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Fuorimoda ma necessario-Diario da Durban


marcopa
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Diario da Durban - Occupy Earth contro i grandi inquinatori

[Giuseppe De Marzo su l'Unità del 3 dicembre 2011]

“Jikelele, jikelele”, circondiamo il mondo, circondiamo il mondo. Cantano le donne africane in lingua Zulu, mentre marciano per la giustizia ambientale. L’appuntamento è nello “speak corner” dinanzi alla sede ufficiale del COP17, nel cuore di Durban.

Striscioni e manifesti con su scritto “occupy earth” riprendono lo slogan della protesta mondiale che con la sua onda di indignazione ha raggiunto i quattro angoli del globo. La contrapposizione è enorme tra il gigantesco Hotel Hilton che domina la conferenza ufficiale del COP17 e la piazza colorata dai canti e dalle rivendicazioni delle donne contadine. Si definiscono le guardiane dei semi, della Terra e della vita. Cantano e ballano perché è questa una delle forme di resistenza attiva. Emily, del “Land access moviment” – il movimento per l’accesso alla terra, ci racconta come in realtà nelle parole di ogni loro canzone sia nascosto un messaggio di resistenza e speranza. Un’eredità dell’apartheid: “ci potete picchiare, arrestare, ammazzare, ma continueremo a lottare ed andare avanti per vincere”, questo gridavano ieri, questo ripetono incessanti oggi. Lo sfruttatore razzista del terzo millennio ha preso oggi le sembianze del modello di sviluppo che provoca il caos climatico e sociale.

Nel frattempo all’interno del palazzo ufficiale va in scena la contrapposizione sulla quale rischia di rimanere impiccato il pianeta. I due temi al centro dello scontro sono l’accordo di Kyoto, in scadenza nel 2012, e la costituzione del Fondo Verde per le azioni di mitigazione, adattamento e compensazione dei danni ambientali. Sul primo punto da una parte ci sono i grandi inquinatori, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone, indisponibili ad un accordo di Kyoto bis con impegni vincolanti sulla riduzione delle emissioni; dall’altra i paesi più piccoli, raggruppati dal G77, ai quali si affiancano l’Europa ed il gigante Cina, disponibile a condizione che anche gli USA accettino i vincoli del trattato.

Il fatto che senza un’azione radicale ed incisiva immediata come richiesto dalla scienza e dai movimenti la temperatura del pianeta salirebbe di oltre 4 gradi nei prossimi decenni e di due gradi a breve, con conseguenze catastrofiche, non sembra turbare più di tanto i negoziatori nella conferenza ufficiale. Sulla costituzione del Fondo Verde promesso al COP16 di Cancun, sembrano evaporare le promesse di Obama che intendeva stanziare 100 miliardi ogni anno sino al 2020 per far fronte alle catastrofiche conseguenze dei cambi climatici. Non c’è intesa sulla quantità di fondi e su chi li debba mettere, ma soprattutto c’è grande dissenso sul fatto di affidarli proprio alla Banca Mondiale, tra i principali responsabili della crisi economica e ambientale con i suoi prestiti alle grandi multinazionali estrattive e sulla politica miope verso le comunità locali. E poi c’è sempre la “crisi” con cui farsi scudo, qualora qualcuno ricordi gli impegni presi. È proprio vero che di crisi si può anche morire. Jikelele, jikelele, prima che sia tardi.

Giuseppe De Marzo

su L'Unita del 3 Dicembre 2011
Fonte www.asud.net


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marcopa
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Sudafrica - Attivisti protestano al Vertice sul clima: "Occupy Durban"

[Marica Di Pierri su Il Manifesto del 3 dicembre 2011]

La sede della Cop17 è nel Centro Conferenze di Durban, nel cuore commerciale e finanziario della città. Dietro il cancello dell'entrata principale, dove campeggiano enormi manifesti con cubitali scritte “un futuro verde ha bisogno di banche verdi”, svetta il grattacielo dell'Hilton, che ospita il grosso delle negoziazioni.

