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Rabbia, conflitto, radicalita',violenza, non sono sinonimi

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Articolo-appello
RABBIA, CONFLITTO, RADICALITA' E VIOLENZA NON SONO SINONIMI

La grande manifestazione del 14 dicembre a Roma è quasi scomparsa, nascosta dal fumo delle macchine bruciate. I media hanno enfatizzato gli scontri rimuovendo la ricchezza delle storie e delle proposte del movimento. La discussione di merito sul futuro dell’Università, sulla precarizzazione del lavoro e il valore sociale della conoscenza è stata posta ai margini. Il governo risponde con l’irresponsabilità della provocazione della pericolosa e anticostituzionale intenzione di repressione preventiva.

Ma era prevedibile.
Si può vedere lucidamente che chi scelto lo scontro ha regalato al Governo lo spunto per tentare di liquidare la mobilitazione e ha fatto arretrare l’opposizione alla controriforma dell’università.

La scelta dello scontro violento è politicamente sbagliata e controproducente, senza bisogno di fare ricorso alla categoria dei provocatori, o mettersi a caccia di “infiltrati”.

Chi ha fatto questa scelta si è sovrapposto al resto delle persone che manifestavano in forme diverse. La scelta dello scontro in piazza è innanzitutto una scelta di potere per imporre le proprie forme e la propria egemonia, per conquistare visibilità e rappresentanza in un mondo in cui esiste solo chi sta in televisione.

Molti di noi sono stati nelle mobilitazioni, contro la politica del governo e per la difesa del valore pubblico della conoscenza sulla scorta di una pratica e una memoria che ci impegna a trasformare la rabbia e l’ indignazione per la sordità del governo in nuove parole, in politica, nella costruzione collettiva di un’idea alternativa di cultura, di vita, di società

Non siamo ne’ perbenisti ne’ timidi, non poniamo un problema di “buona educazione” ma facciamo a tutti e tutte una domanda sulla qualità della politica che costruiamo insieme.

La scelta delle forme di lotta, dei linguaggi, delle forme di organizzazione e di conflitto è infatti fino in fondo una questione politica. Si tratta di scelte che incidono sulla capacità di allargare la mobilitazione, di coinvolgere altri e altre. Su questo vogliamo agire un conflitto limpido contro l’ipocrisia di chi agita il feticcio dell’unità del Movimento come un anatema per impedire ogni alternativa: vogliamo affermare un’idea di movimento plurale in cui la critica e il confronto siano liberi senza la retorica del tradimento, della fedeltà, dello schieramento.

Sentiamo anche noi l’indignazione per l’arroganza del governo, per lo squallore della compravendita parlamentare. Non vogliamo fermarci a guardare paternalisticamente la “rabbia dei giovani” come fenomeno sociologico, vogliamo metterci in relazione con i ragazzi e le ragazze che erano in piazza, riconoscerli come nostri interlocutori e affermare che la responsabilità di trasformare quella rabbia in politica è anche nelle loro mani. Il governo in questi mesi ha irresponsabilmente risposto ad ogni mobilitazione sociale con la violenza, e l’arroganza: dagli studenti ai terremotati dell’Aquila ai migranti. Anche in questi giorni la repressione indiscriminata e gli abusi sugli arrestati hanno colpito in larga parte persone estranee alla strategia dello scontro fisico.

L’esito del dibattito parlamentare, la fiducia comprata da un leader arrogante e disperato non mostra però l’incrollabile impermeabilità di un potere contro cui scagliare la propria rabbia impotente ma al contrario la fragilità di un governo che è ormai al declino. Applaudire un blindato che brucia mentre Berlusconi umilia il Parlamento ci sembra un esito frustrato e impotente della propria legittima indignazione.

Ora serve intelligenza per far valere le ragioni di un paese migliore, per esprimere la propria intelligenza e libertà.

Un movimento che vuole creare spazi liberati, produrre comunicazione non può ridursi a sbattere la testa, magari intruppati a testuggine e con i caschi in testa contro un blindato che sbarra una strada che qualcuno ha deciso di indicare come zona rossa.

