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Marò:i proiettili li scagionano,non erano i loro.Truf


helios
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Marò, ora l'India ammette: "I proiettili non erano loro". E spunta la truffa dei testimoni fotocopia

Nei documenti consegnati al tribunale di Amburgo le testimonianze identiche di alcuni pescatori. Allegata anche la perizia sui proiettili: quelli trovati nel corpo dei pescatori diversi da quelli in dotazione alla Marina italiana
Claudio Cartaldo - Ven, 11/09/2015 - 11:54
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Che il processo messo in campo dall'India nei confronti dei due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, fossero al limite del ridicolo, non è una novita.

Ma dalle carte che i legali indiani hanno consegnato al Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, emergono alcuni dettagli sconcertanti.

Non solo quelle testimonianze fotocopia rilasciate da acuni pescatori sopravvissuti il giorno in cui Valentine Jelastine e Akeesh Pink persero la vita, ma soprattutto spunta l'allegato numero 4 che riporta l'autopsia svolta sul copro dei due pescatori uccisi. Sembrava essersi persa nei cassetti dei tribunali indiani, e invece è rispuntata ad Amburgo. Nel documento, la prova che i proiettili che hanno colpito a morte i due indiani non sono quelli in dotazione ai marò.
Le deposizioni

Come riporta il Quotidiano Nazionale, in un articolo a firma di Lorenzo Bianchi, le testimonianze di chi avrebbe assistito alla morte dei due pescatori si assomigliano eccessivamente. Come se nell'essere redatte fossero state scritte dalla stessa mano e opportunamente falsificate in modo da dimostrare la colpevolezza di Latorre e Girone. Dopo gli eventi del 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala, i testimoni dichiarano che gli assassini sono i "sailors", i marinai, facendone nome e cognome dei due marò. Le testimonianze, allegate tra le carte che l'India ha depositato ad Amburgo, sono contenute nell'allegato 46.

A rilasciare le due testimonianze identiche sono il comandante del peschereccio, Freddy Bosco (34 anni) e il marinaio Kenserian (47), i quali dichiaro "onestamente e con la massima integrità" che la loro imbarcazione "finì sotto il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi".

Il primo campanello d'allarme riguarda proprio il duplice errore riportato nei due verbali. Entrambi i marinai, infatti, avrebbero sbagliato a pronunciare il nome della nave difesa dai Marò, che infatti si scrive "Lexie". Ora, la cosa più probabile è che entrambe le dichiarazioni siano state scritte dalla stessa persona con una sorta di "copia e incolla" necessario per far coincidere le due versioni.

Ma non sono solo queste le corrispondenze. Altri passaggi sembrano scritti con la carta carbone. Secondo i due testimoni, infatti, i "tiri malvagi" hanno provocato la "tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jalestin, e Ajesh Binke". Anche sulle conseguenze della propria condizione dopo l'evento coincide in maniera sospetta. I due, infatti, avrebbero subito una "indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti. La nostra ordalia non è finita".

Secondo Luigi Di Stefano, perito di parte che ha seguito la vicenda di Ustica, l'India non avrebbe dovuto consegnare queste carte al Tribunale di Amburgo. Che non aveva il compito di decidere la colpevolezza (o meno) dei Marò, ma solo quale fosse il Paese legittimato a tenere il processo. Un modo quindi per ribadire la colpevolezza non dimostrata di Latorre e Girone, mossa che però ha fatto calare un velo di legittima dubbiosità sulla veridicità delle testimonianze.
Il proiettile

Non è tutto. Perché il più interessante dei documenti consegnati dal legali indiani ai giudici di Amburgo è l'autopsia che lanatomo patologo K. S. Sasika fece sui due pescatori uccisi. Nella seconda pagina dell'allegato 4, infatti, si legge che il proiettile estratto dal cervello di Jalestine è troppo grande per essere uscito dalle armi dei fucilieri di marina. Quello misurato dal medico, infatti, aveva un'ogiva di 31 millimetri, una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella zona più larga. I proiettili in dotazione i Marò, invece, sono dei calibro 5 e 56 Nato. Il proiettile italiano misura solo 23 centimetri, quindi è evidente che quello estratto dalla testa del pescatore non possa essere stato esploso dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 dei Marò.

