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L' industria dell' olocausto


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Fonte: http://tinyurl.com/lmryn5

ANTEPRIMA Arriva in Italia il libro-scandalo dello storico americano: un duro atto d' accusa contro le speculazioni sul genocidio
Finkelstein: perché denuncio l' industria dell' Olocausto
«Tutto comincia da mia madre e mio padre sopravvissuti ai campi di concentramento»

Pubblichiamo un brano dall' introduzione di «L' industria dell' Olocausto» (Rizzoli, pagine 300, euro 18, da mercoledì in libreria) in cui Norman G. Finkelstein ricostruisce le motivazioni che lo hanno portato a denunciare, come dice il sottotitolo, «lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei». Il mio libro si propone di essere un' anatomia dell' industria dell' Olocausto e un atto d' accusa nei suoi confronti.
Dimostrerò che «L' Olocausto» è una rappresentazione ideologica dell' Olocausto nazista. (Con l' espressione «Olocausto nazista» si fa riferimento all' evento storico, con il termine «Olocausto» alla sua rappresentazione ideologica). Come la maggior parte delle ideologie, mantiene un legame, per quanto labile, con la realtà. L' Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe.
Per meglio dire, l' Olocausto ha dimostrato di essere un' arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di «vittima», e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l' immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano(...). Il mio interesse nei confronti dell' Olocausto nazista prese le mosse da vicende personali. Mia madre e mio padre erano dei sopravvissuti al ghetto di Varsavia e ai campi di concentramento. Tranne loro, tutti gli altri membri dei due rami della mia famiglia furono sterminati dai nazisti. Il mio primo ricordo, per così dire, dell' Olocausto nazista è l' immagine di mia madre incollata davanti al televisore a seguire il processo ad Adolf Eichmann (1961) quando io rientravo a casa da scuola. Anche se erano stati liberati dai campi solamente sedici anni prima del processo, nella mia mente un abisso incolmabile separò sempre i genitori che conoscevo da quella cosa. A una parete del soggiorno erano appese fotografie di parenti di mia madre. (Nessuna foto della famiglia di mio padre sopravvisse alla guerra). In pratica non riuscii mai a mettere in relazione me stesso con quelle facce, men che mai a immaginare quello che era successo (...). Per quanto mi sforzassi, non riuscii mai, nemmeno per un istante, a fare quel salto d' immaginazione che saldava i miei genitori, con tutta la loro normalità, a quel passato. Francamente, non ci riesco neanche ora. Ma il punto più importante è un altro: se si esclude questa presenza spettrale, non ricordo intrusioni dell' Olocausto nazista nella mia infanzia e la ragione principale sta nel fatto che a nessuno, fuori della mia famiglia, sembrava interessare quello che era accaduto. I miei amici di gioventù leggevano di tutto e discutevano appassionatamente degli avvenimenti contemporanei, eppure, in tutta onestà, non ricordo un solo amico (o un suo genitore) che abbia fatto una sola domanda su quello che mia madre e mio padre avevano passato. Non era un silenzio dettato dal rispetto, era semplice indifferenza. Sotto questa luce, non si possono che accogliere con scetticismo le manifestazioni di dolore dei decenni seguenti, quando l' industria dell' Olocausto era ormai consolidata. A volte penso che la «scoperta» dell' Olocausto nazista da parte dell' ebraismo americano sia stata peggiore del suo oblio. I miei genitori continuavano a ripensarci nel loro privato e la sofferenza che patirono non ricevette pubblici riconoscimenti. Ma non fu forse meglio dell' attuale, volgare sfruttamento del martirio degli ebrei? I miei genitori, pur rivivendo giorno dopo giorno il passato fino alla fine della loro vita, negli ultimi anni persero interesse per l' Olocausto come pubblico spettacolo. Uno degli amici di più lunga data di mio padre era stato con lui ad Auschwitz ed era, o almeno sembrava, un incorruttibile idealista di sinistra che per principio rifiutò dopo la guerra il risarcimento tedesco. In seguito divenne un dirigente del museo israeliano dell' Olocausto, lo Yad Vashem. Con riluttanza e sinceramente deluso, mio padre dovette ammettere che perfino un uomo come quello era stato corrotto dall' industria dell' Olocausto, adattando le proprie idee al potere e al profitto(...). Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m' indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia è che è stato usato per giustificare la politica criminale dello Stato d' Israele e il sostegno americano a tale politica. Ma c' è anche un motivo personale. Ho infatti a cuore che si conservi la memoria della persecuzione della mia famiglia. L' attuale campagna dell' industria dell' Olocausto per estorcere denaro all' Europa in nome delle «vittime bisognose dell' Olocausto» ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo. Ma anche tralasciando queste preoccupazioni, resto convinto che sia importante preservare l' integrità della ricostruzione storica e lottare per difenderla. Alla fine del mio libro sostengo che nello studio dell' Olocausto nazista possiamo imparare molto non solamente riguardo ai «tedeschi» o ai «gentili», ma a noi tutti. Eppure penso che per fare questo, cioè per imparare sinceramente dall' Olocausto nazista, occorra ridurre la sua dimensione fisica ed enfatizzarne quella morale. Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo non alla sofferenza degli ebrei, ma all' accrescimento del loro prestigio. E' da tempo che dobbiamo aprire il nostro cuore alle altre sofferenze dell' umanità: questa è la lezione più importante impartitami da mia madre. Non l' ho mai sentita dire: «Non fare paragoni». Lei li fece sempre. Certo si devono fare distinzioni storiche, ma porre distinzioni morali fra la «nostra» sofferenza e la «loro» è a sua volta un travisamento morale. «Non potete mettere a confronto due sventurati» osservò Platone «e dire quale dei due sia più felice». Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre fu sempre: siamo tutti vittime dell' Olocausto. Norman G. Finkelstein

