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Giappone, proposta shock: lavoro tutta la vita, pensione mai


StefyMorleo
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ahhaha bellissima questa nuova proposta del ministro giapponese Amari,

http://www.forexinfo.it/Giappone-la-proposta-sconvolgente

ma come fanno ad uscirsene con delle proposte del genere?? Se l'avesse fatto qualcuno in Italia, gli avrebbero tirato pomodori, uova e qualunque altra cosa addosso
ma dai. un po' di serietà almeno quando si parla di temi economici


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helios
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se trovi bella questa notizia, questa sotto dovrebbe essere magnifica 😡

Giappone, quelle “morti in solitudine” per la crisi dell’economia e della famiglia
A Osaka una mamma di 30 anni si lascia morire di stenti con la sua bambina di tre: "Non sono riuscita a nutrirla". Il fenomeno del "kodokushi" prima toccava solo gli anziani, sempre più spesso abbandonati dai figli, ora si allarga a chi non ce la fa più a pagare la spesa e le bollette. A Tokyo 2.718 casi in un anno
di Pio d'Emilia | 5 giugno 2013

La settimana scorsa una donna di circa 30 anni è stata trovata morta, con accanto la sua bambina di 3 anni, in un appartamento di Osaka. Accanto ai corpi in avanzato stato di decomposizione (“c’erano solo ossa e vestiti, e un’enorme macchia sui tatami, che evidentemente avevano assorbito gli umori”, ha riportato la Fuji Tv, l’unico media nazionale a riportare la notizia) un biglietto: “Non sono riuscita a nutrirla”. La polizia, chiamata dai vicini per via degli odori divenuti oramai insopportabili, ha trovato un appartamento in condizioni di assoluto degrado, privo di frigorifero, utenze staccate da mesi.

Impossibile, in queste condizioni, stabilire una data certa per la morte: ma secondo la polizia potrebbe risalire addirittura allo scorso febbraio. Da quando cioè la donna aveva pagato l’ultima bolletta. E’ l’ultimo caso, almeno l’ultimo affiorato, di kodokushi: la “morte in solitudine”. Un fenomeno in preoccupante aumento in una società sempre più “polverizzata”, dove le relazioni non solo sociali ma anche familiari sono sempre meno solide, creando stress, disagio, depressione. Ma è anche la prima volta che la kodokushi non riguarda persone anziane e spesso malate, ma una govane donna e la sua bambina.

“Siamo difronte ad un caso davvero estremo – spiega Masaki Ichinose, sociologo e direttore dell’Istituto per gli Studi sulla Vita e sulla Morte che la prestigiosa Università di Tokyo ha aperto qualche anno fa, visto l’emergere del fenomeno – in questa morte si condensano tutti i problemi della nostra società: la crisi economica, la crisi della famiglia e delle relazioni sociali, l’assenza delle istituzioni. Siamo arrivati al punto che la morte, con la quale noi giapponesi abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, è diventata una vergogna. Non abbiamo più il coraggio di viverla come esseri umani, ma come i gatti: nascondendoci, isolandoci. In dignitosa solitudine”

Non ci sono ancora statistiche vere e proprie che isolino i casi di kodokushi da quelli, più in generale, delle morti “volontarie”. Spulciando tra le statistiche fornite dal Ministero della Sanità, abbiamo trovato solo un dato riferito alla capitale, Tokyo, dove nell’anno fiscale 2012 (che finisce a marzo) i casi di kodokushi sono stati 2.718, il doppio rispetto a 6 anni fa. “Ma si tratta di dati non ancora elaborati – ci hanno spiegato al ministero – spesso è difficile stabilire se si tratta di suicidi veri e propri, o di vicende iniziate magari con un piccolo incidente e precipitate in tragedia a seguito del disagio affettivo, sociale ed economico”

Il professor Ichinose è d’accordo: “L’accostamente non può essere automatico, anche se lasciarsi morire, letteralmente, di fame e di stenti, è una delle forme più estreme, coraggiose e dolorose, di suicidio. Ancora oggi c’è chi si reca nella foresta Aokigahara, ai piedi del monte Fuji, e si lascia morire di inedia. Ma sono sempre di meno. Oggi ci si lascia morire in casa, senza neanche aprire il rubinetto del gas, che spesso è staccato. Associare le “morti solitarie” con i suicidi (oltre 32 mila l’anno, più di 80 al giorno, 3 ogni ora, n.d.r.) non è statisticamente corretto, ma socialmente lo è. E segna il progressivo imbarbarimento della nostra società, un tempo armoniosamente unita attorno alla famiglia, al vicinato”.