Nel parco di fronte, dall'altro lato della strada, c'è il presidio permanente della società civile, con un megafono utilizzato a turno dagli attivisti arrivati dall'Africa e dagli altri continenti. Ieri mattina si sono ritrovati ancora una volta di fronte al cancello, brandendo cartelli e gridando slogan che chiedono di scegliere il futuro di tutti e non gli interessi di pochi. “Occupy Durban, Occupy Earth” è uno dei grandi striscioni che campeggia tra gli alberi del parco.

Giunge così al termine la prima settimana di lavori della 17° conferenza Onu sul clima, una settimana in cui pochissimo si è avanzato nelle decisioni che sarebbero necessarie per non fare di questo summit l'ennesimo costoso buco nell'acqua.

Era lunedì quando nelle sale del Conference Center il presidente del Sud Africa Zuma, padrone di casa del summit, inaugurava il vertice lanciando un monito ai paesi partecipanti, circa 190: "per gran parte dei popoli dei Paesi in via di sviluppo e del continente africano, il cambiamento climatico è una questione di vita o di morte", ha detto. Del resto gli esempi non mancano: dalla siccità che sta colpendo il Corno d'Africa e il Sudan, alla desertificazione progressiva di gran parte del territorio africano, fino alle tempeste ed alluvioni che hanno spazzato nelle scorse settimane la costa sudafricana, colpendo gravemente anche la città che ospita il summit. Zuma ha auspicato che i governi guardino oltre gli interessi nazionali alla ricerca di soluzioni che grantiscano invece “il bene comune e il benessere dell'umanità”.

Nel vivo delle negoziazioni, con la presenza delle delegazioni dei governi, si entrerà solo martedì prossimo. Nessun capo di stato è atteso, ad eccezione di alcuni – pochi – leader africani. Nel frattempo, i round preparatori e le negoziazioni dei tavoli tecnici ci raccontano di posizioni distanti e di un accordo che difficilmente verrà raggiunto. Neppure sul contestato Fondo Verde per il clima si intravede via d'uscita: a Cancun un anno fa avevano annunciato lo stanziamento di 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020, ma sul finanziamento non c'è alcun accordo. Giovedì pomeriggio la rete Climate Justice Now ha organizzato un'azione di contestazione contro la Banca Mondiale, che dovrebbe tra l'altro, secondo i piani, avere una ruolo di primo piano nella gestione del fondo.

Sono in tanti a denunciare con allarme l'inconcludenza di questi primi giorni di lavori. L'Alleanza dei Piccoli Stati Insulari, AOSIS – i primi a rischio scomparsa con l'innalzamento dei mari conseguente a innalzamento delle temperature e scioglimento dei ghiacci – reclama misure che contengano le emissioni entro i 350 ppm, livello massimo per garantire la sopravvivenza dei loro territori. I rappresentanti dei popoli indigeni che partecipano da osservatori al vertice ufficiale avvertono sul rischio che questa Cop seppellisca la stessa convenzione quadro, l'UNFCCC, tradendone l'impostazione originale che, ricordano “differenziava le responsabilità e quindi gli impegni da assumere tra paesi industralizzati e paesi emergenti”. Dello stesso avviso i paesi dell'Alba, Alleanza Bolivariana per i Popoli dell'America “dobbiamo evitare questa prospettiva catastrofica” ha avvertito Rene Orellana, capo del grupppo negoziatore della Bolivia.

Nel frattempo le statistiche diffuse in questi giorni dalla società energetica BP parlano di un aumento della Co2 di quasi il 6% rispetto ad appena due anni fa, con Cina e Russia a coprire assieme il 44% delle emissioni globali. La stessa Cina e i paesi del G77 si dicono favorevoli a cercare una via per la prosecuzione del protocollo di Kyoto. Ma un Kyoto bis è osteggiato dagli Stati Uniti, cui si sono aggiunti Canada, Russia, Giappone. “Posizioni che denotano l'irresponsabilità criminale dei governi, non si rendono conto di giocare con le vite di milioni di persone” - grida al megafono Luanda, contadina africana del Lesotho arrivata a Durban per la 2° assemblea delle donne contadine dell'Africa del Sud. No Fish, No Food! Rispondono a ritmo le centinaia di attiviste arrivate con lei. Una cosa è certa. Non di sterili negoziazioni si tratta, ma del futuro di centinaia di popoli. Molti degli africani arrivati qui in questa settimana lo sanno bene e lo ripeteranno oggi, durante la Giornata globale di mobilitazione sul clima, che avrà proprio qui a Durban il suo cuore pulsante.

