Guerra dei limoni o...
 
Notifiche
Cancella tutti

Guerra dei limoni o Beckett in Israele


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 33516
Topic starter  

Gli incassi di tutte le sale italiane dove viene proiettato Il giardino dei limoni questo bellissimo (e non allineato) film israeliano, reduce dal Tff, ma soltanto l'incasso di oggi, cioé quello del primo giorno di programmazione, andrà in sottoscrizione al manifesto. Dunque diffondete la notizia a tutti, fatela circolare su internet e su Facebook.
Il produttore e regista israeliano Eran Riklis, 54 anni, studi in Gb, ha, con questo lucido apologo sul conflitto in Palestina - il suo settimo lungometraggio - messo in guardia il prossimo governo di Tel Aviv dal proseguire nella politica di isolamento dal mondo e di continuo autoimprigionamento (la costruzione del muro apartheid è il simbolo concreto di questa politica suicida).

Il film, agrodolce, ma fa più male di un pamphlet, batte anche bandiera francese tedesca e britannica, a confermare lo spirito «aperto» di una pellicola che racconta (non senza perfidia sullo stato di diritto israeliano, formalmente impeccabile) la battaglia indomita e disperata (avvenuta davvero) di una piccola coltivatrice palestinese (nel film è una vedova dal suggestivo e testardo nome di Salma Zidane), per salvare dalle ruspe armate di Tel Aviv i suoi alberi di limone (nella realtà erano ulivi), eredità del padre. Che da lei e da un suo vecchio agricoltore fidato vengono trattati e innaffiati come si fa in Paradiso. Salma fa appello, in un crescendo mai grottesco, sempre documentaristico, alle autorità militari, poi al tribunale civile e infine alla Corte suprema, spalleggiata solo da un giovane avvocato.
La sfortuna nera del giardino è infatti quella di trovarsi in Cisgiordania, e proprio di fronte alla villa, appena acquistata, dal ministro della difesa, in terra israeliana non ancora protetta dall'altissimo muro (voluto appunto da Ariel Sharom e da Abraham Yehoshua, smaniosi di imprigionarsi). E i servizi di sicurezza di Olmert temono che proprio da quelle folte fronde verdeggianti (troppo fertile quel giardino per lo stereotipo di Israele, che vede sempre il verde tutto e solo «da una parte», la sua) possano sbucare pericolosi attentatori e kamikaze.
Così il piccolo appezzamento verrà cinto da un reticolato, e fatto deperire, perché alla donna non è più concesso innaffiarlo. Non mancherà la guardia armata a proteggerlo dall'alto (lo svelto» è il nomignolo affibiatogli dal suo plotone, perché si frigge il cervello con i quiz radiofonici) e quando serviranno i limoni (in occasione del party di inaugurazione della villa) ecco che i soldati sfrontatamente andranno a staccarli, a rubarli, a deturparli (è roba loro, tanto).

Ma gli alberi sono come delle persone, dice il vecchio contadino. Infatti quegli alberi di limone stanno non solo per i milioni di ulivi sradicati dallo stato-chiesa ma per le centinaia di palestinesi «potati» o cacciati dalle proprie terre e dalle loro case e per le centinaia di villaggi spariti dalla cartina geografica di Israele.
Nessuno aiuta la donna, neanche il figlio in diaspora, che la vorrebbe con lei a Manhattan, o i capi comunità, più islamisti che islamici, preoccupati solo per il comportamento scandaloso della signora (qualche velo in meno, qualche uomo che dorme da lei in più...) che dalla giustezza politica di quella piccola grande battaglia (e infatti una granata, dagli arbusti, la lanceranno pure). Persino l'avvocato di Salma, bandiera dell'autorità palestinese sulla scrivania, utilizza (e seduce) la donna più per farsi un nome (e un'altra sposa) che per vera militanza e alto senso di giustizia. Selma troverà al suo fianco solo donne olo donne. Giornaliste straniere e penne locali ma «all'americana». E perfino la moglie del ministro (anche lui sciupafemmine) che, a poco a poco, capisce che c'è qualcosa che l'accomuna alla signora del giardino di fronte. Entrambe si riconoscono finalmente, guardandosi negli occhi, abitanti di serie b di una stessa terra, rappresentanti di due popoli che potrebbero gestire insieme, e senza mettersi steccati contro, la stessa nazione, estiguendone padroni, ortodossia religiosa e machismo fanatico reciprocamente subito, e tornando alle inevase, risoluzioni Onu, cui lo stesso Obama oggi fa appello.

Nel Grido della terra (1949) di Duilio Coletti, recentemente restaurato dalla Cineteca Nazionale, unico film in yiddish della storia del cinema italiano, perfino i terroristi armati della causa ebraica non volevano forse liberare la «loro Palestina» dal colonialismo occidentale, e non si chiamano forse anch'essi «palestinesi»?

Roberto Silvestri
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Dicembre-2008/art59.html
12.12.08


Citazione
Condividi: