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Scene di vita dal sottosuolo dell’Ucraina


Tao
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Illustrious Member
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DONETSK, 15.4.2015

Ucraina. Da Donetsk a Debaltseve, viaggio negli scantinati dei rifugiati, nella nuova vita degli ultranazionalisti, tra fratture religiose e i fantasmi di una guerra europea

Si cam­mina lenti, un passo alla volta, gli occhi posati a terra. Quel che resta dell’aeroporto di Done­tsk è un’indecifrabile palude di ferro, basta un sof­fio a sol­le­vare migliaia di letali fram­menti.
Il bat­ta­glione Soma­lia c’è entrato que­sta mat­tina, per dare il cam­bio alle unità dello Sparta. Truppe d’assalto coman­date dal capi­tano Mikhail Tol­stykh, nome di bat­ta­glia «Givi». Spa­valdo, corpo sot­tile, ori­gi­na­rio — si dice — dell’Abkazia, è il signore incon­tra­stato di que­sta terra di nes­suno, in cui cada­veri e mace­rie si mesco­lano in un’unica forma contorta.

A fran­tu­mare la resi­stenza dei corpi spe­ciali ucraini asser­ra­gliati nell’aeroporto ci ha pen­sato lui, con­cen­trando per mesi il fuoco dei suoi arti­glieri sulle posi­zioni nemi­che. Dal 9 feb­braio di quest’anno un decreto restrit­tivo a firma di Patri­zia Moghe­rini san­ci­sce che il coman­dante Givi è per­sona non grata in tutto il ter­ri­to­rio dell’Unione Europea.
Foto di Ugo Borga Foto di Ugo Borga

Dal primo giorno

Sasha e Dimi­tri com­bat­tono nel Soma­lia dall’inizio del con­flitto. «Gli ucraini pro­vano a entrare tutti i giorni» dicono indi­cando gli ultimi arrivi. Quel che resta di un mis­sile Grad, la coda d’un pro­iet­tile di mor­taio.
Cre­sciuti nello stesso quar­tiere di Done­tsk, gri­gio come la pol­vere delle miniere che divora i pol­moni dei loro padri, insieme si sono arruo­lati nei ran­ghi del bat­ta­glione separatista.

I corpi dei Cyborg, i sol­dati ucraini che hanno com­bat­tuto la bat­ta­glia più atroce, e non ancora con­clusa, di que­sta guerra, giac­ciono a cen­ti­naia, sepolti da ton­nel­late d’acciaio e cemento. Impos­si­bile recu­pe­rarli, in que­ste condizioni.

Il ces­sate il fuoco appare quanto mai fra­gile. La recente nomina di Dmi­tro Yarosh, lea­der del Pravy Sek­tor, l’organizzazione ultra­na­zio­na­li­sta ucraina che ha soste­nuto il peso mili­tare nelle gior­nate di piazza Mai­dan, a con­si­gliere mili­tare del Gene­rale Vik­tor Muz­henko, coman­dante in capo delle forze armate ucraine, uni­ta­mente all’approvazione della nuova legge che equi­para il nazio­nal­so­cia­li­smo e il comu­ni­smo, vie­tan­done i sim­boli, evi­den­ziano una deter­mi­na­zione tutta nuova della Rada, il par­la­mento ucraino, riguardo alla que­stione separatista.

Sul campo va peg­gio

Sul ter­reno va peg­gio. Posi­zioni di arti­glie­ria sman­tel­late da ambo le parti in osse­quio alle indi­ca­zioni di Minsk sono tor­nate al loro posto, senza il cla­more con cui è stato salu­tato il loro allon­ta­na­mento. Amne­sty Inter­na­tio­nal denun­cia l’esecuzione di almeno 4 pri­gio­nieri ucraini da parte delle forze armate delle repub­bli­che separatiste.