Non più. Le possibilità che un anziano finisca per vivere solo, in Giappone, sono aumentate del 50% negli ultimi venti anni. E’ l’incremento più alto registrato dai paesi dell’Ocse. Nel 1980 gli uomini di oltre 60 anni che vivevano soli erano 190 mila, nel 2000 erano oltre un milione, oggi quasi due. Le donne sono quasi il doppio. E la maggior parte degli anziani, in Giappone, rifiuta l’idea di vivere nelle ancora poche, anche se in aumento, case di riposo, sia pubbliche che private. Non solo. Spesso rifiutano anche solo di prendere in considerazione l’idea di chiedere aiuto alle istituzioni, che pur hanno predisposto, soprattutto nelle grandi città, dei programmi di assistenza e di sussidio econiomico adeguati ed efficaci. “Ma i giapponesi non amano chiedere aiuto – spiega Ichinose – preferiscono arrangiarsi da soli, o al massimo in famiglia”.

Il problema è che la famiglia, “quel” tipo di famiglia che aveva un ruolo (e un posto letto…) per i nonni non c’è più. E i nonni, anche quelli che una famiglia ce l’avrebbero ancora, finiscono per essere, progressivamente abbandonati. Chi può torna nella vecchia casa di campagna, ma la maggior parte finisce in un minuscolo appartamento, dove figli e nipoti magari pagano anche l’affitto e le bollette, ma raramente si fanno vivi. “E’ un processo lungo, a volte, ma irreversibile – spiega il prof. Ichinose – prima si ammala o muore uno, poi l’altro entra in depressione e comincia a rifiutarsi di uscire, prepararsi da mangiare. La cosa più terribile è che spesso della loro scomparsa parenti e amici se ne accorgono dopo mesi, addirittura anni. E a volte per puro caso”.

Issei Suzuki è un imprenditore “sociale”. Vuole lavorare e guadagnare, ovviamente, ma possibilmente svolgendo un ruolo utile. In passato ha lavorato in una cooperativa di prodotti biologici, e in un’altra che si occupava di assistenza a domicilio per anziani e disabili. Oggi si occupa di “pulizie”. Pulizie molto particolari, pulizie che, come si legge nella sua home-page “non sono certo divertenti, ma che qualcuno deve pur fare”. La sua società, che per ora ha una sola sede, nell’isola di Hokkaido, ha un nome un po’ lungo e angosciante: jiken genba tokushu teisou sentaa (“Centro per la ripulitura dei luoghi di “casi”). Dove per “casi”, in una lingua e una cultura che non ama chiamare le cose con il proprio nome, si intendono, morti più o meno violente.

“In Giappone la legge impone agli agenti immobiliari di segnalare ai possibili acquirenti o locatari l’esistenza di un caso – ci spiega il sign. Suzuki – ma in passato si trattava sostanzialmente di omicidi, che dalle nostre parti sono pochissimi. Ora invece trattiamo soprattutto casi di kodokushi. Sono in grave aumento, dappertutto nel paese. E la gente non ne vuole sapere. Sono letteralemente terrorizzati. Sapere che in una casa c’è stato un suicidio è una cosa, ma che sia stato teatro di una morte per abbandono fa scappare la gente. Mi creda, delle volte, quando entriamo in una casa che dobbiamo ripulire, ci viene davvero il voltastomaco”

Il suicidio, che oramai non avviene più nelle forme tradizionali ed esaltate da una copiosa e non sempre rigorosa letteratura (il famoso seppuku/harakiri) fa parte della tradizione di un popolo che ha sempre avuto un rapporto razionale, aperto, con la morte. Contrariamente all’occidente, dove il suicidio è (per la religione cattolica) un “peccato” e l’istigazione addirittura un reato, in Giappone togliersi la vita in modo più o meno rituale, più o meno pubblico è considerato un modo più che onorevole di “ritirarsi”. E’ anche un modo per assicurare ai sopravvissuti una vita tranquilla: le polizzze vita prevedono infatti, caso unico nel mondo industrializzato, il pagamento dell’indennizzo anche in caso di suicidio.

