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All'asta ultima lettera moglie di Moro


helios
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Intervista alla primogenita del presidente democristiano ucciso 34 anni fa. "Se hanno messo all’asta i volantini delle Br, non posso farlo con l’ultima lettera di mia madre? Voglio farlo per provocare le coscienze". Leggi la lettera originale (PDF)

ALL'ASTA L'ULTIMA LETTERA DELLA MOGLIE DI MORO

Stefania Limiti "Perché ti stupisci? Se hanno messo all'asta i volantini delle Br, non posso fare la stessa cosa con l'ultima lettera di mia madre? Voglio farlo per provocare le coscienze, visto che non abbiamo ancora la verità".
Maria Fida Moro, primogenita del presidente della Dc rapito il 16 marzo del 1978, assassinato cinquantacinque giorni dopo, il 9 maggio, da mani ancora oggi in gran parte oscure, non ce la fa a stare in silenzio.
Dall'esilio trentino, dove si è auto-confinata con l'amatissimo figlio Luca, manda a dire che proverà a vedere se interessi a qualcuno l'acquisto della minuta della missiva che la vedova di Aldo Moro, Eleonora Chiavarelli, ha scritto nel gennaio del 2006 ai suoi quattro figli per dire cose privatissime ma anche cose pubbliche.
"E' proprio così", mi spiega durante una lunga conversazione, direi 'serena' se non conoscessimo il tormento che accompagna la mia interlocutrice da oltre trent'anni. "Il contenuto di quella lettera non riguarda solo la nostra famiglia, purtroppo è un capitolo del caso Moro".
In effetti, pare che la stessa Eleonora Moro abbia fatto in modo che altri conoscessero il suo pensiero, anche se ai fratelli di Maria Fida non è piaciuta affatto l'idea di dare pubblicità alla lettera-testamento che la madre gli ha scritto.
Ma quel giorno nello studio dell'avvocato c'erano solo la signora Moro, Maria Fida e Luca. L'originale del documento è stato dato in custodia all'avvocato, con la disposizione di darne solo una copia a ciascun figlio alla sua morte, la minuta fu consegnata a Maria Fida: "mia madre mi chiese poi di farne cinque copie. Non ho idea a chi l'abbia date, era una persona alla quale si chiedevano spiegazioni delle sue scelte". E la lettera è poi venuta in possesso di alcuni conoscenti della famiglia Moro ai quali non l'ha data Maria Fida: gli è arrivata attraverso persone che davano seguito alla volontà della vedova, come abbiamo potuto verificare. Un aspetto importante di una vicenda non solo privata, dunque.
Dice Maria Fida che vorrebbe emigrare in un'altra galassia perché su questa terra non c'è giorno da trentaquattro anni che lei non debba fare i conti con l'assassinio di suo padre, con le responsabilità della Democrazia cristiana, quelle di tutto il sistema politico e non solo italiano, quelle delle Brigate rosse e della sua stessa famiglia, quelle di chi è rimasto sconosciuto, dietro le quinte. "Una volta ero seduta su un sasso nel deserto dell'Arizona, mentre mi guardavo intorno passa un tipo che mi riconosce e mi fa: 'ha saputo? Oggi in Italia è stata ritrovata la Skorpion con cui hanno ammazzato suo padre'...".
Non è solo la persecuzione del dolore. Questo è un fatto naturale e davvero privato. Forse Maria Fida oggi nella calma delle valli trentine, ancora più di un tempo, quando la vita politica e la quotidianità cittadina la facevano girare a mille, riesce a trasmettere con maggiore lucidità il dramma di una famiglia impotente che è finita, con le sue divisioni, sul grande schermo su cui è stato proiettato il film del caso Moro. Vorrebbe uscire da quello schermo ma da sola non può. Le chiedo: Perché non sei andata al funerale di tua madre? È stata una scelta così estrema, notata da molti, difficile da capire. "Sì, è vero, ma posso spiegarla. Non è stata una mia decisione. Quel giorno, tornando dallo studio dell'avvocato romano dove mia madre aveva firmato la lettera per i suoi figli, proprio lei ha fatto giurare a mio figlio e a me che non saremmo andati a darle l'ultimo saluto. Era molto credente, come è noto, e chiedendoci di giurare ha voluto chiamare Dio come testimone della promessa che le abbiamo fatto".
