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Scrivere di cinema: The Mule


Davide
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Mettendo da parte i discorsi antropologici e sociologici del caso, è davvero possibile guardare a “Il corriere – The mule” mantenendo a debita distanza i frammenti metalinguistici che rincorrono il divismo del suo autore? Si può parlare seriamente dell’ultimo lavoro di Eastwood senza considerare ciò che Eastwood è stato per il cinema?

Il dibattito è aperto e la discussione si perderebbe senz’altro in mille rivoli, ma più che un tuffo escapistico nella cinefilia del passato, nella quale le serie tv e i film moderni sembrano essersi definitivamente immersi, forse è importante lanciare uno sguardo al rapporto tra singola opera e percorso artistico di cui essa è il temporaneo atto conclusivo. Allora, dopo aver restituito al genere western la riflessione definitiva sul tramonto dell’epica di frontiera con “Gli spietati” e dopo aver trasformato la vecchiaia in occasione poetica in quel capolavoro che è “Gran Torino”, cosa può ancora riuscire a dirci Clint? Prima di tutto che, a quasi novant’anni, prendere l’immagine di sé che il pubblico ha ormai metabolizzato negli anni, quella dell’anziano scontroso, accigliato ma in fondo dal cuore d’oro, e dotarla di specifiche nuove non è solo fattibile ma addirittura spiazzante.

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