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Saviano - Io sto con gli indiani


Tao
 Tao
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Uno sterminio compiuto in nome del progresso. Da quella che sarebbe diventata la più grande democrazia della Storia. Saviano rilegge il bestseller Manituana

Manituana, è cresciuto lentamente, come la pasta nei cassoni di legno. Manituana (Einaudi) è un romanzo che galleggia sul mondo, come una specie di impalcatura di storie formata con la materia della Storia. È necessario scriverla con la esse maiuscola la parola Storia. Quello che da anni portano avanti come progetto i Wu Ming è la nuova possibilità di mettere insieme diversi linguaggi, nuove sintassi, comunicative inesplorate. Un percorso che non ha nulla dell'elitarismo dell'avanguardia: come avevano fatto con il loro precedente romanzo '54', i Wu Ming riescono a costruire storie articolate all'interno delle fibre muscolari della Storia. E le alternative al percorso della Storia non sono giochi ingenui o impossibili, ma ipotesi che avrebbero potuto divenire realtà. Ciò che non è stato potrebbe essere. E ciò che non è stato perché non è stato. E ciò che è stato perché è stato.
Domandare quanti mondi avrebbero potuto nascere, smontare il monolite della Storia, per cavarci le Storie, non racconti, o aneddoti, non scorciatoie da scrittori per far compagnia alla propria fantasia, ma percorsi abbandonati, ignorati, deformati che attraverso il racconto vengono salvati e riportati nel letto del fiume della Storia. Rendere al condizionale il tempo della Storia significa non subirla. Divenirne almeno nel tempo della riflessione capaci di determinarla. Come una sorta di sogno o un'indagine degli infiniti mondi possibili per dirla con Giordano Bruno, infiniti mondi possibili di cui i Wu Ming sono geografi ed esploratori al contempo. Non inventano nuovi destini, ma scovano sentieri già tracciati che non sono stati battuti e forse ultimati.
Così prende il via il lungo viaggio spazio-temporale di 'Manituana', trasportando il lettore tra i sentieri e i villaggi della grande nazione irochese, alla vigilia di quella guerra di indipendenza americana che ha decretato la nascita di una nuova potenza e il definitivo affrancamento dei 'ribelli' dall'impero coloniale di re Giorgio III d'Inghilterra. Hanno cominciato dal classico "what if...", chiedendosi cosa sarebbe accaduto se i lealisti avessero sconfitto le truppe di coloni guidati da George Washington. Forse sarebbe andata come in Canada, dove le popolazioni autoctone ebbero molte difficoltà sotto la corona britannica, ma non furono oggetto di operazioni di sterminio, come invece accadde negli Stati Uniti.

Ma Manituana non è in nessun modo un libro sulla storia dei 'Native Americans', non è l'ennesimo testo sui pellerossa. Ed è questo forse il segreto della sua necessità, del passaparola che ha permesso al libro di fuggire di mano in mano. È un racconto di una nuova dimensione, occhi nuovi su un momento della Storia fondamentale, dove si stava per generare ciò che avrebbe determinato le sorti nel mondo nei secoli successivi. Un raccontare la gestazione del mondo moderno, la gravidanza della Storia che avrebbe partorito il mondo che oggi abbiamo. Ma che avrebbe potuto generare altro. Un altro annegato, abortito, ma che è possibile rintracciare in ciò che è stato. Manituana non è cowboy e pellerossa, non i malvagi indiani strappa-scalpi e i buoni colonizzatori porta-civiltà. E non è nemmeno i buoni indiani e i malvagi americani. Atrocità avvengono su ogni fronte. 'Manituana' è per molte pagine l'incontro di mondi, e vuole essere un sismografo delle cinetiche, dei conflitti, e della fusione bastarda e meticcia che l'incontro di diverse culture ha generato. Nella valle del fiume Mohawk vive un mondo meticcio. È una grande comunità di indiani, irlandesi e scozzesi, fondata da sir William Johnson, il sovrintendente agli Affari indiani nominato da re Giorgio. I rumori della guerra arrivano da Boston e si fanno più vicini, antichi legami si rompono, la terra che sir William chiamava 'Irochirlanda' diviene teatro di odio e rancori.

E così Manituana, d'improvviso mentre sei lì a seguire le storie che in qualche modo conosci, tra nazioni indiane, alleanze inglesi, e battaglie che hai sentito pronunciare e raccontare ai saggi di storia americana: spiazza, spariglia, riscrive. Non c'è nulla dell'immaginario già consolidato. La sensazione è che il nuovo romanzo dei Wu Ming sembri in qualche misura un dialogo sibillino con la Dialettica dell'illuminismo di Adorno e Horkheimer.
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Ed è con questo libro che chiedono interlocuzione piuttosto che all''Ultimo dei Mohicani', di Cooper. Il cuore pulsante di ciò che ha portato l'Europa alla Shoah è nella storia della ragione illuminata, e così i Wu Ming seguendo la traccia portano a dimostrare che proprio i padri della democrazia americana furono i fondatori del massacro, coloro che fondarono le premesse (e non solo quelle) per non accogliere le energie che stavano generandosi nell'incontro tra indigeni, non vedendo nel mezzosangue l'origine degli Stati Uniti d'America, ma portando avanti un'idea di civiltà e civilizzazione che somigliava a un modello in grado di legittimare le nuove aristocrazie coloniali contro le aristocrazie inglesi e francesi del Vecchio continente. In 'Manituana' i continentali comandati da George Washington avevano scritto sulle bandiere 'Civiltà o morte' portando con sé un'idea illuminata di libertà che oscurò l'intera America, che oscurò mondi, impedì alleanze, gettò le basi per lo sterminio.

