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L’Ungheria e noi


dana74
Illustrious Member
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L’Ungheria e noi

La “pecora nera” del mondo libero oggi si chiama Budapest

Fabrizio Fiorini

Agli assetti di potere internazionali di matrice finanziaria e bancaria che trovano negli Stati dell’Occidente gli umili esecutori delle proprie direttive occorre riconoscere un certo criterio scientifico nella repressione e nel controllo di tutti i fenomeni di non allineamento ai canoni politici ed economici che hanno imposto a buona parte del mondo.
Se a fuoriuscire da questi canoni sono quegli Stati che, prima che un premio nobel si insediasse all’Amministrazione Usa, venivano sbrigativamente inclusi in un fantomatico “asse del male”, nulla quaestio: viene imposto il più rigido isolamento internazionale, si ricorre a casus belli artefatti, e – non appena la situazione lo consente – si fa ricorso all’uso delle armi.
Altri Stati si collocano in posizioni di non allineamento intermedie, per ragioni di natura geografica, politica, economica. In questi casi si ricorre a strategie più delicate di imposizione del potere, quali la sobillazione di golpe, il sostegno a organizzazioni terroristiche interne, i tentativi di cambio di regime quali quelli che negli ultimi lustri sono assurti ai disonori delle cronache col nome di “rivoluzioni colorate”.
In altri casi, ancora più critici dei precedenti, tali scostamenti dalla linea politica dell’atlantismo finanziario possono avvenire in Paesi amici, o nel senso più ampio del termine, “occidentali”.
In questi casi le procedure seguite per richiamarli all’ordine devono essere di altra natura: si ricorre, in linea di massima, a screditarne le classi dirigenti attraverso una serie di operazioni di condizionamento mediatico più o meno fondate.
Si ricordi, ad esempio, il caso italiano conosciuto come “tangentopoli” con cui si esautorò una classe politica che, pur tra molteplici pecche, tutelava una pur embrionale sovranità politica ed economica della nazione.
La “pecora nera” del mondo libero oggi invece si chiama Ungheria. A Budapest, infatti, il nuovo governo del premier Viktor Orbàn ha avuto la sfrontatezza inaudita di… dare al Paese una nuova Costituzione. Nella nuova Carta ungherese, si pensi, il parlamento di Budapest (in cui il partito di governo conta su una maggioranza qualificata tale da poter autonomamente agire sul piano costituzionale) ha posto qualche limitazione allo straripante potere della banca centrale e ha ripristinato un certo controllo pubblico e politico sulla sfera economica attraverso un regime di controllo del debito pubblico. Si badi: non ha nazionalizzato la banca, non ha previsto l’emissione di moneta da parte dello Stato; ha semplicemente previsto una serie di contrappesi legali e di vigilanza politica. Ma neanche questa moderazione è stata gradita agli organismi internazionali, che hanno fatto finire l’Ungheria nel mirino di ogni genere di critica e denigrazione.
Essendo politicamente sconveniente mettere alla berlina un Paese per via del sovrano controllo che questo vuole esercitare sulla sua economia in un momento storico in cui le banche non godono del massimo della considerazione e della stima popolare, hanno ben pensato di tacciare il nuovo governo e la nuova Carta costituzionale ungherese delle peggiori nefandezze che la modernità possa conoscere: razzismo, xenofobia, oscurantismo e via dicendo. Le truppe cammellate della grande informazione sono state mobilitate a piene forze. Hanno iniziato col dire che sarebbe stata prevista la limitazione del potere e dell’autonomia della magistratura, poi che sarebbero state discriminate le minoranze etniche e religiose, poi che la nuova Carta avrebbe promosso l’omofobia, ma sono stati puntualmente smentiti dai contenuti stessi del testo legislativo. Poi il governo ungherese ha dovuto subire gli attacchi concentrici della lobby “abortista”, per essersi permesso di promuovere l’intervento dello Stato nella rimozione delle condizioni sociali che sovente sono alla base delle scelte di interruzione di gravidanza.
Dimostratesi insufficienti queste misure, e constatato che il popolo ungherese anziché ribellarsi al tiranno scendeva in piazza a sostenere un legittimo governo, hanno cominciato ad aggrapparsi ad ogni appiglio: hanno contestato, con orrore, il fatto che la nuova Costituzione di Budapest faccia esplicito riferimento a “Dio”.
Ora, la cosa in sé, a seconda dei punti di vista, può essere considerata di dubbio gusto, di buon gusto o di cattivo gusto; ma quantomeno in dio è possibile crederci, schiere di teologi hanno elaborato migliaia di teorie per dimostrarne l’esistenza. L’articolo 1 della Costituzione italiana, invece, fa esplicito riferimento al “lavoro”, e il fatto che in Italia il lavoro esista non lo potrebbe dimostrare neanche Sant’Agostino.
Non sazi, il nuovo fronte d’azione della destabilizzazione ungherese è quello della libertà di stampa.
Il Corriere della Sera ha dedicato un accorato articolo a una radio locale ungherese, la Klub Radio, che si è vista ridotto il “tiraggio” del segnale a causa di una rassegnazione delle frequenze. Ora, a causa di ciò, sembra che per il Corriere l’Ungheria si sia trasformata del Centrafrica di Bokassa, con tanto di appelli ai “Paesi democratici”. Sulla questione di Klub Radio, inoltre, i destabilizzatori internazionali hanno lasciato una firma inconfondibile, essendo stata patrocinata dall’organizzazione “arancione” Annaviva, che si occupa di… “diritti umani” in Russia.
Nella migliore delle ipotesi, tuttavia, al Corriere della Sera va contestata una certa esterofilia: lo straziante appello dedicato alle emittenti radiofoniche ungheresi, infatti, andrebbe esteso anche a tutta l’editoria e ai giornali italiani che rischiano la chiusura perché privati di ogni sovvenzione pubblica. Ah, già, ma questa è “riorganizzazione dei fondi”, non censura. Mica siamo in Ungheria.

18 Febbraio 2012 1200 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=13254


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