Infine, dalle carte si evince che il Gps del Saint Antony dove hanno trovato la morte i pescatori venne fatto recapitare dal capitano dell'imbarcazione non il giorno in cui attraccò al porto, ma solo 8 giorni dopo. Conservando tutto il tempo necessario a manometterne i dati.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/mar-ora-lindia-ammette-i-proiettili-non-erano-loro-e-spunta-1169475.html

PS- notare questo articolo del sole24ore datato 25 maerzo 2012:

La perizia sui marò in India: «Non hanno sparato loro. L'accusa si basa su un proiettile inesistente»

Gli indiani tengono in carcere i fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, pur in assenza di prove concrete contro di loro. Sul caso della petroliera Enrica Lexie parla l'ingegner Luigi Di Stefano, perito tecnico che ha lavorato per alcuni tribunali italiani e consulente di società per cause legate a incidenti aerei inclusa Itavia per il "caso Ustica" che ha messo a punto un rapporto dettagliato su quanto accaduto il 15 febbraio al largo delle coste del Kerala.Un rapporto indipendente ma che dimostra come «molti elementi non quadrino» dice Di Stefano al Sole 24Ore.com. «A cominciare dall'autopsia effettuata dall'anatomopatologo del Tribunale indiano, il professor Sisikala» che ha recuperato il proiettile dal corpo di uno dei due pescatori uccisi, definendolo calibro 0,54 pollici, pari a 13 millimetri cioè un calibro oggi inesistente».

«Il proiettile è stato repertato con misure indicate in modo criptico e furbesco» sostiene Di Stefano. «Se Sisikala avesse espresso le misure del proiettile in forma canonica, cioè con calibro e lunghezza in millimetri, avrebbe scritto calibro 7,62 e lunghezza 31 millimetri. Il caso sarebbe già chiuso dal 16 febbraio, giorno successivo al fatto e giorno dell'autopsia. Invece del diametro ha reso nota la "circonferenza" (credo sia la prima volta al mondo) e invece dei millimetri ha usato i centimetri». Di Stefano non ha dubbi. I dati indicati confermano che si tratta della cartuccia 7,62x54R ex sovietica, sparata dalla mitragliatrice russa PK che nulla ha a che vedere con la cartuccia 5,56x45 di unica dotazione ai nostri marò e utilizzabile sia con i fucili Beretta AR 70/90 sia con le mitragliatrici FN Minimi in dotazione». Per Di Stefano quindi «le autorità indiane sanno fin dal 16 febbraio che il calibro non è quello delle armi italiane, e anche ammettendo una doverosa verifica tutto si sarebbe risolto in una ispezione alle canne dei fucili Beretta».

Una malafede che spiegherebbe perché i due esperti balistici dei Carabinieri non sono stati ammessi alle indagini ma accettati solo come osservatori e le indiscrezioni trapelate il 13 marzo circa la "compatibilità" del proiettile con quelli Nato. «È ovvio che sia compatibile perché il 7,62 è un calibro ex sovietico ma anche Nato anche se con misure diverse. Quindi gli indiani hanno giocato prima sull'equivoco tra circonferenza e diametro, poi sulla compatibilità». Le incongruenze delle supposte prove raccolte dalle autorità indiane non si fermano agli esami balistici, i cui risultati tardano inspiegabilmente a venire resi noti ufficialmente.

«Il rientro in porto del peschereccio Saint Antony con i due pescatori morti secondo la Guardia Costiera indiana avviene alle 18,20 – aggiunge Di Stefano che ha reso noto le conclusioni della sua analisi su Militariforum - ma le immagini televisive mostrano che è buio pesto e in questo periodo laggiù il sole tramonta alle 18.35». Un falso teso forse a coprire il fatto che il peschereccio si trovava altrove, non nei pressi della Enrica Lexie.

Per non parlare delle mutevoli testimonianze dei pescatori, l'ultima delle quali, l'intervista rilasciata al settimanale Oggi dal proprietario del Saint Antony, Freddy Bosco, a Di Stefano risulta del tutto inattendibile. «Bosco dice di aver subito l'attacco alle 16,15 è ma in quel momento la Enrica Lexie si trovava 27 miglia più a nord del peschereccio». Tutta da chiarire anche la vicenda delle cinque navi presenti in zona dopo la denuncia dei pescatori, quattro delle quali hanno la colorazione rossa e nera citata dai testimoni. La Guardia Costiera ne chiama solo quattro escludendo la greca Olimpyc Flairs che aveva appena denunciato di aver subito un attacco dei pirati ma viene inspiegabilmente esclusa dalle indagini dopo che la Enrica Lexie ha risposto positivamente alla richiesta di raggiungere il porto di Kochi.