Finkelstein Norman

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L'INDUSTRIA DELL' OLOCAUSTO SBARCA ALL'UNIVERSITA' DELL' ILLINOIS

Fonte: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=899
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Wall Street e le fonti finanziarie del Nazionalsocialismo
di Roberto De Mattei, dalla rivista "Cristianità" nr. 28-30 del 1977

Troppo spesso gli storici sembrano dimenticare le origini anche finanziarie dei movimenti e delle organizzazioni politiche di cui affrontano lo studio. La letteratura così abbondante, e talvolta inutile, fiorita attorno ai due maggiori fenomeni rivoluzionari di questo secolo - il comunismo e il nazionalsocialismo -, è estremamente avara di elementi in proposito; e la negligenza appare tanto singolare da essere sospetta, quando tale studio lascia emergere imprevedibili e sconcertanti ascendenze finanziarie convergenti tra realtà politiche e culturali che si vorrebbero irriducibilmente antitetiche. Più esplicitamente: alla nascita e allo sviluppo del nazional-socialismo risultano strettamente legati gli stessi uomini e gruppi finanziari che offrirono il sostegno economico decisivo alla Rivoluzione d'Ottobre.

IL SUPERCAPITALISMO
INVADE L'ECONOMIA DI WEIMAR
Va premesso che al prof. Sutton mancano le grandi linee del quadro che vede lo scontro decisivo della nostra epoca nella lotta tra le forze della Rivoluzione e quelle della Contro-Rivoluzione (2). Ma il pregio della sua opera è costituito dalla serietà documentaria, dal rigore scientifico, dal tono equilibrato, dalla prudenza nel giudizio: qualità assolutamente necessarie per affrontare problemi tanto facilmente fuorvianti. Le pagine di Sutton offrono dunque un contributo circoscritto ma prezioso alla storia "occulta" dell'espansione rivoluzionaria nel nostro secolo. Nella prima parte del suo volume lo studioso americano dimostra che l'ascesa del nazionalsocialismo, il suo consolidamento e il suo stesso imponente sforzo bellico sono strettamente legati all'assistenza economica e tecnologica offerta fin dagli anni Venti da Wall Street alla Repubblica di Weimar.
Wall Street organizzò, non disinteressatamente, i due programmi di prestiti noti sotto i nomi di "piano Dawes" (1924) e "piano Young" (1928). Non a caso, osserva Sutton, i negoziati per la "ricostruzione" videro al tavolo delle trattative, da una parte banchieri come Charles Dawes e Owen Young, notori esponenti dell'Establishment supercapitalista, dall'altra il presidente della Reichsbank Hjalmar Horace Greeley Schacht (3). legato all'Establishrnent da vincoli familiari, l'uomo che si rivelò il "legame chiave tra l'élite di Wall Street e il circolo più chiuso di Hitler" (4).