I metodi di azione non violenta possono esprimere una radicalità assai maggiore. E’ successo: è possibile inventare forme di lotta efficaci e coerenti con la cultura e le ragioni di chi vuole opporsi alla logica del potere, del dominio, dell’ egoismo. Il movimento contro la legge Gelmini, la FIOM, gli studenti, i precari, i ricercatori hanno espresso questa intelligenza e questa alternativa possibile. Chi ha occupato i tetti, chi ha manifestato su tutti i monumenti, chi era alla manifestazione indetta dai metalmeccanici o ha organizzato le lezioni alternative in piazza non è meno radicale o ha meno rabbia di chi getta bottiglie di birra contro la polizia.

Per noi la radicalità di un movimento si misura sulla sua capacità critica, sulla sua proposta innovativa rispetto all’ ordine delle cose esistenti, sulla sua abilità di smascherare linguaggi e istituzioni di potere, gerarchie invisibili, forme di dominio diffuse, sulla sua capacità di svelare le forme di complicità con tutto quello che ci sembra naturale, la gerarchia tra uomini e donne innanzitutto, la logica dell’ appartenenza e della fedeltà, il conformismo

La violenza non è solo politicamente inutile, è culturalmente subalterna: non ci emozioniamo per il gesto atletico dell’ eroico lancio della bottiglia contro i blindati, non ci attrae la sfida scudi contro scudi: gli studenti hanno scelto di “difendersi” dietro titoli dei libri che hanno fatto il meglio della nostra cultura.

Non ci piacciono i corpi militari, i corpi collettivi in cui perdere la propria singolarità e ci preoccupa la seduzione che esercita - soprattutto su molti maschi - l'emozione di sentirsi parte di un "corpo unico" che si scontra col “nemico”. Rifiutiamo qualunque pratica che chieda alle persone di omologare la propria irriducibile singolarità.

Un movimento del mondo della conoscenza non può non vedere che il conflitto si fa innanzitutto su questo terreno. Vogliamo liberarci da una cultura militarista, dal virilismo, dalla logica dell’intruppamento che rimuove la libertà e la differenza di ognuno e ognuna.

Su questa riflessione proponiamo di costruire occasioni di confronto e riflessione in varie città d’Italia nei prossimi giorni.

Stefano Ciccone
Andrea Baglioni
Alberto Leiss
Lea Melandri
Silvia Mandillo
Bia Sarasini
Marco Rizzoni

Questo articolo-appello l' ho letto sul settimanale Gli Altri, e' stato pubblicato anche su diversi siti. L' ultimo mese del 2010 ha visto le proteste degli studenti, la vicenda Fiat-Fiom che riguarda tutto il mondo del lavoro, nessuno escluso, l' episodio abbastanza inquietante del blocco dei pastori sardi a Civitavecchia ( stavano scendendo da una nave e dirigendosi a Roma, liberta' che, per ora, almeno noi italiani abbiamo nel territorio italiano).
E' scontato che nei prossimi mesi ci saranno episodi e vertenze diffuse e il rapporto tra conflitto - violenza - nonviolenza - strumentalizzazione della violenza per bloccare i conflitti sara' centrale. Ultimo esempio: la critica di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale Fiom, ai sindacati che hanno firmato l' accordo con la Fiat e' stata da questi definita, cito a memoria, "un incitamento alla violenza".
Una riflessione collettiva su questo tema e' quindi necessaria e utile, e in Italia ci sono molti ambienti, anche se spesso di piccole dimensioni, che sono per una via intermedia tra la rivolta violenta e la passivita', la delega alla sinistra ora in Parlamento o agli apparati sindacali confederali (cosi' erano definiti finora CGIL-CISL-UIL).

