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Luis Seplveda: «Grillo, devi leggere Gramsci


helios
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Luis Sepúlveda: «Grillo, devi leggere Gramsci»
Il comunismo? Non ha funzionato. Il cambiamento? Inizia da noi stessi. Parla Sepúlveda, l'ultimo scrittore rivoluzionario.
INTERVISTA
di Gea Scancarello

Il primo pensiero mattutino dell’ultimo rivoluzionario ancora in circolazione va alle zanzare. «Come può un solo animale così piccolo rompere tanto le scatole?».
Il secondo è per il portacenere. «È fondamentale, ce ne vuole uno sul tavolo». Poi, mollemente, può attaccarsi al mini-sigaro come se si trattasse di baciarlo, una pausa di ossigeno prima del fiume di persone e di parole destinato a investirlo di lì a poco, come in molte altre giornate.
SCRITTORE PROLIFICO. Alle 10 del mattino di sabato 10 maggio, iPad sottobraccio, Luis Sepúlveda ha la faccia stanca di chi ha dormito poco e sa di dover passare le successive cinque ore a rispondere a domande sul futuro del mondo.
Ha 64 anni - 12 dei quali trascorsi in esilio e due e mezzo in carcere - e quindi ha imparato a resistere a cose molto peggiori. Aveva 24 anni quando organizzò la resistenza cilena dopo il golpe di Augusto Pinochet contro il presidente Salvador Allende, di cui era stato sostenitore e intimo, membro del Grupo de amigos personales, il cenacolo che ne proteggeva l’incolumità. E che nulla poté l’11 settembre 1973, quando i generali circondarono la Moneda cambiando la storia del Paese.
BATTAGLIE AMBIENTALI. Da allora l’impegno di Sepúlveda non è mai finito e le cause per cui lottare si sono moltiplicate. La passione civica si è declinata in una produzione rigogliosa, anche cinematografica e teatrale, che ne ha fatto uno degli scrittori più tradotti in Europa, con libri - come l’ultimo firmato a quattro mani con Carlo Petrini, Un’idea di felicità, Guanda - che mescolano il racconto e l’autobiografia, la favola e la storia.
Oggi le sue battaglie partono dall’ambiente, per la cui difesa ha vissuto mesi su una nave di Greenpeace. E attraversano la politica nel suo senso più alto, alla ricerca di segnali e di nuove forme di riflessione sul sistema.
«In Italia, per esempio, mi ero interessato molto a Grillo», racconta Sepúlveda in questa chiacchierata con Lettera43.it. «Ma penso che Grillo debba ancora leggere quello che Gramsci scriveva sull’indifferenza e sul perché la odiava».