Secondo Toro, nome di bat­ta­glia di un volon­ta­rio spa­gnolo arruo­lato nel bat­ta­glione Vostok per «difen­dere i valori del comu­ni­smo e com­bat­tere con­tro il capi­ta­li­smo occi­den­tale», la tre­gua — peral­tro costan­te­mente vio­lata– è stata utile a entrambe le parti per pre­pa­rarsi a una nuova offen­siva. Il capi­tano Kor, ex impren­di­tore ucraino, si dice con­vinto che il pros­simo ura­gano di fuoco inve­stirà Mariu­pol.
Alì, afghano natu­ra­liz­zato russo, per sua stessa ammis­sione sol­dato di mestiere, cita la stessa Odessa. Pro­pa­ganda, certo. Ma non solo. A Kar­khov la ten­sione resta alta. Il rischio di nuovi atten­tati, annun­ciati in video e poi com­piuti, è tutt’altro che lontano.

L’apparato mili­tare nelle repub­bli­che sepa­ra­ti­ste è impres­sio­nante. Un rap­porto recen­te­mente dif­fuso dal Rusi (Royal Uni­ted Ser­vi­ces Insti­tute) indica come certa la pre­senza, nel Don­bass, di circa 10.000 sol­dati russi dal dicem­bre del 2014, men­tre unità di reparti spe­ciali (Spet­naz) sareb­bero ope­ra­tive nella regione già da Luglio.

La dispo­ni­bi­lità di mezzi coraz­zati, arti­glie­ria pesante e muni­zioni, così come l’organizzazione pun­tuale dei sei bat­ta­glioni che ope­rano nelle repub­bli­che della Novo­ros­siya e le capa­cità bel­li­che espresse nel corso dell’assedio della cit­ta­dina di Debal­tseve, impor­tan­tis­simo snodo fer­ro­via­rio, ren­dono molto dif­fi­cile cre­dere che sia tutta opera di volon­tari, il cui apporto, secondo lo stesso report, non supe­re­rebbe il cin­quanta per cento delle unità com­bat­tenti tra le fila dei prorussi.

Ceceni, ame­ri­cani, fran­cesi, ita­liani com­bat­tono nei vari bat­ta­glioni. Vete­rani di altri con­flitti, dalla Cece­nia alla Bosnia. Mer­ce­nari? Molto dif­fi­cile sta­bi­lirlo con cer­tezza. Tutti affer­mano di essere sem­plici volon­tari. La guerra d’Ucraina è una matrio­ska. Nel suo ven­tre acco­glie decine di guerre fra­tri­cide che testi­mo­niano della disin­te­gra­zione di una civiltà, quella euro­pea, ostag­gio di con­flitti mai del tutto sopiti e nuove lan­ci­nanti contraddizioni.

L’ospedale Numero 3 di Done­tsk, quar­tiere Kie­vki, è un ammasso con­torto di detriti e lamiere. Si alzano in volo tra­spor­tate dal vento, atter­rano con un gemito metal­lico nel piaz­zale deserto.

La vita con­ti­nua nei suoi sot­ter­ra­nei. Anya e Ale­xan­der, 62 e 65 anni, hanno tro­vato rifu­gio in una can­tina. Soprav­vi­vono gra­zie agli aiuti ali­men­tari che arri­vano dalla Rus­sia in lun­ghi con­vo­gli. Una can­dela rischiara le pareti di mat­toni anne­riti dall’umidità, un tozzo di pane, una tanica d’acqua, un’icona religiosa.

Scan­ti­nati e sot­ter­ra­nei

A scal­darli devono bastare le coperte. Niente acqua e cor­rente elet­trica. L’uscita è par­zial­mente ostruita da casse di pro­iet­tili di mor­taio. Un carro armato pre­si­dia il piaz­zale, cir­con­dato da sac­chi di rena. Sono circa novanta le fami­glie di Kie­vki e Petro­vka a vivere ancora nei bui sot­ter­ra­nei dei palazzi disa­bi­tati. Marika, 45 anni, con­di­vide una stanza di due metri per due con i tre figli e un gatto. Non ha una casa a cui tor­nare. La sua è stata sven­trata da un grad.

«Abbiamo biso­gno del sup­porto di psi­co­logi per supe­rare tutto que­sto. La sola idea di uscire da que­sto rifu­gio mi è insop­por­ta­bile». Il 2 marzo 2015 l’alto com­mis­sa­riato per i diritti umani ha dif­fuso un rap­porto secondo il quale i morti sareb­bero molti più dei 6.000 dichia­rati. Oltre un milione e 250 mila gli sfollati.