Un bell'articolo sicuramente. Tratta gli argomenti caldi dell'ultimo mese dell'anno appena passato. Io ho partecipato a tutte le manifestazioni (3 le più importanti, ndt) a Roma degli studenti essendo anch'io studente universitario.
Un problema che mi sono posto mentre sfilavo per le vie della capitale era, ora che si fa? Per come la vedo io manifestare è un diritto, siamo tutti d'accordo, ma senza proporre un'alternativa valida è un po' come criticare senza avanzare rivendicazioni, alzare un'asta senza bandiera insomma.
Io, come tanti altri studenti, sono stato contento di vedere alcuni miei compagni (è proprio il caso di dirlo, almeno nel linguaggio studentesco ^^) raggiungere finalmente un grande pubblico partecipando, prima ad Annozero, e poi essendo accolti direttamente dal Presidente della Repubblica Napolitano.
Però devo ammettere una cosa, noi giovani abbiamo alzato per un attimo la testa, ci siamo resi conto del nostro potenziale e di quello che potrebbe essere la contestazione giovanile se portata avanti con passione, ma non abbiamo centrato l'obiettivo più importante quello, cioè, della presentazione di un comune pensiero politico e di un programma riformista da cui partire.
In parole povere, abbiamo tutti gli strumenti per costruire una palazzina nuova e resistente ma nessun progetto su carta per farla.
Ecco questo mi è dispiaciuto, sia perchè sono dalla parte di chi pensa ci sia VERAMENTE bisogno di una ventata d'aria nuova (e pulita) nella nostra politica, e con questo non voglio assolutamente dire "viva Matteo Renzi" (lungi da me ciò), sia perchè per lottare insieme, uniti e diversi, abbiamo bisogno di un fine comune altrimenti la lotta, la rabbia e il conflitto sono solamente atti che vengono criminalizzati e demistificati dal mainstream giornalistico e politico.

A vostra diposizione per un confronto, sempre ben accetto,

Alessio

Mi fa piacere che questo appello appena girato su CDC abbia avuto gia' una bella risposta da chi e' coinvolto direttamente nella vertenza scuola.
Spero che il dibattito sul rapporto conflitti-vertenze-violenza-nonviolenza-aviolenza vada avanti; per il momento e' iniziato in piccole nicchie che sarebbe utile comunicassero.
Per il momento innanzi tutto vorrei spiegare perche' ho scritto violenza-nonviolenza-aviolenza.
In un dibattito sulla nonviolenza uno studioso-militante ha scritto "nonviolenza vuol dire lottare con amore "(anche verso l' avversario);questo e' senza dubbio il senso delle lotte gandhiane, qualcosa di piu' quindi dell' assenza di violenza diretta (cioe' contro persone o cose) che ho indicato con il termine "aviolenza". Aviolenza non e' un mio neologismo,l' ho trovato in interventi di altri esponenti della (loro si definiscono amici della)nonviolenza (io mi definisco un simpatizzante della n.v.).
La nonviolenza per esempio escluderebbe anche la violenza simbolica e verbale verso l' avversario e la sua derisione. Non spero tanto dagli studenti, precari, operai che saranno impegnati nelle prossime vertenze ma gia' l' assenza di violenza diretta (cioe' l' aviolenza) sarebbe un enorme successo.
Detto questo sui mezzi e' necessario anche individuare bene i fini delle vertenze, la resistenza e l' opposizione a provvedimenti ingiusti e dannosi e' giusta, utile e necessaria ma occorrono anche obiettivi comuni adeguati e questo vale per tutte le vertenze, dall' istruzione al lavoro ecc. ecc.
Avviare un dibattito vasto su tutto questo sarebbe utilissimo perche' non bisogna essere profeti per prevedere nelle prossime settimane e mesi altri episodi e conflitti che faranno discutere ancora del rapporto tra conflittualita' e nonviolenza/aviolenza/violenza e chi dissente sara' tacciato sicuramente di favorire quest' ultima.