Accanto a quello dei "cartelli" tedeschi, non va dimenticato il ruolo delle multinazionali americane, come la General Electric, la Standard Oil of New Jersey è la International Telephone and Telegraph (l.T.T.). La General,Electric, che controllava in Germania la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (A.E.G.) e la Osram, negli stessi anni in cui si assicurava il monopolio della produzione elettrica sovietica, offriva il suo contributo determinante allo sviluppo dell'industria elettrica nazional-socialista. La Standard Oil of New Jersey assicurava all'industria nazionalsocialista la sua assistenza per la produzione della benzina sintetica, che avrebbe risolto gran parte dei problemi logistici tedeschi durante la guerra; la I.T.T., oltre a una partecipazione di quasi il 30% nell'industria aeronautica Focke-Wolfe, alla quale si devono alcuni tra i migliori aerei da combattimento tedeschi della seconda guerra mondiale,attraverso il banchiere nazional-socialista Kurt von Scröder, che curava gli interessi della multinazionale americana in Germania, finanziò regolarmente, dal 1932 al 1944, lo stesso Himmler e l'ambiente economico legato alle SS.
Fino al 1944 gli stabilimenti dell'A.E.G. e delle altre industrie collegate con le multinazionali americane (Sutton riporta statistiche ed esempi, come gli impianti dell'A.E.G. a Koppelsdorf o a Norimberga)furono misteriosamente risparmiati; con l'ovvia conseguenza di un continuo incremento della produzione elettrica tedesca.

In tutto, un totale di tre milioni di marchi, sottoscritto da importanti imprese e uomini di affari tedeschi, ma soprattutto dalle multinazionali tedesco-americane, fu versato,attraverso la Delbruck Schickler Bank, al Nationale Treuhand,amministrato da Rudolf Hess e da Hjalmar Schacht. Lo stesso Schacht aveva organizzato lo storico incontro del 20 febbraio 1933, in casa di Goering, allora presidente del Reichstag, in cui Hitler aveva presentato i suoi piani agli esponenti dell'alta finanza tedesca. La maggiore sovvenzione (circa il 30% del totale) fu versata dall'I.G.Farben:500 mila marchi, a cui si possono aggiungere altri 200 mila marchi,versamento personale di un suo dirigente, A. Steinke della Bubiag. Vale la pena ricordare che l'I.G. Farben, creata da Herman Schmitz nel 1925 grazie ai prestiti americani, contava tra i suoi dirigenti negli Stati Uniti alcuni tra i più influenti uomini di Wall Street, come Edsel B. Ford della Ford Motor Company, C. E. Mitchell della Federal Reserve Bank di New York e Walter Teagle, della Federal Reserve Bank di New York e della Standard Oil Company of New Jersey,amico e consigliere del presidente Roosevelt.
Ma il capitolo più interessante del volume di Sutton è forse quello dedicato a un misterioso volumetto su Le fonti finanziarie del nazional-socialismo (7)apparso in Olanda nel 1933 sotto il nome di Sidney Warburg e poi improvvisamente scomparso dalla circolazione. Sutton è riuscito a rintracciarne una delle sole tre copie apparentemente sopravvissute e ce ne offre un articolato riassunto. Il libro, che si presenta come una sorta di "diario" di un esponente di Wall Street deluso dagli intrighi del mondo supercapitalista, è diviso in tre capitoli, rispettivamente intitolati "1929", "1931" e "1933".

Il primo descrive una riunione segreta dell'alta finanza, americana svoltasi nel giugno del 1929.
Il problema sul tappeto era quello delle pesanti richieste francesi di riparazioni di guerra che ostacolavano la cooperazione economica tra la Repubblica di Weimar e Wall Street. Secondo i presenti, per liberare la Germania dal ricatto economico francese si sarebbe dovuto ricorrere a una rivoluzione,comunista o nazionalista. In una riunione successiva si optò per la seconda soluzione e a un giovane banchiere israelita presente, "Sidney Warburg", venne affidato l'incarico di stabilire un contatto con l'uomo politico prescelto: Dopo alcune difficoltà iniziali,riuscì a incontrare Hitler a Monaco. Wall Street offrì al leader nazional-socialista, tramite Warburg, dieci milioni di dollari. La somma fu pagata attraverso la banca Mendelsohn di Amsterdam, che emise assegni in marchi incassati da dirigenti nazionalsocialisti in dieci diverse città tedesche.
Qualche settimana dopo la stampa americana cominciò a interessarsi del nazionalsocialismo e il New York Times iniziò a pubblicare regolarmente brevi resoconti sui discorsi di Hitler (8). Il secondo capitolo del libro descrive un'altra riunione dell'alta finanza,svoltasi nell'ottobre 1931 in seguito a una richiesta di aiuto economico dello stesso Hitler. Le opinioni, questa volta, furono discordanti. Mentre alcuni finanzieri (tra cui Rockefeller) si dimostrarono favorevoli alla nuova sovvenzione, altri, tra cui Montagu Norman della Banca d'Inghilterra,si dissero contrari, sostenendo che Hitler non sarebbe mai riuscito a impadronirsi del potere. Fu stanziato, tuttavia, un nuovo finanziamento e Warburg riprese la strada della Germania. A Warburg Hitler disse che si presentavano per il suo movimento due possibili vie di conquista del potere: una via rivoluzionaria, che avrebbe avuto bisogno di tre mesi di tempo e sarebbe costata 500 milioni di marchi, e una via legale,che avrebbe richiesto tre anni e 200 milioni di marchi. Wall Street preferì la seconda via, assicurando un finanziamento di 15 milioni di dollari, pagati anche in questo caso da banche diverse, in città diverse, per disperderne ogni traccia.

