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Schematica Cognitiva: Sensorialità


GioCo
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
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Come promesso mi riallaccio all'articolo che entrava nel vivo della Schematica e che prometteva in conclusione questo approfondimento, ritardato a causa di un altro approfondimento anticipato centrato invece sull'emozione. Ricordo al lettore che l'intento di questi articoli è di trovare strumenti cognitivi anche raffinati che siano fertili per destabilizzare punti di vista ricorrenti, sperimentandone altri, magari più adatti ai tempi. L'intervento ha quindi una natura prettamente educativa nelle premesse. Mi scuso in anticipo per eventuali errori di forma e per la modestia del contenuto rispetto a un fine così ambizioso.

Nel fare esperienza possiamo genericamente individuare tre "vissuti": sensoriale, cognitivo e allucinatorio. Il primo e il secondo ci appartengono totalmente il terzo è una specie di zona franca dove i limiti sensoriali incontrano quelli immaginari e questo rende la zona un confine che può essere invaso da un ente separato da noi, come un altra volontà o l'ambiente, per alterare le dimensioni significative necessarie a intepretare la realtà che ci circonda. Un esempio di limite sensoriale è la capacità dell'occhio di catturare il fotogramma con una velocità massima di c.ca un venticinquesimo di secondo. Questo significa che un prestigiatore può allenare le mani per muovere piccoli oggetti più velocemente di quanto riusciamo a percerpire con la vista, dando così la sensazione che l'oggetto "scompaia" anche se non è scomparso proprio nulla. Un esempio di limite cognitivo è la violenza gratuita e in particolare su soggetti della nostra stessa specie che possiamo considerare inermi al pari di anziani, disabili o bambini. Sia il limite sensoriale che quello cognitivo hanno delle tolleranze variabili, sia tra soggetti differenti che nel singolo soggetto, sia nel tempo che a casua dell'esercizio: un prestigiatore dovrà riuscire ad affinare i suoi sensi per compensare i suoi stessi limiti fisici se vuole gestire i suoi spettacoli adeguatamente, mentre un militare dovrà per forza rivedere il suo concetto di "inerme" in zona di guerra. Tuttavia, anche considerando la variabilità di queste tolleranze capita ugualmente abbastanza spesso di vivere l'esperienza nella "zona franca", tanto più nella nostra epoca così particolarmente ricca di stimoli che sono esplicitamente diretti a stressare i nostri limiti.

Solo per citare alcuni esempi: le TV moderne sono ormai quasi tutte funzionanti sopra i 50 Hz, cioè sopra il doppio del massimo percepibile dall'occhio umano. Questo restituisce all'immagine una particolare definizione "innaturale", forzando la dissociazione con l'esperienza reale; la mente reagisce a questo stress sensoriale attribuendo all'immagine video "più solidità": dato che questa caratteristica va in conflitto con il significato di solidità fisica, "più solido" non può che diventare "più vero". In questo modo la TV finisce per rinforzare il vissuto allucinatorio aumentanto lo stress sensoriale. L'apparecchio televisivo è infatti anche una fonte di luce, quando l'esperienza delle immagini in movimento per l'occhio è nella realtà praticamente sempre meno sollecitata in quanto di "luce riflessa". Al cinema la luce è riflessa, tuttavia rimane un problema: il buio della sala. Il contrasto tra la luce maggiore proveniente dallo schermo e la luce minore del luogo fisico dove è immerso il nostro corpo ha ricadute simili, in particolare provoca leggeri stati ipnotici. Se volessimo poi cercare un esperienza simile al cinema (buio-luce) per noi quella più prossima è il sogno quando nel buio prendiamo sonno e il corpo si predispone così per l'attività onirica. Tuttavia quella attività è intermittente, si riproduce in intervalli brevi di pochi minuti, seguiti sempre da lunghe pause.