Quale è stato il gesto simbolico più forte di tua madre? "Sicuramente quello di pregare in ginocchio davanti ai cadaveri degli uomini della scorta di mio padre. E' stato il gesto che ha aperto la sua vita di vedova di Aldo Moro, una vita nella quale non ha mai più avuto pace, come tutti noi. Un'altra volta ha pregato in ginocchio davanti a me".
In che occasione? "Era il giorno dei funerali degli uomini della scorta, il quinto giorno del rapimento di mio padre. Mi chiedeva di andarmene di casa, come ho già ricordato perché sicuramente non avrei sopportato la presenza invadente delle persone del Movimento Fabbraio 74, al quale i miei due fratelli minori avevano aderito. Alcune persone del Movimento avevano 'occupato' la nostra casa e potrebbero aver indirizzato, condizionato, i comportamenti della famiglia Moro. Io non avrei sopportato tutto questo: io avrei fatto quello che chiedeva mio padre, andare in Tv, agire a tutti i livelli perché l'opinione pubblica imponesse a chi non voleva la via della trattativa per liberare mio padre. Mio padre detestava quelli di Febbraio '74 ed è una ironia del destino che alcuni di loro stavano in casa nostra proprio mentre altri decidevano la sua sorte".
Il tema è toccato effettivamente in uno dei passaggi più 'politici' e significativi della lettera di Eleonora Moro ai figli, quando scrive che lo studio del marito di via Savoia "è stato occupato arbitrariamente da Giovanni Moro e dai componenti del 'Febbraio 74', provvedendo addirittura a sostituire la serratura della porta". Tutto questo, scrive la vedova Moro ha comportato il "gravissimo danno morale con l'impossibilità di prendere visione di documenti contenuti nell'archivio".
Moro temeva furti nello studio, tanto che aveva fatto mettere i vetri blindati poche settimane prima del rapimento, un'accortezza che non ha impedito la sottrazione di documenti dal suo archivio, come scrissero i due giornalisti Antonio Padellaro e Roberto Martinelli nel loro libro sul delitto Moro.
Ma cosa rappresentava il movimento Febbraio 74? Fu il braccio politico del cardinale vicario di Roma Ugo Poletti che in famoso convegno sui "mali di Roma", svolto proprio in quella data, due anni dopo la vittoria del Pci alle comunali, cercò di recuperare le forze disgregate dell'anticomunismo per contrastare un percorso ritenuto pericoloso per il paese. Tanto quanto riteneva pericolosa la linea politica di Aldo Moro: tra i sostenitori di Ugo Poletti - che, secondo quanto scrive la giornalista Raffaella Minardi, aveva potere perché in passato era riuscito a ricattare l'arcivescovo di Milano e futuro Papa, Giovanni Montini - c'era anche Giovanni, il figlio del presidente della Dc, di qui la frequentazione di casa Moro da parte di alcuni esponenti del movimento. Forse, proprio alla militanza di Giovanni con Febbraio 74 si riferisce lo statista quando scrive dal carcere del popolo la lettera recapitata l'8 aprile: "Naturalmente non posso non sottolineare la cattiveria di tutti i democristiani che mi hanno voluto nolente ad una carica, che, se necessaria al Partito, doveva essermi salvata accettando anche lo scambio dei prigionieri. Sono convinto che sarebbe stata la cosa più saggia. Resta, pur in questo momento supremo, la mia profonda amarezza personale. Non si è trovato nessuno che si dissociasse? Bisognerebbe dire a Giovanni che significa attività politica. Nessuno si è pentito di avermi spinto a questo passo che io chiaramente non volevo? E Zaccagnini? Come può rimanere tranquillo al suo posto? E Cossiga che non ha saputo immaginare nessuna difesa? Il mio sangue ricadrà su di loro".
