale immigrazione i salari non possono aumentare più di tanto. Il fenomeno si chiama esercito industriale di riserva, solo che in Cina è endemico. Inoltre la borghesia cinese in espansione e integrata allo Stato non vuole una crescita trainata dai salari per motivi di controllo politico e sociale. A queste osservazioni aggiungerei il fatto che Pechino sta cambiando politica riguardo gli investimenti esteri che, per lungo tempo, dovranno andare a braccetto con le esportazioni. L'attivo di Pechino con l'estero deve finanziare gli investimenti esteri cinesi che puntano a controbilanciare gli investimenti dall'estero in Cina, tra l'altro fortemente controllati da Pechino. Germania e Giappone hanno fatto esattamente così. Da un lato Pechino è condannata ad esportare, dall'altro gli Usa hanno una struttura basata su catene di valorizzazione che terminano nel mercato nordamericano. Variazioni nei tassi di cambio non possono fare molto, a meno di non programmarle assieme ad una radicale ristrutturazione dell'economia Usa col consenso della Cina. Impossibile.

Joseph Halevi
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20101012/pagina/03/pezzo/288805/
12.10.2010


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