Il terzo capitolo del libro riferisce l'ultimo incontro di Warburg con Hitler,la notte dell'incendio del Reichstag. Hitler informò il suo interlocutore dello sviluppo del suo partito e chiese un nuovo finanziamento di 7 milioni di dollari, pagato attraverso i consueti canali.Fin qui il contenuto del volume, che si conclude con note amare sul mondo di Wall Street e sul futuro di Hitler da parte del presunto Sidney Warburg. Dico "presunto" perché, poco dopo l'apparizione dei libro, il 24 novembre 1933, una nota sul New York Times smentì categoricamente che l'autore delle pagine fosse Felix Warburg o altro appartenente alla nota famiglia di banchieri tedesco-americani. L'"inesistenza" dell'autore fu, apparentemente, il motivo che portò al ritiro dalla circolazione del volume, la cui storia non è comunque esaurita.L'apparizione, dopo la guerra, di due libri, Spanischer Sommer (9) di René Sonderegger e Lieber Euere Feinde (10) di Werner Zimmermann, in cui si rievocava il misterioso volumetto, provocò una nuova
reazione dei Warburg. James Paul Warburg, figlio di Paul, in un affidavit, in una testimonianza giurata pubblicata in appendice alle Memorie di Franz von Papen (11), pur ammettendo di conoscere il volumetto solo dal resoconto di Sonderegger e Zimmermann, smentì nuovamente l'esistenza dell'autore e il presumibile contenuto.A questo punto però, anche ammesso che Sidney Warburg non sia mai esistito, il che è probabile, resta straordinaria attinenza dei particolari rivelati nel libro, certamente sconosciuti al grande pubblico nel 1933, con risultati delle ricerche di Sutton. Resta, osserva lo stesso Sutton,"l'incontrovertibile evidenza che alcuni Warburg, compreso il padre di James Paul [...] furono dirigenti dell'I.G. Farben e si sa che la I.G. Farben ha finanziato Hitler. Se Sidney Warburg è un mito, i direttori della Farben Max e Paul Warburg non lo sono" (12). Resta, infine, il mistero, osserva ancora Sutton, del motivo per cui un ebreo come James Paul Warburg abbia deciso di smentire a quindici anni della sua apparizione, un libro che afferma di non avere letto, scegliendo come veicolo proprio le memorie di un noto gerarca nazional-socialista come von Papen (13).
Va aggiunto, a titolo informativo, un particolare ricordato da Sutton.

LA CHIAVE NELLE ORIGINI "ESOTERICHE" DEL NAZIONALSOCIALISMO?

La lettura del libro di Sutton stabilisce alcune certezze e pone molti interrogativi. Le certezze sono le conclusioni di Sutton: il socialismo sovietico, il New Deal socialista e il nazionalsocialismo, versioni diverse del collettivismo moderno, furono finanziati da uno stesso "clan" supercapitalista. Gli interrogativi riguardano le vere origini, la natura e i reali fini di questo "clan", che sembra inadeguato ridurre a una personificazione dei "profitto" nei tempi moderni. Lo stesso Sutton,nella prefazione al suo volume, ci offre tuttavia uno spiraglio, scrivendo che il ruolo di questa élite finanziaria dovrebbe essere esaminato in rapporto a un aspetto del nazionalsocialismo nei confronti del quale confessa la sua incompetenza: le origini "mistiche" ed "esoteriche". "Un elemento tanto importante - sottolinea Sutton - quanto quello delle origini finanziarie " (15).
L'affermazione colpisce proprio perché proveniente da uno scrittore così poco incline, per mentalità, a questo tipo di interessi e offre nuovi e inconsueti stimoli agli storici vogliano fare luce sul vero volto dei fenomeni rivoluzionari del nostro tempo.

ROBERTO DE MATTEI


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