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Chi ha distrutto i capolavori della Biblioteca di Baghdad?


Tao
 Tao
Illustrious Member
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I MARINES, GLI EGIZIANI, I SACCHEGGIATORI O IL BAATH

Chi ha incendiato la Biblioteca di Baghdad, subito dopo l’arrivo delle truppe americane? La dinamica di quel rogo spaventoso, che divampò per venti ore, sembrava ormai accertata. Ne aveva parlato anche l’attuale direttore, Saad Eskander, uomo della resistenza curda, chiarendo che il disastro era stato il frutto da una parte dell’incuria degli americani, dall’altra di un’azione diretta da parte di sostenitori del vecchio regime, che volevano far sparire tra le fiamme documenti ormai pericolosi. Ma ieri, a Firenze, proprio il responsabile degli archivi ha offerto una nuova versione: «Prima dello scoppio delle ostilità - ha detto Mazen Asmil - molti bibliotecari cercarono di mettere in salvo quanti più volumi possibile. Ma durante la battaglia molti combattenti stranieri dettero deliberatamente fuoco alle sale della biblioteca».

L’accusa viene lanciata nel corso della conferenza stampa in cui l’organizzazione non governativa «Un ponte per» (quella di Simona Pari e Simona Torretta, le due italiane rapite e liberate dopo una lunga prigionia) ha annunciato un programma finanziato dalla regione Toscana con 70 mila euro per ospitare cinque bibliotecari irakeni che si dovranno impratichire di tecniche di restauro. Paradossalmente, si tratta in questo caso di acqua: una gran quantità di carte, soprattutto dell’archivio di Stato irakeno, ma anche di rari manoscritti depositati nei sotterranei del Ministero del turismo venne rubata. E il resto fu danneggiato gravemente dai ladri, che allagarono i locali.

A Firenze le tecniche per restauri del genere sono ovviamente raffinatissime e all’avanguardia, e questa è la ragione dello stage: due corsi di formazione organizzati dalla Biblioteca nazionale centrale, uno per creare poi in Iraq un laboratorio di restauro, l'altro per fornire gli strumenti necessari alla nascita di un sito internet e del catalogo on line. Ma è il fuoco il protagonista di quello che si profila come un giallo internazionale. Se non ci sono dubbi su chi ha depredato gli archivi nei sotterranei dove erano stati riposti prima della guerra, cos’è accaduto invece veramente nella Biblioteca fra il 10 e il 12 aprile? I marines, che avevano appena fatto irruzione in città, lasciarono in effetti sguarniti sia la biblioteca sia il museo, abbandondandoli ai saccheggiatori. Ma Asmil, a margine della conferenza stampa, offre uno scenario diverso, e anche più inquietante.

«Li ho visti con i miei occhi - ci racconta - alle dieci del mattino, era il 12 o del 13, e le strade erano deserte. Sono arrivati due carriarmati, da cui sono scesi uomini in divisa, con ciascuno una valigia. Parlavano arabo: ho cercato di fermarli, mi hanno detto di andarmene via. Non c’è stato nulla da fare. Ho visto le fiamme divampare al terzo piano dell’edificio, poi al secondo, poi al primo». Sta parlando del del palazzo della Biblioteca e dell’archivio di Stato, dove era rimasta la gran parte del materiale. Chi erano questi «combattenti stranieri»? Americani che conoscevano l’arabo? L’archivista non si pronuncia, forse, dice, erano egiziani, o del Kuwait. Forse anche americani. Comunque sia, erano soldati, in divisa.

In quei giorni a Baghdad si davano molto da fare ladri e agenti del partito Baath appena cacciato dal potere, che si dedicarono ognuno al proprio lavoro. Vennero distrutti documenti e sparirono manoscitti preziosi, da quelli più antichi delle «Mille e una notte» ai trattati filosofici di Avicenna e Averroé, i grandi pensatori del medioevo arabo, per non parlare dei testi matematici di Omar Khayyam, astronomo, poeta filosofo persiano. Opere che hanno certamente preso la via del mercato clandestino.

Era una spoliazione preordinata: i predatori, come ha ripetuto varie volte il nuovo direttore, Eskander, sapevano che cosa cercare, e dove. Ma i soldati? Quelli visti da Asmil sembra non abbiano portato via niente. Volevano solo distruggere. Vennero a due riprese, sempre allo stesso modo. Due giorni dopo il primo rogo, ne appiccarono un altro. «Eravamo in parecchi ad assistere. Non potemmo far nulla. Non potevamo che piangere». Oltretutto, afferma, non è mai stata aperta un’inchiesta ufficiale. E il mistero rimane. Un mistero di guerra.

Mario Baudino
Fonte: www.lastampa.it
23.12.05


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