Lo scrittore Luis Sepúlveda.
DOMANDA. «Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. […]. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare»: questo ha scritto Gramsci.
Risposta. Esatto.
D. Grillo è un indifferente? Lui prova a presentarsi come il primo dei cittadini.
R. Grillo dovrebbe leggere Gramsci: ha un atteggiamento di indifferenza nei confronti dei veri problemi della società italiana.
D. Che sono?
R. Prima di tutto la grande crisi morale della società, frutto dei due decenni di Berlusconi.
D. E poi?
R. E poi manca una discussione democratica, vera e aperta, per decidere qual è il modello politico, sociale e di sviluppo che si vuole seguire, in Italia e in Europa.
D. Torniamo a Grillo. Molti pensano che la sua vera indifferenza si manifesti nei confronti del pensiero altrui e lo accusano di autoritarismo.
R. Io non vedo in lui autoritarismo, ma mi sembra - questo sì - un po' populista. Ed è vero che per i populisti l'unica maniera di governare è l'autoritarismo.
D. Dunque è autoritario.
R. A suo modo.
D. E secondo lei c’è più libertà a sinistra?
R. Quale sinistra?
D. Non vede sinistra in Italia?
R. Sì, certo, esiste. La vedo nelle strade, quando scendo a parlare con la gente, con gli insegnanti, con i lavoratori. Ma sa qual è il punto? Queste persone hanno un modo di pensare diverso da quello dell'élite politica.
D. Da noi l’élite politica si chiama Casta.
R. Io penso che la sinistra italiana, quasi senza eccezioni, sia finita in questo strano spazio che si chiama 'classe politica'. Un paradosso in termini: la gente che fa politica non può diventare una classe.
D. Però succede in tutto il mondo, non solo in Italia.
R. Sì, ma in Italia e in Europa più che in altri posti produce effetti disastrosi. La sinistra ha ancora senso solo se fa una politica veramente diversa.
D. Quale?
R. Non si può darne una versione unica e generale. Conosco un sacco di politici anonimi, magari consiglieri in comuni minuscoli, che fanno una politica di vera sinistra che non c'entra nulla con l'idea generale del partito.
D. Siamo di nuovo allo slogan “Un’altra sinistra è possibile”?
R. Credo che l'unica possibilità di sopravvivenza per la sinistra sia svilupparsi in un'idea non egemonica, fatta di molteplicità: non un solo blocco, ma tanti aggregati intorno a idee diverse.
D. La frammentazione e la scissione sono sempre state le maledizioni della sinistra italiana. Anche l’ultimo esperimento, la lista Tsipras, ha iniziato a litigare prima ancora delle candidature.
R. La politica è l'arte del possibile. Il punto è che prima si devono discutere le cose e i programmi, poi ci si mette insieme. Il dramma dell'Italia è che non siete stati in grado di farlo: non si va prima al potere per poi provare a decidere cosa fare.
«Dobbiamo scegliere tra essere cittadini ed essere consumatori»

D. Allora per che cosa si deve lottare oggi?
R. Per tutto! Tutto! Siamo a rischio di perdere tutto: la libertà civile, la libertà di espressione, il diritto a essere informati, il diritto di decidere come deve essere la nostra alimentazione... Oggi non c’è un solo fronte aperto, ce ne sono mille.
D. Ma come si combatte quando i fronti sono tanti? Nel ‘900 ci si aggrappava alle ideologie, ora?
R. Dal ‘900 sono cambiate molte cose, ma non è cambiato il vecchio desiderio umano di avere una vita piena e felice. Credo che ognuno, individualmente o collettivamente, oggi trovi il proprio modo di confrontarsi con il mondo e con quello che non gli va bene.
D. Le ideologie sono dunque davvero finite?
R. Dipende da cosa si intende: io credo che oggi la società sia ideologizzata al 100%. C’è un’ideologia che ha vinto ed è il neoliberismo economico. Non si tratta soltanto di una teoria economica ma di un'ideologia politica fortissima: per questo abbiamo bisogno di espressioni alternative.
D. Per esempio?
R. Si devono ancora pensare, ma al momento ne vedo una: dobbiamo iniziare a chiederci se vogliamo diventare cittadini o consumatori.
D. Siamo già diventati consumatori.
R. Quasi tutti. Quasi. Quasi tutti nel Primo mondo: in Africa, in Asia, in grandi regioni dell'America latina la gente non ha nessuna idea del consumo. E non solo: anche qui, nell’Europa del Sud, le persone che raccolgono da mangiare nella spazzatura non sono certo consumatori.
D. Ma lo sono stati, prima che la crisi economica li espellesse dal sistema. Raccogliere la spazzatura per mangiare difficilmente è una scelta ideologica.
R. L'idea che la crisi possa espellerti dal consumo è perversa: il sistema denigra la tua condizione umana. Sa che cosa è oggi resistenza?
D. Cosa?
R. Un'attitudine di vita, è una forma di concepire l'esistenza e di conservare e preservare i diritti, incluso quello al lavoro.
D. Come si fa a difendere il diritto al lavoro quando il lavoro non c'è?
R. Resta il diritto di cercarlo, o di fare pressione sulla dirigenza del Paese perché metta in campo politiche che lo creino.
D. Tra le rivendicazioni e la realtà c'è di mezzo l'economia che non cresce.
R. Questo è un concetto astratto. Come si misura oggi la crescita dell'economia? Chi la determina? Le banche, le borse, i consessi internazionali?
D. Indicatori universalmente riconosciuti e accettati.
R. La vera misura della crescita dell'economia è la possibilità della gente di accedere a buoni posti di lavoro. Un'economia non cresce se la popolazione non è pienamente occupat
a.
D. E la popolazione non può essere occupata se l’economia non cresce.
R. No, il discorso è mal posto. In Paesi con un tasso di disoccupazione al 10, al 20 o addirittura al 27% come la Spagna non c'è alcuna possibilità di sviluppo dell'economia nel suo complesso. Magari crescono alcuni industriali, quelli che hanno spostato la produzione in Cina: cresce la loro personale economia ed entra a far parte degli indicatori di ricchezza, ma non cresce quella del Paese nella totalità.
D. Qualcuno sostiene che il problema sia a monte: bisognerebbe smetterla di puntare sulla crescita e pensare a un nuovo sistema.
R. Il compito delle forze politiche è trovare il nuovo sistema: quello attuale è fallito, crollato. Per quanto tempo si permetterà la sua sopravvivenza ai danni del cittadino?
D. Rivoluzionare un sistema economico non è una questione unicamente politica...
R. Si potrà fare non appena si sarà presa consapevolezza di quanto l’attuale sistema fa male. C'è bisogno di spiegare alla collettività perché non funziona e quali sono le alternative possibili. Ma questo è il compito di una discussione collettiva enorme.
D. La rivoluzione del terzo millennio?
R. Si tratta di una rivoluzione sì, ma di una rivoluzione dell'immaginario. Ognuno deve chiedersi: qual è il mio ruolo nella società e in questo mondo?
D. Quanto tempo ci vorrà perché succeda?
R. Molto: credo almeno altre due generazioni.
D. Che libro consiglierebbe per avviare la riflessione?
R. Gramsci: bisogna leggere i Quaderni di Gramsci.
«Il comunismo e la libertà non sono compatibili»