Ma il fenomeno del kodokushi, anche se può essere tecnicamente definito un suicidio differito, è qualcosa di più e di peggio. L’idea che migliaia di persone anziane
– perchè di questo si tratta – muoiano in casa, senza che nessuno se ne accorga per mesi e per anni è davvero angosciante. Che poi questo succeda ad una govane donna, con la sua bambina, fa pensare davvero a che razza di società abbiamo costruito. E non consoliamoci/assolviamoci perché questo è accaduto, accade in Giappone. Sicuro che da noi non potrebbe accadere? Chi ha la fortuna di avere ancora i propri nonni, li tenga da conto. Magari andandoli a trovare, facendo una telefonata, un po’ più spesso.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/05/giappone-quelle-morti-in-solitudine-per-crisi-delleconomia-e-della-famiglia/616706/

e non credere che il Giappone sia poi tanto lontano dall'Italia ❗


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Matt-e-Tatty
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In Italia non c'è la proposta... ma di fatto sta succedendo. Si vede che il Giappone sono meno ipocriti.


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StefyMorleo
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Matt, questo è pure vero; in maniera un po' subdola, anche in Italia la pensione si sta man mano cancellando, ma fare addirittura proposte come quella sulle cellule m sembra un tantino esagerato


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qasiqasi
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la rottura del patto sociale è molto pericolosa,non solo per i vecchi ma per tutti.solo un pirla come quel tale giapponese poteva fare una proposta così destabilizzante.d'altronde il governo giapponese stampa carta igienica e dice che è moneta.così si gettano le basi di futuro terribile,caotico e foriero di disordini e guerre senza fine.tutto ciò è pazzesco,non mi fa ridere ma mi preoccupa.


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uomospeciale
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Giappone, quelle “morti in solitudine” per la crisi dell’economia e della famiglia
A Osaka una mamma di 30 anni si lascia morire di stenti con la sua bambina di tre: "Non sono riuscita a nutrirla". Il fenomeno del "kodokushi" prima toccava solo gli anziani, sempre più spesso abbandonati dai figli, ora si allarga a chi non ce la fa più a pagare la spesa e le bollette. A Tokyo 2.718 casi in un anno
di Pio d'Emilia | 5 giugno 2013

La settimana scorsa una donna di circa 30 anni è stata trovata morta, con accanto la sua bambina di 3 anni, in un appartamento di Osaka. Accanto ai corpi in avanzato stato di decomposizione (“c’erano solo ossa e vestiti, e un’enorme macchia sui tatami, che evidentemente avevano assorbito gli umori”, ha riportato la Fuji Tv, l’unico media nazionale a riportare la notizia) un biglietto: “Non sono riuscita a nutrirla”. La polizia, chiamata dai vicini per via degli odori divenuti oramai insopportabili, ha trovato un appartamento in condizioni di assoluto degrado, privo di frigorifero, utenze staccate da mesi.

Impossibile, in queste condizioni, stabilire una data certa per la morte: ma secondo la polizia potrebbe risalire addirittura allo scorso febbraio. Da quando cioè la donna aveva pagato l’ultima bolletta. E’ l’ultimo caso, almeno l’ultimo affiorato, di kodokushi: la “morte in solitudine”. Un fenomeno in preoccupante aumento in una società sempre più “polverizzata”, dove le relazioni non solo sociali ma anche familiari sono sempre meno solide, creando stress, disagio, depressione. Ma è anche la prima volta che la kodokushi non riguarda persone anziane e spesso malate, ma una govane donna e la sua bambina.

“Siamo difronte ad un caso davvero estremo – spiega Masaki Ichinose, sociologo e direttore dell’Istituto per gli Studi sulla Vita e sulla Morte che la prestigiosa Università di Tokyo ha aperto qualche anno fa, visto l’emergere del fenomeno – in questa morte si condensano tutti i problemi della nostra società: la crisi economica, la crisi della famiglia e delle relazioni sociali, l’assenza delle istituzioni. Siamo arrivati al punto che la morte, con la quale noi giapponesi abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto, è diventata una vergogna. Non abbiamo più il coraggio di viverla come esseri umani, ma come i gatti: nascondendoci, isolandoci. In dignitosa solitudine”