Negli infiniti fili che legano le vicende italiane, non possiamo dimenticare che il cardinale Poletti è anche l'uomo che autorizzò la sepoltura nella Basilica di Sant'Apollinare dell'ultimo capo della Banda della Magliana, il testaccino Enrico De Pedis, detto Renatino, ammazzato il 2 febbraio del 1990. La domanda sui
rapporti tra il boss e il cardinale trova solo indizi: il pentito Antonio Mancini, che ha spiegato come al gruppo dei testaccini fosse delegato il rapporto con il potere, ha detto chiaramente che la sepoltura di De Pedis è stata possibile per i suoi immensi favori ai Vaticano (legati alla restituzione dei soldi della mafia transitati attraverso lo Ior). De Pedis, insieme a Carboni e Nicoletti avevano stretti rapporti proprio con il Vaticano, assicura Mancini.
L'ombra del movimento di Ugo Poletti nel caso Moro, come accenna Eleonora Moro nella sua lettera e come allude in diverse occasioni Francesco Cossiga, e l'idea che qualcuno abbia creato una cortina di ferro intorno alla famiglia sono molto inquietanti, soprattutto se si pensa all'indubitabile ruolo avuto dalla Banda della Magliana nel sequestro, con le protezione offerte alle base dei brigatisti, e nelle ultime ore di vita di Moro. C'è anche questo segreto alla base dell'onore concesso a De Pedis dopo morto?
In attesa della possibile traslazione della sua salma, e magari di un sequestro della magistratura, è bene riflettere sulle parole dell'artefice della singolare sepoltura nella cripta della basilica romana di Sant'Apollinare, mons. Pietro Vergari che continua a difendere la memoria di quello che per tutti era uno spietato criminale e per lui invece un fedele convertito - lo aveva conosciuto in carcere. "Dei morti - ha detto recentemente all'Ansa - non si deve dire altro che bene". Che si riferisse solo al fiume di denaro elargito dalla famiglia De Pedis alla basilica non c'è dubbio ma Vergari va oltre: "Parce sepulto", perdona chi è morto e sepolto, soprattutto non fargli domande. Quella lettera non è solo un atto privato. Non è solo il lutto. Eleonora scrive nella lettera di essersi sentita "in dovere di precisare" i fatti che racconta - appunto, come stesse parlando a tutti noi - "per puro amore della verità e giustizia, anche perché ritengo che solo nella verità via sia la pace". Ma il caso Moro non ha avuto verità: una maledizione o un percorso segnato? Maria Fida non ha dubbi: "se la nostra famiglia non si fosse divisa, sarebbe stato impossibile qualsiasi strumentalizzazione e molto più facile contrastare le menzogne che sono state dette fin dai cinquantacinque giorni. Le nostre divisioni fanno parte del caso Moro, ne sono un capitolo apparentemente minore ma altrettanto pesante". Così come non sapere chi ha deciso la morte di Moro? "Io ho sempre pensato che qualcosa sia avvenuto nelle ultime ore e che qualcuno estraneo alle Br fosse intervenuto per compiere l'opera. I brigatisti non erano professionisti del crimine. Questa era anche la convinzione di mia madre, tanto che quando andai in carcere ad incontrare Adriana Faranda e Valerio Morucci volle inviargli da parte sua un enorme mazzo di fiori con un biglietto nel quale più o meno diceva che mio padre avrebbe trasformato il dolore di tutti in doni spirituali".
Credi che loro abbiano contribuito alla verità? "No", risponde secca Maria Fida Moro e non vuole aggiungere altro.
Scrive Eleonora nell'ultima riga della sua lettera: "Nella mia vita ha sofferto molti dolori ma sicuramente nessuno così grande come quello di vedere la mia famiglia non unita come avrei voluto e vorrei".
Dice oggi Maria Fida: "la lettera di mia madre e il ricordo delle sue lacrime mentre la scriveva sono stati un dolore enorme per me, il più grande".
Nella sterminata amarezza di queste parole, forse, possiamo trovare anche il significato pubblico di un dolore familiare frutto di una 'strategia dell'abbandono' che portò alla morte Aldo Moro.

http://www.cadoinpiedi.it/2012/05/09/allasta_lultima_lettera_della_moglie_di_moro.html#anchor


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