Nonostante la versione dell'accusa traballi l'Alta Corte del Kerala ha assimilato l'uccisione dei due pescatori a «un atto di terrorismo». Secondo il giudice P.S. Gopinathan «le azioni dei due militari sono equivalenti a atti di terrorismo poiché hanno sparato contro il peschereccio senza alcun colpo di avvertimento e senza segnale di preavviso mentre i pescatori dormivano e in pieno giorno». Il rifermento al "terrorismo'' del giudice P.S. Gopinathan è scaturito da una discussione con l'avvocato dell'armatore, la ''Fratelli D'Amato'', dopo che quest'ultimo aveva negato l'applicabilità al caso della Enrica Lexie di una convenzione internazionale del 1988 sul terrorismo marittimo. Il trattato, noto come ''Sua Act'' (Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation) è stato infatti invocato dallo Stato del Kerala e dai familiari dei pescatori per giustificare l'applicabilità della legge indiana in acque internazionali e su una nave battente bandiera italiana.

La Lexie, come dimostra la posizione dichiarata nel rapporto all'armatore che denunciava il supposto attacco pirata, si trovava a 21 miglia dalla costa. L'atteggiamento del giudice non induce a sperare in un verdetto favorevole sul ricorso italiano circa la giurisdizione del caso dalla quale dipende la sorte dei due militari italiani detenuti nel carcere di Trivandrum. Dallo stesso giudice P.S.. Gopinathan dipende anche la partenza della Lexie bloccata davanti a Kochi in attesa della conclusione delle indagini. Nella seduta di ieri è emerso che il via libera potrebbe venire quando sarà terminata la perizia balistica sulle armi dei marò (forse la prossima settimana). La prossima udienza è fissata per martedì, probabilmente lo stesso giorno in cui a Seul si incontreranno il primo ministro indiano, Manmohan Singh, e il premier italiano Mario Monti a margine del summit sulla Sicurezza nucleare . «Ci sono argomenti di cui parlare, di cui loro vogliono parlare e anche noi» hanno detto le fonti diplomatiche indiane aggiungendo che entrambi «abbiamo bisogno di discutere per arrivare a una soluzione».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-25/lesperto-maro-india-hanno-143435.shtml?uuid=AbTHGvDF&refresh_ce=1

Si sapeva il tutto già nel 2012.


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spadaccinonero
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c'è già un post in mio onore

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=88096

8)


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ancona_pietro
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Marò, ora l'India ammette: "I proiettili non erano loro". E spunta la truffa dei testimoni fotocopia

Nei documenti consegnati al tribunale di Amburgo le testimonianze identiche di alcuni pescatori. Allegata anche la perizia sui proiettili: quelli trovati nel corpo dei pescatori diversi da quelli in dotazione alla Marina italiana
Claudio Cartaldo - Ven, 11/09/2015 - 11:54
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Che il processo messo in campo dall'India nei confronti dei due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, fossero al limite del ridicolo, non è una novita.

Ma dalle carte che i legali indiani hanno consegnato al Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, emergono alcuni dettagli sconcertanti.

Non solo quelle testimonianze fotocopia rilasciate da acuni pescatori sopravvissuti il giorno in cui Valentine Jelastine e Akeesh Pink persero la vita, ma soprattutto spunta l'allegato numero 4 che riporta l'autopsia svolta sul copro dei due pescatori uccisi. Sembrava essersi persa nei cassetti dei tribunali indiani, e invece è rispuntata ad Amburgo. Nel documento, la prova che i proiettili che hanno colpito a morte i due indiani non sono quelli in dotazione ai marò.
Le deposizioni

Come riporta il Quotidiano Nazionale, in un articolo a firma di Lorenzo Bianchi, le testimonianze di chi avrebbe assistito alla morte dei due pescatori si assomigliano eccessivamente. Come se nell'essere redatte fossero state scritte dalla stessa mano e opportunamente falsificate in modo da dimostrare la colpevolezza di Latorre e Girone. Dopo gli eventi del 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala, i testimoni dichiarano che gli assassini sono i "sailors", i marinai, facendone nome e cognome dei due marò. Le testimonianze, allegate tra le carte che l'India ha depositato ad Amburgo, sono contenute nell'allegato 46.

A rilasciare le due testimonianze identiche sono il comandante del peschereccio, Freddy Bosco (34 anni) e il marinaio Kenserian (47), i quali dichiaro "onestamente e con la massima integrità" che la loro imbarcazione "finì sotto il fuoco non provocato e improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi".

Il primo campanello d'allarme riguarda proprio il duplice errore riportato nei due verbali. Entrambi i marinai, infatti, avrebbero sbagliato a pronunciare il nome della nave difesa dai Marò, che infatti si scrive "Lexie". Ora, la cosa più probabile è che entrambe le dichiarazioni siano state scritte dalla stessa persona con una sorta di "copia e incolla" necessario per far coincidere le due versioni.

