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The Irishman, ovvero: gerontocrazia


Davide
Membro
Registrato: 3 anni fa
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La storia inizia in un reparto geriatrico. E continua lì per tutta la pellicola, anche spaziando da una costa all’altra degli States. Sì perché la geriatria è il filo dominante dell’ultimo film di Martin Scorsese, The Irishman, di nuovo un mafia movie, un sotto genere che ha caratterizzato Scorsese come regista dell’epica italo-americana, al pari di Francis Ford Coppola con la saga del Padrino.

Quello che non regge è l’uso di mostri sacri come De Niro e Joe Pesci al giro di boa della quarta età che nel flashback non cambiano affatto di sembianze, rendendo poco credibili i personaggi. Si salva Al Pacino che resta nel passato con due bei colpi di pistola.

Con The Irishman non abbiamo più il ritmo incalzante di Goodfellas, Quei bravi ragazzi, o il melodramma familiare ai limiti dell’erotismo spinto di Casinò, con protagonista una Sharon Stone dissoluta e ondivaga. C’è un De Niro che fa il naufrago nella perenne vita di mezza età sin dall’inizio, e che sembra provenire da un’altra sceneggiatura: quella di C’era una volta in America di Sergio Leone, alla ricerca di un sogno che non è più personificato dalla bella Elizabeth McGovern, ma di un’impossibile armonia tra il suo desiderio di non dover più sparare in testa alla gente e tutte le sue amicizie mafio-sindacali che vanno a posto come in un tetris ben riuscito.

CONTINUA QUI https://www.carmillaonline.com/2019/12/14/the-irishman-di-martin-scorsese/


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