Io sono d'accordo con tutto ciò che tu scrivi e mi sembra ragioniamo sulla stessa lunghezza d'onda.
Una cosa sola però. Quando la non violenza gandhiana veniva promossa e pubblicizzata in India per raggiungere un obiettivo, un giusto finale.
In Italia, invece, la lotta sta assumendo connotati di frustrazione e di rabbia nei confronti di un mondo, quello politico, incapace di intendere le masse e le sue problematiche, senza però avanzare programmi nuovi e collettivi. Il fatto che uno utilizzi come mezzo democratico, pacifico e non violento la figura della manifestazione è giusto, che però si dia come unico fine quello di "Tutti a Montecitorio", come si diceva nella manifestazione del 14 dicembre, non mi sembra costruttivo ma distruttivo. La costruzione di un modello politico non deve essere approvato o condannato solo tramite il voto favorevole o contrario oppure scendendo in piazza con la propria bandiera al seguito. Bisogna discutere insieme di quello che è possibile fare e di quello di cui c'è bisogno che sia fatto.
Secondo il mio modestissimo parere questi nuclei di protesta di cui te parli dovrebbero convivere più a stretto contatto l'uno con l'altro e proporre un'agenda sintentica ma comune a tutti.
Ad esempio, mi viene in mente l'esempio di "Uniti e Diversi", associazione nata dallo spunto di Giulietto Chiesa, in cui ognuno ha possibilità di esprimersi e dire la sua al riguardo di TEMI e ARGOMENTI di tutti i generi. Dobbiamo fare così, nell'ombra dei grandi partiti piglia-tutto, dobbiamo discutere noi privati in maniera autonoma.

In attesa di risposta, =)

"...Non ci piacciono i corpi militari, i corpi collettivi in cui perdere la propria singolarità e ci preoccupa la seduzione che esercita - soprattutto su molti maschi - l'emozione di sentirsi parte di un "corpo unico" che si scontra col “nemico”. Rifiutiamo qualunque pratica che chieda alle persone di omologare la propria irriducibile singolarità.

Un movimento del mondo della conoscenza non può non vedere che il conflitto si fa innanzitutto su questo terreno. Vogliamo liberarci da una cultura militarista, dal virilismo, dalla logica dell’intruppamento che rimuove la libertà e la differenza di ognuno e ognuna..."

Questo stralcio è la conferma empirica che tutti questi movimernti si trasformeranno in fuffa. Mi raccomando, chiedete anche il permesso prima di entrare, e se sporcate per terra portatevi una scopetta, che così Napolitano è contento.
Il passaggio riportato rappresenta emblematicamente tutta la nullità, la mollezza, la neutralizzazione che la lotta civile ha subito in questi decenni di narcotizzazione televisiva e consumistica, nonche la deleteria svirilizzazione portata dall'infiltrazione (illegittima) delle fanfaluche femministe attuali (una volta il femminismo aveva almeno un senso). Il tutto abbondantemente condito con l'immancabile salsa gandhiana, che non manca mai: infatti, secondo la normalissima reazione fisiologica all'iper-somministrazione, ne sono diventato intollerante. Che i moti degli ultimi periodi non potessero raggiungere nessun risultato, già lo sapevo: i sistemi di potere attuali, la loro legittimazione mediatica (mai così pervasiva nella storia della civiltà umana) e la conseguente efficacia sul controllo (economico, cognitivo, morale) delle masse sicuramente non si lascerà intimidere da 4 (fossero anche 400.000) studenti che protestano, ma leggere che in un documento simil fondativo di un GRUPPO santo iddio, di un gruppo di persone che dovrebbero fondare la loro LOTTA (non si parla di signorine qui miei cari, altro che "no al virilismo") su finalità comuni, su interessi comuni e soprattutto sulla disponibilità a condividere, venga invece dato risalto, come fondamento, mi par di capire, "... alla propria irriducibile singolarità...", mi fa proprio incazzare: perchè sentirsi un "corpo unico" fa brutto, e poi il "nemico", santamariabenedetta, fa paura, troppo maschilista, per carità.
In conclusione, vedere come il dogma individualista sia riuscito ad entrare anche nella fondazione di un movimento di lotta per una causa comune mi ha lasciato basito.

P.S.: ho finito l'università due anni fa. Tanto per non sembrare un vecchio gerarca che spara contro le nuove generazioni.

Quindi, secondo te, l'unica alternativa a tutto questo pacifismo individualista propugnato in questo topic quale sarebbe?

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