Ovviamente non basta il contrasto di luce da solo, l'immersione "allucinatoria" forzata e prolungata è accompagnata dall'intensa narrazione simbolica e quindi metaforica e ad effetti ideomotori dovuti all'immedesimazione simili a quelli studiati da Chevreul con il suo famoso pendolo che dissociano la consistenza tra volontà soggettiva ed esperienza sensoriale (cioè la nostra volontà da quello che accade); tutte queste pressioni sui nostri processi cognitivi, portano oltre il limite la possibilità di legare le cause agli effetti; questo è possibile perché il nostro processo decisionale non è centrallizzato ma simile a quello di un collettivo organizato: ogni volta e per ogni cosa che accade (anche la più scontata) il cervello non ha nessuna certezza di cosa sia accaduto, per ciò usa dei principi (organizzati in schemi liberi) per stabilire quel legame, ad esempio la volontà di muovere il nostro braccio è collegata al suo movimento se vediamo il braccio muoversi "dopo", il che sottointende che dobbiamo prima renderci conto di aver desiderato quel movimento: se il braccio si muove prima che ci accorgiamo di averlo desiderato o vediamo muoversi "qualcos'altro" dopo averlo desiderato (come una mano robotica in un laboratorio o una virtuale in un videogame) il risultato dell'associazione tra causa ed effetto si libera e noi possiamo convincerci di qualunque cosa l'allucinazione (cioè l'associazione cognitiva libera tra la volontà di cui siamo coscienti e l'accadimento) suggerisce.

Naturalmente il processo di apprendimento, cioè educativo, proprio dello spazio di esperienza allucinatoria è essenziale per la crescita individuale. Facciamo un paio di esempi pratici per capire l'importanza: il bambino che attraversa la strada senza guardare getta il genitore nel panico anche se non dovesse presentarsi concretamente alcun pericolo immediato. Questo perché il genitore si prefigura quello che potrebbe accadere in caso il bambino ripeta in circostanze meno fortunate quel comportamento. Ciò che fa il genitore quindi è riconnettere l'attività cognitiva del bambino all'accadimento, cioè forzare uno schema cognitivo-comportamentale funzionale a un preciso contesto (insieme di relazioni tra enti che generano precisi sinificati) dove è necessario per la sicurezza del bambino rispondere in un certo modo. Questo è dovuto specificatamente perché quella connessione tra sensorialità e accadimento non esiste e quindi va liberamente costruita e poi ancorata al contesto, cioè ai significati sottostanti.

Se in televisione vedo una pubblicità vengo educato a fare specifiche associazioni, ad esempio se dico "come natura crea", non sto indicando nulla circa la pubblicità a cui la frase fa riferimento, ma chi ne è stato esposto subito opera l'associazione non solo con il brand del prodotto ma con una specifica codifica cognitivo-comportamentale, in questo caso non tanto relativo all'acquisto ma alla forzatura nell'associazione con l'idea di "genuinità" che per qualsiasi prodotto industruale è quanto meno curioso. L'effetto immediato quindi è una riorganizzazione cognitiva del significato di "genuino" e "naturale" allargati alle loro dirette antitesi. Poco importa se sappiamo razionalmente che nessun prodotto industriale è equiparabile ai processi artigianali per definizione, non fosse altro che per la riproducibilità e il volume, garantiti proprio e solo dallo specifico processo industriale. Siccome l'industria ha da tempo perso il suo appeal (dopo decenni di esternalismi dovuti alle contrazioni degli utili tra cui le prepotenti disattenzioni all'impatto ambientale) non gli rimane che rubare l'immagine a ciò che per noi significa "diverso da industruale", rovesciando i significati di "industriale" con "genuino" nella nostra mente. Dato com'è il processo di apprendimento quando stimolato in questo modo, non posso in alcun modo opporre critica all'inserimento dello schema e come accade con il bambino, nell'istante in cui mi trovo nel costesto giusto (ad esempio davanti al prodotto industriale) prima che possa intervenire la coscienza della mia volontà scatta lo schema prefissato dalla pubblicità che rende così implicita l'associazione mediata tra volontà e accadimento, subendo senza poterlo impedire il significato programmato. In altre parole, facendo finta che vi sia accanto un sacchetto di biscotti artigianale, farò fatica a percepirlo "più genuino" della marca "come natura crea" e quindi findarmi del prodotto e di chi lo produce o quantomeno per riuscirci sarò obbligato a riflettere per riaggiustare le associazioni cognitivo-comportamentali. Dato che l'industria mirava a conquistare la mia fiducia, l'obbiettivo della propaganda è comunque raggiunto anche la scelta dovesse in fine ricadere sul prodotto genuino secondo il significato del termine, perchè per riucirci sarò stato costretto a "resistere". Se poi il prodotto artigianale dovesse deludermi per qualsiasi motivo, questo non andrà che a rinforzare l'educazione alterata dalla propaganda.

Come sempre attendo vostri commenti.


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