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Il libro di Saviano sulla coca si sniffa il mondo


Tao
 Tao
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Il libro di Saviano sulla coca si sniffa il mondo, ma è opus incertum

Ha detto, per concludere, che ha guardato nell’abisso ed è diventato un mostro. Magari fosse. Il mostro vede il male dentro di sé, non intorno a sé. Nell’incipit letto da Toni Servillo con voce monotòna nello studio televisivo di Fabio Fazio, Saviano vede invece il male degli altri, si fa voce narrante della diffidenza sociale e della vigilanza generalizzata, crede che chiunque gli stia accanto usi cocaina, se non è lui è suo padre e se non è suo padre è sua madre e se non è il fratello è il figlio e via così, il capoufficio, la segretaria, il camionista, l’infermiera, l’imbianchino, il poliziotto, l’operatrice di call center e financo il prete: fino alla conclusione, metaforica e degna del migliore Ingroia che siccome non puoi non sapere, se dici di non sapere o menti oppure anche tu fai uso di cocaina. Ho amato Saviano, il ventenne che se ne andò in motorino spinto dall’inquietudine e dalla curiosità per la sua terra e svelò a me e a milioni di lettori un mondo ignoto, accese tante fantasie, non ultima quella del regista Matteo Garrone che ne trasse un film straordinario. Ma quel Saviano lì non c’è più. Di “ZeroZeroZero” la cosa veramente da urlo è la copertina: in prima tre strisce di cocaina su fondo nero, di cui non si capisce troppo se sia del tipo perlato, squamato, mandorlato, piscia di gatto, mariposa o stone – secondo la merceologia fornita dall’autore – e che, pare, abbiano tratto in inganno più di uno. Sul retro, il bel faccione tenebroso dell’autore. In mezzo, l’opus è incertum. Saviano ha scommesso che guardando attraverso la cocaina si potesse vedere il mondo, capire che il narcotraffico è la linfa che irrora il pianeta, da Wall Street alla Calabria, dall’Africa alla Russia ai Balcani, alla Cina. E il narcocapitalismo è la fase superiore del capitalismo finanziario. E’ chiaro che se il mondo è “una pasta tonda che lievita” e che per non afflosciarsi ha bisogno di acceleranti potenti, il momento più importante della storia recente non è più la caduta del Muro di Berlino ma la riunione organizzata da tal “El Padrino” nel mezzo della giungla colombiana, da cui ebbe origine il big bang, i cartelli dei produttori, da Pablo Escobar a Medellin fino allo strapotere attuale dei messicani. Tra la trasfigurazione letteraria e la lunga, documentata, inchiesta giornalistica ancora una volta Saviano non ha scelto. Così “ZeroZeroZero” è opus incertum.

Non è il racconto della disperazione, non è lo straziante “Oscuro scrutare” di Philip K. Dick né il terribile, agghiacciante “Potere del cane” di Don Winslow. Saviano è rimasto fedele alla sua cifra, intrecciare storie e destini personali con l’analisi sociologica del contesto. Solo che non si può guardare il mondo intero come fosse il porto di Napoli, la Campania, senza rischiare di rendere inconsistente qualsiasi intuizione. Qualche dubbio deve averlo avuto anche lui. Si chiede infatti se avrebbe potuto fare diversamente, scegliere una vita da scrittore che qualcuno definirebbe puro, con le sue paturnie, le sue psicosi, la sua normalità, dice di no e vive la vita del fuggiasco, del corridore di storie, del moltiplicatore di racconti. Che poi è un modo un po’ ipocrita di dire che va bene così, gli va bene di fare da maschera, icona e profeta del nulla, perché questo vogliono i clan editoriali, il mercato e i tanti amici fasulli cui pure dedica alla fine generosi ringraziamenti. Fra i tanti modi che ci sono di pagare il successo questo è di gran lunga il più terribile. Quelli che gli vogliono davvero bene si affrettino a salvarlo.

Lanfranco Pace
FOnte: http://www.ilfoglio.it/
24.04.2013


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