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Joseph E. Stiglitz - Le elezioni globali


Tao
 Tao
Illustrious Member
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LA STRAGRANDE maggioranza della popolazione mondiale non potrà votare alle imminenti elezioni presidenziali degli Stati Uniti, pur avendo una posta in gioco enorme.

Il numero dei non americani favorevoli alla rielezione di Barack Obama è schiacciante rispetto a quello di chi vorrebbe che a vincere fosse il suo sfidante Mitt Romney. E per ottimi motivi.

Dal punto di vista dell’economia, le politiche di Romney volte a creare una società meno equa e più divisa avrebbero effetti non direttamente percepibili all’estero. Ma in passato, nel bene come nel male, altri seguirono l’esempio dell’America in più occasioni. Le politiche restrittive proposte da Romney quasi certamente svigoriranno la già anemica crescita americana e qualora la crisi dell’euro si aggravasse potrebbero innescare un’altra recessione. A quel punto, con una domanda in ulteriore calo negli Stati Uniti, il resto del mondo avvertirebbe eccome le ripercussioni della presidenza repubblicana, e in modo molto diretto.

Ciò solleva la questione della globalizzazione, che implica da parte della comunità internazionale un’azione concertata su molteplici fronti. Peccato che ciò che è necessario fare al riguardo di commerci, finanza, cambiamento del clima e innumerevoli altre cose ancora non venga fatto. In parte, molti attribuiscono queste omissioni all’assenza di una vera leadership americana. Tuttavia, anche se Romney ricorresse alle smargiassate e a un’eloquenza a forti tinte, difficilmente altri leader internazionali ne ricalcherebbero i passi, in virtù del concetto (giusto, dal mio punto di vista) che così facendo egli porterebbe gli Usa – e loro – nella direzione sbagliata.

Con l’“eccezionalismo” americano si può darla a bere in patria, ma all’estero molto meno. In aggiunta, si è visto che il capitalismo di stampo statunitense non è né proficuo né stabile. A prescindere da ciò che risultava dai dati ufficiali sul Pil, tenuto conto che la maggior parte dei redditi americani è rimasta congelata per oltre quindici anni, era evidente che il modello economico statunitense non sarebbe stato vantaggioso per la maggior parte dei cittadini americani. In realtà, tale modello aveva fatto fiasco ancor prima che Bush lasciasse la sua carica.

Dal punto di vista dei valori – e in particolare i valori di Romney – le cose non vanno granché meglio. Ormai l’America ha la consapevolezza di essere tra i Paesi sviluppati che offrono le minori pari opportunità ai propri cittadini. E i drastici tagli di bilancio proposti da Romney per i ceti più poveri e la middle class rallenterebbero ancor più la mobilità sociale. Al contempo, però, Romney vorrebbe espandere l’apparato militare, investire più soldi in armi che non servono contro nemici che non esistono, e così facendo arricchirebbe i fornitori della Difesa, a discapito di investimenti pubblici.

Anche se il candidato non è Bush, Romney non ha preso realmente le distanze dalle scelte politiche della sua amministrazione. Si considerino, per esempio, i tre argomenti succitati, al centro dell’agenda globale: il cambiamento del clima, la regolamentazione del settore finanziario e gli scambi commerciali. Sul primo argomento Romney non si è nemmeno espresso, e il suo partito conta molti “negazionisti” del surriscaldamento del clima. Da questo punto di vista, di conseguenza, la comunità internazionale non può attendersi da Romney un’autentica leadership.

Per quanto concerne la regolamentazione del settore finanziario, anche se la recente crisi ha messo in luce l’assoluta necessità di leggi più rigide, in parte è stato impossibile raggiungere un accordo perché l’amministrazione Obama è troppo vicina al settore finanziario. Con Romney, invece, non si parlerebbe proprio di vicinanza: ricorrendo a una metafora, infatti, potremmo dire che Romney è il settore finanziario.

Uno dei temi finanziari sui quali esiste un’intesa globale è la necessità di far sparire i paradisi fiscali offshore, che esistono per lo più allo scopo di facilitare l’evasione o l’elusione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione. Visto che lo stesso irremovibile Romney non ha chiarito per quale motivo si serva delle banche alle Cayman, è inverosimile sperare di fare qualche passo avanti in questo ambito.

Per ciò che riguarda gli scambi commerciali, infine, Romney sta promettendo di dare il via a una guerra commerciale con la Cina e di dichiararla una manipolatrice di valuta il primo giorno del suo mandato. Il paradosso – che sfugge ancora a Romney – è che altri Paesi accusano di manipolazione valutaria gli stessi Stati Uniti. Dopo tutto, uno dei vantaggi più importanti della politica di “alleggerimento quantitativo” della Federal Reserve – forse l’unico strumento ad avere un effetto tangibile significativo sull’economia reale – nasce proprio dal deprezzamento del dollaro statunitense.

La comunità internazionale ha enormi interessi diretti nell’esito delle elezioni americane. Purtroppo, la maggior parte di coloro che ne subiranno le conseguenze – quasi tutto il mondo – non ha la possibilità di influire sul risultato.

Joseph E. Stiglitz
Fonte: www.repubblica.it
4.11.2012

Traduzione di Anna Bissanti © Project Syndicate, 2012


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