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G.Beretta su Il manifesto-Inchiesta-La guerra sporca dell'Italia in Yemen


marcopa
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Articolo scritto da Giorgio Beretta che ha collaborato alle denunce sulla vendita di armi dall'Italia in Arabia Saudita. L' articolo è molto completo e attendibile in ogni sua informazione. Merita una diffusione "straordinaria".

Marcopa

La guerra sporca dell’Italia in Yemen

Export di morte. «La ditta Rwm Italia ha esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente». I dati sulle esportazioni degli armamenti made in Italy sono opachi, ma dalla ministra della Difesa Pinotti arriva la conferma indiretta del nostro coinvolgimento nei bombardamenti della coalizione a guida saudita che fanno strage di civili

La preparazione di una bomba Mark 82 su una portaerei Usa

Giorgio Beretta *

Edizione del
15.10.2016

Potrebbero essere di fabbricazione italiana le bombe che sabato scorso hanno colpito l’edificio a Sana’a in Yemen dove era in corso una cerimonia funebre causando 155 morti e più di 530 feriti. Il corrispondente della tv britannica ITV, Neil Connery, che è entrato nell’edifico poco dopo il bombardamento, ha infatti pubblicato via twitter la foto di una componente di una bomba che, secondo un ufficiale yemenita, sarebbe del tipo Mark 82 (MK 82).

Altre immagini pubblicate via twitter sono più precise: riportano la targhetta staccatasi da una bomba con la scritta: «For use on MK82, FIN guided bomb». Segue un numero seriale: 96214ASSY837760-4. L’ordigno sarebbe stato prodotto su licenza dell’azienda statunitense Raytheon per essere usato su una bomba MK82. Ma non è chiara l’azienda produttrice e il paese esportatore. Che potrebbe essere anche l’Italia.

Bombe del tipo MK82, infatti, sono prodotte nella fabbrica di Domusnovas in Sardegna dalla Rwm Italia, azienda tedesca del colosso Rheinmetall, che ha la sua sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia. E sono state esportate dall’Italia, con l’autorizzazione da parte dell’Unità per le autorizzazioni di materiali d’armamento (Uama).

La conferma, seppur in modo indiretto, l’ha data mercoledì scorso (il 12 ottobre) la ministra della Difesa, Roberta Pinotti, rispondendo a una interrogazione del deputato Luca Frusone (M5S): «La ditta Rwm Italia – ha detto la ministra Pinotti – ha esportato in Arabia Saudita in forza di una licenza rilasciata in base alla normativa vigente».

All’azienda Rwm Italia nel biennio 2012-13 sono state infatti rilasciate da parte dell’Uama autorizzazioni all’esportazione per bombe aeree di tipo MK82 e MK83 destinate all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 86 milioni di euro. Impossibile invece sapere quante e quali bombe siano state esportate dall’Italia all’Arabia Saudita nell’ultimo biennio: le voluminose relazioni inviate al parlamento dal governo Renzi riportano infatti solo il valore complessivo delle autorizzazioni all’esportazione verso i singoli paesi e le generiche tipologie di armamento (munizioni, veicoli terrestri, navi, aeromobili, ecc.).

Nel biennio 2014-15 il ministero degli Esteri ha autorizzato l’esportazione verso l’Arabia Saudita di un vero arsenale militare per un valore complessivo di quasi 420 milioni di euro. Tra questi figurano «armi automatiche» che possono essere utilizzate per la repressione interna, «munizioni», «bombe, siluri, razzi e missili», «apparecchiature per la direzione del tiro», «esplosivi», «aeromobili» tra cui componenti per gli Eurifighter «Al Salam», i Tornado «Al Yamamah» e gli elicotteri EH-101, «apparecchiature elettroniche» e «apparecchiatire specializzate per l’addestramenti militare». Nel medesimo biennio sono stati consegnati alle reali forze armate saudite sistemi e materiali militari per oltre 478 milioni di euro.

Anche le dettagliate tabelle compilate dal ministero degli Esteri allegate alla relazione governativa che riportano tutte le singole autorizzazioni rilasciate alle aziende produttrici mancano di un dato fondamentale: il paese destinatario. Si può cioè sapere, ad esempio, che nel 2015 alla Rwm Italia sono state rilasciate 24 autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 28 milioni di euro, ma non si possono sapere i paesi destinatari.

E si può sapere che, sempre nel 2015, alla RWM Italia è stata concessa la licenza ad esportare 250 bombe inerti MK82 da 500 libbre insieme ad altre 150 bombe inerti MK 84 per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro, ma la tabella ministeriale non riporta il paese acquirente, rendendo così impossibile il controllo parlamentare e dei centri di ricerca. Informazioni che erano invece riportate fin dai tempi delle prime relazioni inviate al parlamento dai governi Andreotti. E che, incrociando le tabelle dei vari ministeri, si potevano evincere fino ai governi Berlusconi.