Marica Di Pierri, Associazione A Sud
Fonte www.asud.net


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marcopa
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Durban - United against climate change in corteo
Nella Giornata di azione globale
3 / 12 / 2011

Si riempie pian piano il parco da cui parte la manifestazione nella Giornata Mondiale di azione sul clima.

Il corteo inizia a configurasi con l’arrivo dei vari spezzoni.

L’apertura è chiara, un enorme striscione che dice: uniti contro il cambio climatico.

Uniti perché solo la costruzione di un comune condiviso tra tanti e diversi può affrontare la portata del cambio climatico imposto all’umanità e al pianeta nella crisi globale.

La maggior parte dei partecipanti sono sudafricani e vengono dai movimenti sociali del paese.

I canti, i balli, gli slogans danno vitalità ai temi che attraversano il corteo.

Nelle interviste si intreccia la denuncia della devastazione ambientale e del saccheggio della terra e delle risorse con la richiesta di un nuovo modello sociale ed ambientale. No al carbone, no al nucleare sì all’energia rinnovabile e bene comune. No alla povertà e alla disuguaglianza sociale sì a posti di lavoro creati con lavori eco-compatibili nella produzione energetica, nei trasporti, nell’agricoltura. No al monopolio delle corporation nella proprietà della terra sì al diritto delle comunità di vivere dignitosamente nel proprio territorio … Cartelli e slogan disegnano nell’oggi la necessità di cambiare il sistema e non il clima, denunciando l’impotenza voluta delle conferenze dell’Onu.

La marcia attraversa le strade del centro, prima di concludersi davanti ai cancelli della Cop17, dando corpo a temi che riecheggiano in tutto il pianeta, non c’è ambientalismo di maniera nei manifestanti africani ma la connessione biopolitica dell’inacettabilità per l’umanità e il pianeta del riproporsi delle scelte che hanno portato alla crisi economica, sociale e ambientale in cui tutti viviamo.

Cronaca e voci dal corteo.

La cronaca del corteo si accompagna alle interviste con rappresentanti dei movimenti nigeriani in lotta contra la devastazione dell’estrazione petrolifera portata avanti da compagnie come la Eni, riflessioni con la CGT, sindacato francese, sulla necessità in Europa di contrapporre alle misure dell’austerity imposta dall’alto una riconversione produttiva per uscire dalla crisi, il post-Fukushima raccontato dagli attivisti giapponesi e il commento della delegazione di Rigas alle giornate sudafricane.

Le voci che raccogliamo in corteo raccontano le resistenze nel paese per cambiare una situazione di povertà ed emarginazione. Comitati come quelli che si oppongono ad essere allontanati per permettere la costruzione della nuova area portuale a Durban marciano insieme alle donne che negli slum lottano per avere una casa degna, contro la privatizzazione dell’energia portata avanti da grandi corporation come la Eskon che detiene il monopolio dell’energia al 95% in Sudafrica e al 45% in tutta l’africa.

Associazioni come quella dei giovani che denunciano la povertà che nasce dai cambiamenti climatici sfilano con Right2now che chiede un informazione libera fuori dalla segretezza. Via Campesina denuncia come la promessa della Riforma agraria sia rimasta inattesa e la proprietà della terra resta in mano ai latifondi dell’agricoltura industriale basata sulle monocolture. Il movimento Abhali Basemjandolo in tutto il paese organizza le lotte per il diritto alla casa e ai servizi essenziali, pretendendo dal Governo le promesse non mantenute. Il Cosatu con i suoi 2 milioni di iscritti chiede scelte precise per creare nuova occupazione con politiche ambientali e sostenibili.

Fonte www.globalproject.info


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