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Il ventennio del disastro per salari e pensioni


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Una diminuzione reale del 16% tra il 1988 e il 2006, quindi quasi un punto percentuale l'anno. Sono questi gli effetti della cosiddetta concertazione sui redditi da lavoro secondo molti economisti ( http://www.economiaepolitica.it/).

Una diseguaglianza nella distribuzione del reddito che viene conteggiata nel cosiddetto indice di Gini, dove l'Italia risulta essere appena dietro gli Stati Uniti. Una lettura analitica di questo dato (0,350) dimostra che il "ventennio" è perfettamente sovrapponibile. Intatti dal 1988 ad oggi l'indice è cresciuto più velocemente da noi che nei paesi dell'area Ocse e di Francia e Germania.

«E' interessante per comprendere come si manifesta la diseguaglianza, confrontare i redditi mediani, quelli del decile più povero e quelli del decile più ricco della popolazione - scrive Stefano Perri -. Questo confronto mette in luce in modo drammatico la gravità della situazione italiana. Infatti, mentre sia per il reddito mediano che per il reddito del 10% più povero, l'Italia è l'ultima tra i paesi considerati, e ha redditi minori rispetto alla media Ocse, il reddito del 10% più ricco risulta più alto rispetto alla media Ocse, e anche rispetto alla Francia».
Risultato, il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi la metà (44,7%) dell'intero ammontare della ricchezza netta. Questi sono anche i numeri diffusi da Bankitalia in uno degli ultimi rapporti sulla distribuzione dei redditi nel nostro paese. Anche qui il fattore temporale è importante per capire come questo spostamento non è stato il frutto di un caso ma di un ciclo economico ben preciso, che va pressapoco dalla fine degli anni 80 ad oggi. Il 5% delle famiglie italiane, infatti, negli ultimi dieci anni, è passato dal 27% al 32% della ricchezza nazionale e oggi meno del 4% ne possiede più del 40%.

Per molti economisti è questo "effetto sbandamento" nella distribuzione che è alla base della crisi attuale. In pratica, l'ammontare dei redditi da lavoro non sarebbe più stato in grado di alimentare il ciclo del capitale tra produzione e consumo. Il capitale, per sfuggire alla caduta tendenziale del saggio di profitto, ha cercato altri impieghi, di tipo speculativo. Se infatti andiamo a guardare la quota della rendita finanziaria "pre-crisi subprime" sul totale della ricchezza del paese ci accorgiamo che ormai è prossima al 75%. Nel 2005 c'è stata una crescita della ricchezza delle famiglie di 350 miliardi mentre il pil in quel periodo aumentò di 35 miliardi. La differenza l'ha fatta proprio la rendita speculativa.

Per Emiliano Brancaccio, professore all'Università del Sannio, «il ridimensionamento del contratto di lavoro a tempo indeterminato ha determinato un effetto di disciplinamento dei lavoratori che viene addirittura calcolato dagli economisti attraverso il tasso di crescita dei salari». Insomma, stando alla vulgata del pensiero liberista la riduzione degli indici di protezione del lavoro, calcolato dall'Ocse, avrebbe dovuto portare a un aumento dell'occupazione. «E invece è falso», sottolinea Brancaccio. «Al contrario con una minore protezione del lavoro si è avuta la riduzione dei salari e pressoché alcun effetto sull'occupazione. E questo è vero sia per l'Italia che in tutta l'area Ocse». L'aumento della base occupazionale era una delle "promesse" alla base del "patto di concertazione". Va appena ricordato che se fino a prima della crisi c'è stato qualche incremento è stato non solo a fronte di una deregolazione del mercato del lavoro ma anche di un "nuovo" modo di calcolare la disoccupazione.
Gian Paolo Patta al tema della distribuzione del reddito ha dedicato il suo ultimo libro dal titolo "Crisi, per chi? Il lavoro dimenticato" (Ediesse)

«Le retribuzioni dei lavoratori anche quella parte che va a sostegno del welfare sono ferme al '92», sostiene Patta. «Questo vuol dire che i lavoratori possono acquistare i beni che acquistavano in quel periodo. Tutta la ricchezza da quel periodo in poi è andata agli altri redditi - aggiunge -. E' per questo che abbiamo avuto una politica economica improntata all' esportazione e basata su bassi salari. L'Italia è più debole anche per questo motivo».
Il modello della distribuzione dei redditi in Italia «è fondato sul fatto che al limite si può recuperare l'inflazione. E pure con un ritardo di un anno».

Per la Fiom, infine, i dati sul 23° attribuito dall'Ocse all'Italia, «non sorprendono, ma non attenuano la gravità del fenomeno». «Il comparto meccanico - si legge in un comunicato - sconta una perdita realizzata nel lungo periodo, dal 2000 al 2005». Le tute blu non hanno seguito nè l'evoluzione dei consumi, nè quella della produttività «e hanno dovuto anche fare i conti con più elevati tassi d'inflazione». Non solo. A rendere più sfavorevole la posizione di un lavoratore, per la Fiom, anche la mancata restituzione del fiscal drag e l'incidenza del cuneo fiscale. Un lieve incremento dei salari, del tutto «temporaneo» si è avuto, ricorda ancora la nota sindacale, grazie «ad uno sganciamento negli ultimi due rinnovi contrattuali dall'indicatore dell'inflazione programmata».

Fabio Sebastiani
Fonte: www.liberazione.it
19.05.2009


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