Ha un bel dire la ministra Pinotti che la relazione governativa al parlamento consentirebbe «l’attività di verifica e di controllo così come spetta al parlamento»: se non sa cosa di preciso si esporta verso un paese, come fa il Parlamento a controllare?

Un dato però è certo: nel biennio 2014-5 il governo Renzi ha autorizzato esportazioni verso l’Arabia Saudita per un valore complessivo di quasi 419 milioni di euro: un chiaro “salto di qualità” se si pensa che una decina di anni fa le autorizzazioni per armamenti destinati alle forze militari saudite non superavano i dieci milioni di euro.

Ma c’è un altro fatto certo. Nei mesi tra ottobre e dicembre dello scorso anno dall’aeroporto civile di Elmas a Cagliari sono partiti almeno quattro aerei Boeing 747 cargo della compagnia azera Silk Way carichi di bombe prodotte nella fabbrica Rwm Italia di Domusnovas in Sardegna: i cargo sono atterrati alla base della Royal Saudi Air Force di Taif in Arabia Saudita. È proprio su queste spedizioni e su tutti i sistemi militari che l’Italia sta inviando in Arabia Saudita che lo scorso gennaio la Rete italiana per il disarmo ha presentato un esposto in varie Procure. Esposto sul quale in Viceprocuratore di Brescia, Fabio Salamone, ha aperto un’inchiesta “verso ignoti” per presunte violazioni della legge sulle esportazioni di materiali miliari. La Legge n. 185 del 9 luglio 1990 sancisce che l’esportazione «di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia» e che «tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». La Legge vieta specificamente l’esportazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere», nonché «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione».

Dal marzo del 2015, infatti, l’Arabia Saudita si è posta a capo di una coalizione che, senza alcun mandato internazionale, è intervenuta militarmente nel conflitto in corso in Yemen. La risoluzione n. 2216 approvata il 14 aprile del 2015 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu non legittima, né condanna, l’intervento della coalizione a guida saudita: solo «prende atto» della richiesta del presidente dello Yemen agli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo di «intervenire con tutti i mezzi necessari, compreso quello militare, per proteggere lo Yemen e la sua popolazione dall’aggressione degli Houti».

Cosa sia successo da quel momento è sotto gli occhi di tutti: ad oggi sono almeno 4.125 i civili uccisi e oltre 7.200 i feriti. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha ripetutamente condannato i raid aerei sauditi che hanno colpito centri abitati, scuole, mercati e strutture ospedaliere, come quelle di Medici senza Frontiere: un terzo dei loro raid ha fatto centro proprio su obiettivi civili. «Effetti collaterali», hanno commentato i sauditi.

Lo scorso agosto, l’Alto commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra’ad Al Hussein ha chiesto di avviare un’inchiesta indipendente e imparziale sulle violazioni del diritto umanitario perpetrare da tutte le parti attive nel conflitto in Yemen. La richiesta era sostenuta dai paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, ma poi è stata ritirata dall’Ue senza alcuna motivazione. A seguito delle pressioni saudite la proposta è stata accantonata e pertanto si continuerà con l’inchiesta da parte delle autorità yemenite.

A fronte della catastrofe umanitaria che sta subendo la popolazione yemenita, già lo scorso febbraio il Parlamento europeo ha votato ad ampia maggioranza una risoluzione con cui ha chiesto all’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, di «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Unione europea e di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita», alla luce delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Risoluzione che la ministra Pinotti non ha menzionato nel suo intervento in Parlamento. Forse anche perché finora è rimasta inattuata.

Sono continuate invece le esportazioni di armamenti dei paesi europei e gli affari militari con le monarchie del Golfo. Per combattere l’Isis, viene detto; che però approfittando del conflitto ha guadagnato terreno anche in Yemen.

* Analista dell’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e le politiche di difesa e sicurezza di Brescia


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marcopa
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Altro interessante articolo su Il manifesto di oggi. lo segnalo alle 10 persone che in alcuni guirni apriranno il mio post sull' interessantissimo articolo inchiesta di Giorgio Beretta. L' audience va agli scritti pieni di effetti speciali, le cose importanti ma sobrie non interessano.

Marcopa

Armi all'Arabia. Una bomba a orologeria per l’amministrazione Usa. E non solo

di Francesco Martone

La vicenda delle bombe italiane e dei crimini di guerra in Yemen solleva alcuni pesanti interrogativi. Il primo: inviare bombe all’Arabia Saudita equivale a fare la guerra per interposta persona contro il Daesh in Yemen? Che l’invio di armi a paesi in conflitto fosse considerato una «soluzione win-win» per la quale da una parte si partecipa alla guerra senza inviare «scarponi sul terreno» e dall’altra si privilegia la crescita del settore industriale degli armamenti, è chiaro.