Tor­ture, seque­stri, bom­bar­da­menti deli­be­rati su zone abi­tate da civili: cri­mini di guerra sareb­bero stati com­messi da entrambe le parti. Fonti mili­tari sepa­ra­ti­ste affer­mano che i sol­dati ucraini uccisi in com­bat­ti­mento sono 19.000, pari a circa dieci volte le per­dite regi­strate tra le loro fila. Gli osser­va­tori dell’Osce si muo­vono sul ter­reno con grande dif­fi­coltà. Impos­si­bile, come in ogni guerra, indi­vi­duare il con­fine tra pro­pa­ganda e verità.

Emer­gono dalla neb­bia come fan­ta­smi. Figure indi­stinte di sol­dati che avan­zano lente, aggi­rando cir­co­spette i cra­teri nell’asfalto. Solo a pochi passi ne distin­gui le fat­tezze. Barbe lun­ghe su volti tirati, spor­chi. Lo schianto d’una can­no­nata in par­tenza non basta a scuo­terli. Oltre il muro di sac­chi di sab­bia un uffi­ciale s’avvicina.

«Seguite la via prin­ci­pale, vi por­terà nel cen­
tro della città. Ma non uscite dalla strada e non entrate nelle abi­ta­zioni. È tutto minato».

I resti di Debal­tseve

Di Debal­tseve non restano che le orbite vuote di palazzi disfatti. Dif­fi­cile scor­gere abi­ta­zioni che non siano state danneggiate.

Due carri ucraini schian­tati da pro­iet­tili di grosso cali­bro giac­ciono accanto a un bosco di cui non riman­gono che sche­le­tri anne­riti dalle fiamme. In piazza Lenin una tren­tina di per­sone si mette in coda per rice­vere un po’ di cibo, cari­care i cel­lu­lari al ron­zio distur­bante d’un gene­ra­tore a gasolio.

Un pastore russo orto­dosso in tenuta mili­tare si aggira tra la gente, seguito da un sol­dato. Tra­sporta un’icona appesa al collo, appog­giata sul ven­tre. I corpi si pie­gano, baciano il santo. Non una parola. Bastano gli sguardi.

Più che uno spon­ta­neo atto di devo­zione, il neces­sa­rio tri­buto ai nuovi padroni. Dei 30.000 abi­tanti ne sono rima­sti circa 3.000. Un solo medico. Riceve in quel che resta dell’ospedale, la sala d’aspetto dell’ambulatorio abi­tata da cani ran­dagi. Manca tutto. Medi­cine, cor­rente elet­trica. Si vive anche in dodici in una stanza, e spesso le stanze non sono che can­tine ingom­bre di brande e coperte che pos­sono tra­sfor­marsi in trap­pole letali. Oltre cin­que­cento civili vi hanno tro­vato la morte nel corso dei bombardamenti.
Foto di Ugo Borga Foto di Ugo Borga

Nuova vita

Insieme alla guerra per Dasha è ini­ziata una nuova vita. Ope­raia in accia­ie­ria, ora coor­di­na­trice logi­stica di un bat­ta­glione del Pravy Sec­tor a Dni­pro­pe­tro­vsk.
«Se non avessi due figli sarei al fronte, con gli altri». Molti degli «altri» sono mili­tari dell’esercito ucraino usciti dai ran­ghi per con­fluire in que­sto bat­ta­glione di volon­tari ultra­na­zio­na­li­sti. Corpi spe­ciali, per­lo­più. Non si fidano dei gene­rali. Troppo pru­denti, poco com­bat­tivi, com­pro­messi con il regime russo.

«I veri nemici li abbiamo alle spalle, sono i nostri coman­danti», dice Ivan, 33 anni, sol­dato di mestiere. Molti gli stra­nieri. Ceceni, polac­chi, fran­cesi. Russi, come Juri, 28 anni, ex Fsb ( i ser­vizi segreti). È qui per com­bat­tere con­tro il regime di Putin. «Al fronte non ci sono russi. Ci sono solo sovie­tici». Per con­ti­nuare la lotta hanno sac­cheg­giato i musei mili­tari. Mostrano pistole e fucili degli anni 60, le stesse che usano al fronte.

