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I marines in Iraq per sempre?


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Sotto le mentite spoglie di una «alleanza strategica» tra Stati Uniti e Iraq, l'Amministrazione Bush sta usando tutto il potere che esercita sulla «giovane democrazia irachena» per far firmare al governo di Nouri al-Maliki un patto segreto che assicuri agli Stati Uniti una presenza militare permanente nel paese del Golfo, al di là dell'esito delle elezioni presidenziali Usa. L'accordo, su cui Bush vorrebbe mettere la firma entro il 31 luglio, prevede la presenza di 50 basi militari americane sul territorio iracheno, il controllo dello spazio aereo sotto i 29mila piedi, immunità legale per soldati e aziende Usa che operano in Iraq e diritto di arrestare iracheni in nome della «guerra al terrorismo», godendo dell'immunità rispetto alla legge locale.

Il piano di cui ha dato notizia ieri il quotidiano britannico The Independent , realizzato sotto l'attenta regia del deux ex machina dell'amministrazione americana Dick Cheney, servirebbe a Washington a dichiarare, prima della fine del mandato di Bush la "vittoria" in Iraq, sostenendo in questo modo la posizione tenuta in campagna elettorale dal candidato repubblicano McCain e ridimensionando, contemporaneamente, la portata della linea politica di Barak Obama sul disimpegno ed il ritiro delle truppe americane dal paese.

Bisogna capire se gli iracheni accetteranno. Secondo le interpretazioni di The Independent , basate su fonti di primo piano irachene, nonostante l'avversione che un accordo del genere scaturirebbe nel paese e le dichiarazioni di facciata da parte di politici ed esponenti dell'establishment iracheno, il rischio di mettere in discussione l'attuale spartizione del potere in Iraq che deriverebbe dal mettersi contro l'attuale amministrazione Usa, sarebbe un azzardo che in pochi possono permettersi nel quadro della complessa compagine politico-religiosa del nuovo Iraq.
La fine del sostegno americano a Baghdad indebolirebbe la forza della componente sciita uscita vittoriosa dalle elezioni del 2005. Gli sciiti iracheni sono tuttavia divisi e Muqtada al-Sadr (il leader religioso del movimento sadrista che ha abbandonato la coalizione di governo e che si oppone all'occupazione) ha annunciato l'opposione in piazza contro l'ipotesi di ogni accordo che diminuisca la sovranitá irachena. Lo stesso al-Maliki sarebbe personalmente a disagio rispetto alla firma di un accordo che rederebbe il paese una grande base militare americana, ma sa che il suo governo senza l'appoggio di Washingon conterebbe come un due di picche. Pur avendo combattuto la presenza Usa sul territorio, parte dei sunniti iracheni (anch'essi divisi), riconoscono che la presenza americana nel paese in qualche modo mitiga il potere degli sciiti. I curdi, infine, che sono un quinto della popolazione, alla prova dei fatti, opterebbero per la permanenza, piuttosto che il disimpegno Usa.

Secondo The Independent , il solo ad avere l'autorità necessaria a bloccare l'accordo è il leader spirituale della maggioranza sciita, l'ayatollah Ali al Sistani, che non può tuttavia ignorare le conseguenze della perdita di influenza della sua comunità nel caso in cui il sostegno americano venisse a mancare. Se Bush riuscisse nell'attuazione del piano, la popolazione irachena, il cui governo è già un fantoccio degli americani, resterebbe imbrigliata tragicamente nel suo ruolo di pedina nella guerra per procura nella Regione tra Stati Uniti ed Iran.

Francesca Marretta
Fonte: http://www.liberazione.it/
6.06.08


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