Un articolo uscito nel luglio scorso sul New Inquirer e intitolato «Recoil operation» approfondisce la questione del commercio legale e illegale di armi leggere negli States . «La reticenza a livello nazionale a inviare “scarponi sul terreno” fa il pari con gli impegni a livello nazionale per la crescita del settore occupazionale legato all’industria delle armi, e rende ancor più appetibile l’opzione di armare alleati stranieri invece di andare noi di persona a combattere» si legge. Nel nostro caso invece di mandare aerei o soldati sul terreno, si mandano bombe, ma non è come se a combattere partecipasse anche il nostro paese? E chi partecipa potrebbe essere ritenuto corresponsabile di eventuali crimini di guerra commessi da chi viene sostenuto? Interessanti al riguardo alcune importanti notizie dagli Stati Uniti riportate nei giorni scorsi dalla Reuters e dalla Bbc.

Non che il tema dell’eventuale chiamata a correo dell’amministrazione Usa per il sostegno dato all’Arabia Saudita per complicità in crimini di guerra fosse una novità. Da tempo ormai le organizzazioni per i diritti umani statunitensi sollevano questo pesante interrogativo. Le ultime notizie però sono confortate da una serie di documenti ottenuti grazie al Freedom of Information Act (Foia) e raccontano un’altra storia, i cui dettagli meritano di essere approfonditi anche in riferimento al protratto invio di bombe italiane a Riad.

Va detto che, a differenza del nostro paese, gli Usa collaborano in tre modalità a sostegno dell’Arabia Saudita, ovvero attraverso operazioni di rifornimento in volo, acquisizione di bersagli con drone e fornitura di bombe. Per questo da tempo l’amministrazione di Washington si era impegnata a a fornire ai sauditi una lista di obiettivi «santuarizzati» al fine di evitare vittime civili.

A nulla è valso visto che, come specificato in uno dei documenti desecretati e ora accessibili al pubblico, i Sauditi non hanno esperienza e addestramento necessario per evitare vittime civili, e molti rappresentanti dell’Amministrazione americana erano assai scettici sulla loro capacità di bombardare gli Houthi senza uccidere civili o danneggiare infrastrutture critiche.

Quindi chi autorizza l’invio di bombe italiane ai Sauditi – al netto delle considerazioni circa il rispetto o meno della 185/90 che vieta l’invio di armi a paesi in guerra – sa o non sa?

Se sai puoi essere corresponsabile, se non sai hai commesso una grave omissione che potrebbe corrispondere a corresponsabilità?

I documenti citati dalla Reuters ci raccontano di una discussione interna per meglio comprendere le eventuali ricadute legali del sostegno di Washington a Riad. Anche se poi gli avvocati del governo conclusero di non avere elementi sufficienti per affermare che sostenere Riad equivalesse ai sensi del diritto internazionale, essere considerati come co-belligeranti. In realtà – e a Washington lo sanno molto bene – la definizione di co-belligerante, e con essa di eventuali corresponsabilità in crimini di guerra, oggi è assai ampia.

Non c’è bisogno di partecipare direttamente al crimine in questione, basta fornire assistenza pratica, incoraggiamento e appoggio morale. Questo determinò la Corte Penale Internazionale nel caso di crimini di guerra commessi dall’ex-presidente della Libera Charles Taylor.

Viene da pensare allora a casa nostra. Autorizzare e inviare bombe ai sauditi potrebbe equivalere a dare assistenza pratica? Incontrare nei giorni scorsi il ministro della difesa Saudita potrebbe essere una forma di incoraggiamento?

Quando l’Italia venne chiamata a ratificare il Trattato di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale ci si limitò ad accogliere solo le parti che riguardavano la collaborazione con la Corte, ma non a integrare nel proprio codice penale le fattispecie di crimini contro l’umanità previste dal Trattato.

Potrebbero però bastare le norme già previste dal Loac, (Law Of Armed Conflict) le norme di diritto internazionale di guerra.

Lo sapeva bene – come ci dice una e-mail desecretata – il vicesegretario alla Difesa statunitense Anthony Blinken che nel gennaio 2016 convocò i suoi per capire meglio come evitare che gli Stati Uniti potessero essere perseguiti per il loro sostegno alla guerra saudita in Yemen.

Una bomba ad orologeria che rischia di scoppiare nelle mani dell’amministrazione americana e non solo.

Fonte: il manifesto

Originale: http://ilmanifesto.info/una-bomba-a-orologeria-per-lamministrazione-usa/


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