Del ces­sate il fuoco pen­sano una cosa sol­tanto: se ne par­lerà quando l’intero ter­ri­to­rio ucraino sarà stato ricon­qui­stato, Cri­mea com­presa. Allora, forse, sarà neces­sa­ria un’altra Mai­dan per slog­giare gli oli­gar­chi filoa­me­ri­cani che hanno preso il posto di Janu­ko­vich. Il con­cetto è chiaro: né con la Rus­sia né con l’Unione Euro­pea. L’Ucraina deve cono­scere una piena indi­pen­denza.
Masha è fug­gita a Kiev. Vive con il marito e due figli in un cen­tro che prima della guerra ospi­tava malati e tos­si­co­di­pen­denti. Ora acco­glie gli sfol­lati delle regioni orien­tali. Se anche la guerra finisse, a Slo­viansk non tor­ne­rebbe più. «Ho paura. Dei vicini di casa, di coloro che rite­nevo amici e si sono dimo­strati il con­tra­rio. Siamo di fede pro­te­stante. I sepa­ra­ti­sti hanno chiuso tutte le chiese con l’eccezione di quelle russo ortodosse.

Hanno seque­strato e ucciso il nostro pastore e i suoi due figli, Alberto e Ruvym Paven­kov. Li hanno get­tati in una fossa comune. Ci con­si­de­ra­vano spie».

Nazio­na­li­smo e orto­dos­sia russa sono legati a dop­pio filo, due facce della stessa meda­glia. Le recenti dichia­ra­zioni del Patriarca di Kiev, Fil­le­ret, secondo il quale in Ucraina è in corso una guerra non dichia­rata, testi­mo­niano di una pro­fonda frat­tura anche tra le auto­rità religiose.

La cica­trice sul collo di Zaur è fre­sca, i bordi irre­go­lari. È l’unico a non muo­vere un passo quando i kalash abba­iano spo­ra­di­che raf­fi­che. Ceceno arruo­lato nel Vostok, com­batte nel Don­bass dall’inizio della guerra.

Nella sua com­pa­gnia la mag­gior parte dei com­bat­tenti sono ucraini del Don­bass. Quasi tutti ex mina­tori, nuovi al mestiere delle armi. Ripe­tono tutti iden­ti­che parole.

Nes­suno di loro con­si­dera que­sta guerra una guerra civile. Com­bat­tono con­tro il fasci­smo neo­li­be­ri­sta e finan­zia­rio dell’occidente, con­tro l’aggressione della Nato alla madre­pa­tria Rus­sia. La verità è assai più com­plessa. Che nel Don­bass si fron­teg­gino due fasci­smi con­trap­po­sti, ma in fondo iden­tici, è un dub­bio che al fronte nes­suno si può permettere.

Ugo Lucio Borga, Loredana Taglieri
Fonte: http://ilmanifesto.info/
Link: http://ilmanifesto.info/memorie-dal-sottosuolo-dellucraina/
15.04.2015


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1Al
 1Al
Honorable Member
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Post: 633
 

In effetti se guardiamo bene alla situazione, questa guerra è proprio una guerra contro il folle capitalismo ultra liberista, da parte di chi questo modello di vita non lo accetta e lo disprezza, com'è giusto che sia. Per ora una guerra di dimensioni ristrette, ma di grande significato. Se poi si estenderà a tutta l'Europa ed oltre ora non possiamo saperlo. Rimane il fatto che ormai i mercenari della nato, ormai direttamente coinvolti nella guerra, sono sempre più vicini ai confini della Russia.


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Vimeno2
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10000 soldati russi, ok sono già stufo....


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Anonymous
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Registrato: 2 anni fa
Post: 30947
 

"Nes­suno di loro con­si­dera que­sta guerra una guerra civile. Com­bat­tono con­tro il fasci­smo neo­li­be­ri­sta e finan­zia­rio dell’occidente, con­tro l’aggressione della Nato alla madre­pa­tria Rus­sia. La verità è assai più com­plessa. Che nel Don­bass si fron­teg­gino due fasci­smi con­trap­po­sti, ma in fondo iden­tici, è un dub­bio che al fronte nes­suno si può permettere".

Due eroici "antifascisti" corrispondenti del Mainfesto che, dall'alto della loro sicura fede democratica, garantita dal vivere in Europa, risconoscono a occhio i "due fascismi contrapposti".


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