D. Il comunismo però ha fallito.
R. Il punto è che l'ideologia non è una cosa concreta. Quando oggi rileggo Marx sento che ha ancora ragione, penso che il capitalismo sia intrinsecamente perverso perché si sostenta nell'accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi. Marx era un economista e un filosofo, non aveva una scienza esatta: lui formulava teorie che andavano messe in pratica.
D. Dove sono state messe in pratica non hanno funzionato.
R. In Cina non credo che si sia sviluppata alcuna forma di comunismo come lo sognavano, chessò, Marx o Engels. La Cina è passata da una società feudale a un'altra forma di feudalesimo nelle mani non più dei mandarini ma dei dirigenti del Partito comunista.
D. Si tratta di un regime?
R. Sì, un regime che sta praticando una forma perversa di neocolonialismo con conseguenze devastanti. Pensiamo alla Nigeria: in questi giorni siamo tutti scandalizzati per queste ragazze sequestrate dai fondamentalisti. Nessuno dice però che il 30% del territorio della Nigeria è occupato dai cinesi in un’autentica forma di colonializzazione: portano i loro capitali e anche la manodopera, sottraendo al Paese qualsiasi possibilità di sviluppo. In Nigeria il petrolio e le risorse agricole vengono sottratte alla popolazione in cambio di niente.
D. Alla faccia del comunismo...
R. Non solo. La situazione crea contraddizioni fortissime e quando una società deve confrontarsi con tali contraddizioni arrivano sempre le soluzioni facili: il fondamentalismo e l'integralismo. Ogni soluzione estrema è prodotta dalla mancanza di un'analisi e dalla ricerca di soluzioni facili.
D. Torniamo al comunismo. Anche in Russia non ha funzionato.
R. In Russia è finita male perché avevano dimenticato la cosa più importante: il fattore umano. L'essere umano è contraddittorio e il suo destino finale è la libertà, questo è chiaro.
D. Insomma, sta dicendo che il comunismo e la libertà non sono compatibili?
R. Non si conosce nessuna esperienza in cui il comunismo sia stato compatibile con la libertà, come noi la sogniamo. Ha sempre limitato la libertà, con una giustificazione o con l'altra.
D. Meglio il capitalismo allora.
R. Il capitalismo limita la libertà in un'altra maniera, una maniera più eufemistica e meno evidente.
D. Il comunismo non consente la libertà e il capitalismo la limita. Quindi?
R. Io credo che negli Anni 70 si stesse creando un socialismo con un volto umano: parlo delle esperienze di Allende, naturalmente, ma anche di Olof Palme in Svezia e di Willy Brandt in Germania. Il loro è stato un percorso verso un modo di conciliare il cammino della libertà e il rispetto del fattore umano con uno sviluppo diverso della società.
D. Cosa resta di quell’insegnamento?
R. Il seme. Anche oggi si sviluppano costantemente tentativi di cambiamento. Come ha detto Galileo: «Eppur si muove», la società si muove sempre.
«Non credo nel cambiamento globale: il mondo si cambia a partire dalle singolarità»