Non ci sono ancora statistiche vere e proprie che isolino i casi di kodokushi da quelli, più in generale, delle morti “volontarie”. Spulciando tra le statistiche fornite dal Ministero della Sanità, abbiamo trovato solo un dato riferito alla capitale, Tokyo, dove nell’anno fiscale 2012 (che finisce a marzo) i casi di kodokushi sono stati 2.718, il doppio rispetto a 6 anni fa. “Ma si tratta di dati non ancora elaborati – ci hanno spiegato al ministero – spesso è difficile stabilire se si tratta di suicidi veri e propri, o di vicende iniziate magari con un piccolo incidente e precipitate in tragedia a seguito del disagio affettivo, sociale ed economico”

Il professor Ichinose è d’accordo: “L’accostamente non può essere automatico, anche se lasciarsi morire, letteralmente, di fame e di stenti, è una delle forme più estreme, coraggiose e dolorose, di suicidio. Ancora oggi c’è chi si reca nella foresta Aokigahara, ai piedi del monte Fuji, e si lascia morire di inedia. Ma sono sempre di meno. Oggi ci si lascia morire in casa, senza neanche aprire il rubinetto del gas, che spesso è staccato. Associare le “morti solitarie” con i suicidi (oltre 32 mila l’anno, più di 80 al giorno, 3 ogni ora, n.d.r.) non è statisticamente corretto, ma socialmente lo è. E segna il progressivo imbarbarimento della nostra società, un tempo armoniosamente unita attorno alla famiglia, al vicinato”.

Non più. Le possibilità che un anziano finisca per vivere solo, in Giappone, sono aumentate del 50% negli ultimi venti anni. E’ l’incremento più alto registrato dai paesi dell’Ocse. Nel 1980 gli uomini di oltre 60 anni che vivevano soli erano 190 mila, nel 2000 erano oltre un milione, oggi quasi due. Le donne sono quasi il doppio. E la maggior parte degli anziani, in Giappone, rifiuta l’idea di vivere nelle ancora poche, anche se in aumento, case di riposo, sia pubbliche che private. Non solo. Spesso rifiutano anche solo di prendere in considerazione l’idea di chiedere aiuto alle istituzioni, che pur hanno predisposto, soprattutto nelle grandi città, dei programmi di assistenza e di sussidio econiomico adeguati ed efficaci. “Ma i giapponesi non amano chiedere aiuto – spiega Ichinose – preferiscono arrangiarsi da soli, o al massimo in famiglia”.

Il problema è che la famiglia, “quel” tipo di famiglia che aveva un ruolo (e un posto letto…) per i nonni non c’è più. E i nonni, anche quelli che una famiglia ce l’avrebbero ancora, finiscono per essere, progressivamente abbandonati. Chi può torna nella vecchia casa di campagna, ma la maggior parte finisce in un minuscolo appartamento, dove figli e nipoti magari pagano anche l’affitto e le bollette, ma raramente si fanno vivi. “E’ un processo lungo, a volte, ma irreversibile – spiega il prof. Ichinose – prima si ammala o muore uno, poi l’altro entra in depressione e comincia a rifiutarsi di uscire, prepararsi da mangiare. La cosa più terribile è che spesso della loro scomparsa parenti e amici se ne accorgono dopo mesi, addirittura anni. E a volte per puro caso”.

Issei Suzuki è un imprenditore “sociale”. Vuole lavorare e guadagnare, ovviamente, ma possibilmente svolgendo un ruolo utile. In passato ha lavorato in una cooperativa di prodotti biologici, e in un’altra che si occupava di assistenza a domicilio per anziani e disabili. Oggi si occupa di “pulizie”. Pulizie molto particolari, pulizie che, come si legge nella sua home-page “non sono certo divertenti, ma che qualcuno deve pur fare”. La sua società, che per ora ha una sola sede, nell’isola di Hokkaido, ha un nome un po’ lungo e angosciante: jiken genba tokushu teisou sentaa (“Centro per la ripulitura dei luoghi di “casi”). Dove per “casi”, in una lingua e una cultura che non ama chiamare le cose con il proprio nome, si intendono, morti più o meno violente.