Dalla parte sbagliata della storia, così come recita il progetto dei Wu Ming, la sottotraccia, il trailer del libro. Parte sbagliata perché non realizzata, ma parte sbagliata perché meno raccontata, considerata reazionaria, scadente, perdente. E così è stato per i nemici dei 'rivoluzionari' di Washington che invece avrebbero avuto un modello di civiltà diverso dallo sterminio. E come sempre però l'irrealizzato riesce a ingravidare il realizzato, l'idea federalista di Benjamin Franklin ciò per cui ancora oggi viene venerato come grande statista politico è stata direttamente presa dalle Sei Nazioni irochesi.

Manituana è una storia resistente, e i Wu Ming tornano a tuffarsi nell'epica, direttamente usando la partitura musicale utilizzata in Q. Ed è epica e coinvolgente la narrazione di un capo Joseph Brant, l'indiano mohawk più odiato, che detestava la guerra ma si addestrò alla crudeltà lottando contro il tedesco-americano Jonas Klug. Eppoi Philip Lacroix, Le Grand Diable, guerriero invincibile che, nelle foreste del nord, era in grado di fissare in volto la morte. Manituana è anche una storia di donne capaci di raccogliere nei sogni in anticipo l'incrociarsi dei destini. Una sorta di talento femminile che sembra essere la traccia consigliata dagli autori per uscire dal ginepraio del ricorso storico, dell'identico ripetersi della tragedia della Storia. L'immaginazione è l'antidoto. L'immaginazione delle donne, come metodo per scovare vie di fuga. Soluzioni per quadrare il cerchio della vicenda umana. Molly Brant, la moglie indiana di sir Johnson, conosce da subito l'inizio e la fine di ogni vicenda ed è il personaggio in grado di giungere da subito al luogo della destinazione finale.

La capacità dei Wu Ming risiede in una scrittura in grado di saccheggiare slang, deformazioni linguistiche e capacità di descrizione. Non è mai piana la scrittura. Bisogna essere addestrati alla maratona per apprezzare le oltre 600 pagine di 'Manituana', ma il fiato lungo vien leggendo in un percorso che sembra a spirale, una volta entrati, se si decide di entrare, difficilmente se ne esce fuori. Non c'è inizio non c'è termine. Manituana continua sul web ( http://www.manituana.com). Una scelta in piena coerenza con il progetto del libro. Il web è il mai definito, il possibile, il progressivamente costruibile. La capacità di poter seguire i percorsi di 'Manituana' attraverso Google Earth aggiunge capacità concreta d'immaginazione al libro, una sorta di materialismo della fantasia, una forza, quella di m
ettere ogni strumento al servizio del romanzo che farà storcere il naso a molti puristi della pagina, ma l'ardire dei Wu Ming, di questa confederazione di scrittori bolognesi, napoletani, a occuparsi di America, a scrivere di ciò che difficilmente poteva essere affrontato da scrittori italiani, è ciò che rende coraggioso il progetto 'Manituana'. E forse la bellezza di questo romanzo risiede nella capacità di creare una bussola al contrario nel sogno di raccontare il grande Paese che sarebbe anche potuto vivere in pace. Un attimo prima dello sterminio delle nazioni indiane.

Manituana è un'avventura tra esodi, battaglie, baronetti inglesi, indiani che leggono Diderot tra boschi, avventurieri simpatici, gang di strada, pirati, generazioni e contraddizioni insolvibili che trovano in qualche idea una forma di sintesi. La narrazione rimbalza da una sponda all'altra dell'Atlantico; a Londra ci si sposta per seguire le vicende dei personaggi che incroceranno le loro storie con quelle dei mohocks londinesi, un club di giovani criminali che, camuffati da indiani, seminavano il panico per le strade della capitale, e ci si imbatte in una società fortemente mediatizzata dove i giornali inglesi contribuirono a soffiare sul fuoco degli eventi in una situazione identica a quella che sembra essere il circuito mediatico d'oggi. 'Manituana' non è soltanto una narrazione di ciò che poteva essere, ma è una cartografia del possibile, uno strumentario letterario attraverso cui si può smontare il congegno della Storia, una capacità che può essere alimentata solo attraverso la necessità di stare dalla parte sbagliata.

Roberto Saviano
Fonte: http://espresso.repubblica.it
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24.04.07


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