D. In Sud America, e forse nel mondo intero, il socialismo nell’ultimo ventennio è stato Chavez.
R. Io non penso che Chavez sia stato un esempio socialista: è stato piuttosto un esempio populista. Quando un Paese vive con una mancanza di vera espressione democratica, quando diventa subito ricco come è successo al Venezuela col petrolio negli Anni 70 e quando questa ricchezza serve soltanto a creare una corruzione inimmaginabile, la gente certamente accetta il populismo come espressione politica.
D. Definire Chavez populista non è ben visto in Sud America.
R. Non sono contro il chavismo: rispetto il diritto dei venezuelani di decidere democraticamente il loro futuro. Chavez è stato eletto a stragrande maggioranza in più elezioni, così come il suo successore Maduro: questo è innegabile.
D. Eppure il primo ha lasciato un Paese molto povero nonostante le enormi ricchezze e il suo successore ne ha perso il controllo.
R. Non è vero che il Paese è poverissimo, non bisogna farsi confondere. L'opposizione, che è un'opposizione golpista perché vorrebbe violentare la decisione elettorale della maggioranza dei venezuelani, ha creato un grande scandalo mediatico: i giornali sono pieni del fatto che manca la carta igienica, ma un Paese non vive di questo.
D. Di pane sì però: e le code per il pane esistono.
R. Nessuno può dire che in Venezuela oggi la gente ha fame, glielo garantisco: il Paese è ricco. Certamente è una nazione piena di problemi, con un’enorme carenza di cultura. E bisogna vedere come si concluderà quest'ondata di populismo, perché il populismo finisce sempre male. Basta guardare alla storia: l'espressione più perversa del populismo è stata il fascismo e sappiamo come è andata.
D. L’ultimo idolo del Sud America è Antonio Mujica, il 'presidente povero' uruguayano.
R. Mi piace molto Mujica perché è un uomo coerente, con un modo di governare che funziona per un Paese piccolo e dotato di una profonda cultura politica. Ma il suo esempio magari non va bene per la Bolivia o il Paraguay: oggi non si può più parlare di modelli o prototipi che funzionano per tutti.
D. Perché no? Non siamo sempre alla ricerca di formule da replicare?
R. Il mondo si cambia a partire dalle particolarità delle singole realtà. Non credo in un cambiamento globale: i posti sono troppo diversi. Si può dare una visione generale della società dei consumi, ma non della società che preferisce un’alternativa, perché quest’alternativa si sviluppa in luoghi e modi diversi.
D. Avranno qualcosa in comune, però.
R. Certo: il modello imperante cerca di convincerci che c'è una sola possibilità di vita, questa. Ma le esperienze in molti altri posti dimostrano che si può vivere diversamente, in modo più umano e ragionato.
Lunedì, 12 Maggio 2014

http://www.lettera43.it/cultura/luis-seplveda-grillo-devi-leggere-gramsci_43675129212.htm


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