“In Giappone la legge impone agli agenti immobiliari di segnalare ai possibili acquirenti o locatari l’esistenza di un caso – ci spiega il sign. Suzuki – ma in passato si trattava sostanzialmente di omicidi, che dalle nostre parti sono pochissimi. Ora invece trattiamo soprattutto casi di kodokushi. Sono in grave aumento, dappertutto nel paese. E la gente non ne vuole sapere. Sono letteralemente terrorizzati. Sapere che in una casa c’è stato un suicidio è una cosa, ma che sia stato teatro di una morte per abbandono fa scappare la gente. Mi creda, delle volte, quando entriamo in una casa che dobbiamo ripulire, ci viene davvero il voltastomaco”

Il suicidio, che oramai non avviene più nelle forme tradizionali ed esaltate da una copiosa e non sempre rigorosa letteratura (il famoso seppuku/harakiri) fa parte della tradizione di un popolo che ha sempre avuto un rapporto razionale, aperto, con la morte. Contrariamente all’occidente, dove il suicidio è (per la religione cattolica) un “peccato” e l’istigazione addirittura un reato, in Giappone togliersi la vita in modo più o meno rituale, più o meno pubblico è considerato un modo più che onorevole di “ritirarsi”. E’ anche un modo per assicurare ai sopravvissuti una vita tranquilla: le polizzze vita prevedono infatti, caso unico nel mondo industrializzato, il pagamento dell’indennizzo anche in caso di suicidio.

Ma il fenomeno del kodokushi, anche se può essere tecnicamente definito un suicidio differito, è qualcosa di più e di peggio. L’idea che migliaia di per
sone anziane– perchè di questo si tratta – muoiano in casa, senza che nessuno se ne accorga per mesi e per anni è davvero angosciante. Che poi questo succeda ad una govane donna, con la sua bambina, fa pensare davvero a che razza di società abbiamo costruito. E non consoliamoci/assolviamoci perché questo è accaduto, accade in Giappone. Sicuro che da noi non potrebbe accadere? Chi ha la fortuna di avere ancora i propri nonni, li tenga da conto. Magari andandoli a trovare, facendo una telefonata, un po’ più spesso.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/05/giappone-quelle-morti-in-solitudine-per-crisi-delleconomia-e-della-famiglia/616706/

e non credere che il Giappone sia poi tanto lontano dall'Italia ❗

Nulla di nuovo sotto il sole.
il fatto è che le vecchie relazioni familiari tradizionali sono destinate a scomparire nel nulla un po' in tutto il mondo, e questo processo è già in atto anche in Italia da un bel pezzo.
Vedasi ad esempio il crollo dei matrimoni e di ogni altra relazione stabile già sotto gli occhi di tutti, basti pensare che a Milano ci sono più single che conviventi/sposati e quindi, se non è zuppa è pan bagnato...................... E non che i cadaveri semi putrefatti di anziani o persone disperate e sole qui da noi manchino, eh?
Non ci facciamo mancare nulla e ogni anno se ne " scoprono" un bel po' anche da noi a causa del fetore, nelle nostre belle città.
Specie in primavera-estate quando a causa del caldo, la fragranza di cadavere filtra al meglio da sotto le porte degli appartamenti.
E in futuro a causa di crisi economica, disoccupazione, aumento della competizione ed emarginazione sociale, andrà pure peggio........................ Saremo tutti dei semplici conoscenti o poco più...
Dei "quasi estranei" anche tra parenti e per giunta in competizione tra loro per un posto di lavoro, per un tozzo di pane,
per l'accesso al cibo ed alle ultime briciole di benessere in un mondo sempre più inquinato e competitivo. Fatto di gente sempre più isolata ed asociale.
In un certo senso comunque, è un ritorno alla natura.
Forse che in natura c'è mai stato spazio per i deboli o gli anziani?
Mangia sano! Torna alla natura!.....

L'unica nota positiva di tutta la faccenda, è che almeno non ho fatto dei figli.
Meno male.

😆 😀


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uomospeciale
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In Italia non c'è la proposta... ma di fatto sta succedendo. Si vede che il Giappone sono meno ipocriti.

Ci arriveremo anche qui.

E da un certo punto di vista, non è neppure del tutto sbagliato.
I lavori fisicamente massacranti dei nostri padri e nonni quasi non esistono più e dopotutto, se mangio tutti i giorni,
devo anche guadagnarmelo tutti i giorni.
Altrimenti qualcuno, da qualche parte, sarà costretto guadagnarlo per me.


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sandrez
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Post: 426
 

Forse che in natura c'è mai stato spazio per i deboli o gli anziani?

si, c'è stato.
quando il profitto non era al 1° posto...

http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=23345

~certevolteilsolebatteanchesulculodiuncane~


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