Ma non sono solo queste le corrispondenze. Altri passaggi sembrano scritti con la carta carbone. Secondo i due testimoni, infatti, i "tiri malvagi" hanno provocato la "tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jalestin, e Ajesh Binke". Anche sulle conseguenze della propria condizione dopo l'evento coincide in maniera sospetta. I due, infatti, avrebbero subito una "indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti. La nostra ordalia non è finita".

Secondo Luigi Di Stefano, perito di parte che ha seguito la vicenda di Ustica, l'India non avrebbe dovuto consegnare queste carte al Tribunale di Amburgo. Che non aveva il compito di decidere la colpevolezza (o meno) dei Marò, ma solo quale fosse il Paese legittimato a tenere il processo. Un modo quindi per ribadire la colpevolezza non dimostrata di Latorre e Girone, mossa che però ha fatto calare un velo di legittima dubbiosità sulla veridicità delle testimonianze.
Il proiettile

Non è tutto. Perché il più interessante dei documenti consegnati dal legali indiani ai giudici di Amburgo è l'autopsia che lanatomo patologo K. S. Sasika fece sui due pescatori uccisi. Nella seconda pagina dell'allegato 4, infatti, si legge che il proiettile estratto dal cervello di Jalestine è troppo grande per essere uscito dalle armi dei fucilieri di marina. Quello misurato dal medico, infatti, aveva un'ogiva di 31 millimetri, una circonferenza di 20 millimetri alla base e di 24 nella zona più larga. I proiettili in dotazione i Marò, invece, sono dei calibro 5 e 56 Nato. Il proiettile italiano misura solo 23 centimetri, quindi è evidente che quello estratto dalla testa del pescatore non possa essere stato esploso dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 dei Marò.

Infine, dalle carte si evince che il Gps del Saint Antony dove hanno trovato la morte i pescatori venne fatto recapitare dal capitano dell'imbarcazione non il giorno in cui attraccò al porto, ma solo 8 giorni dopo. Conservando tutto il tempo necessario a manometterne i dati.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/mar-ora-lindia-ammette-i-proiettili-non-erano-loro-e-spunta-1169475.html

PS- notare questo articolo del sole24ore datato 25 maerzo 2012:

La perizia sui marò in India: «Non hanno sparato loro. L'accusa si basa su un proiettile inesistente»

Gli indiani tengono in carcere i fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, pur in assenza di prove concrete contro di loro. Sul caso della petroliera Enrica Lexie parla l'ingegner Luigi Di Stefano, perito tecnico che ha lavorato per alcuni tribunali italiani e consulente di società per cause legate a incidenti aerei inclusa Itavia per il "caso Ustica" che ha messo a punto un rapporto dettagliato su quanto accaduto il 15 febbraio al largo delle coste del Kerala.Un rapporto indipendente ma che dimostra come «molti elementi non quadrino» dice Di Stefano al Sole 24Ore.com. «A cominciare dall'autopsia effettuata dall'anatomopatologo del Tribunale indiano, il professor Sisikala» che ha recuperato il proiettile dal corpo di uno dei due pescatori uccisi, definendolo calibro 0,54 pollici, pari a 13 millimetri cioè un calibro oggi inesistente».

«Il proiettile è stato repertato con misure indicate in modo criptico e furbesco» sostiene Di Stefano. «Se Sisikala avesse espresso le misure del proiettile in forma canonica, cioè con calibro e lunghezza in millimetri, avrebbe scritto calibro 7,62 e lunghezza 31 millimetri. Il caso sarebbe già chiuso dal 16 febbraio, giorno successivo al fatto e giorno dell'autopsia. Invece del diametro ha reso nota la "circonferenza" (credo sia la prima volta al mondo) e invece dei millimetri ha usato i centimetri». Di Stefano non ha dubbi. I dati indicati confermano che si tratta della cartuccia 7,62x54R ex sovietica, sparata dalla mitragliatrice russa PK che nulla ha a che vedere con la cartuccia 5,56x45 di unica dotazione ai nostri marò e utilizzabile sia con i fucili Beretta AR 70/90 sia con le mitragliatrici FN Minimi in dotazione». Per Di Stefano quindi «le autorità indiane sanno fin dal 16 febbraio che il calibro non è quello delle armi italiane, e anche ammettendo una doverosa verifica tutto si sarebbe risolto in una ispezione alle canne dei fucili Beretta».

Una malafede che spiegherebbe perché i due esperti balistici dei Carabinieri non sono stati ammessi alle indagini ma accettati solo come osservatori e le indiscrezioni trapelate il 13 marzo circa la "compatibilità" del proiettile con quelli Nato. «È ovvio che sia compatibile perché il 7,62 è un calibro ex sovietico ma anche Nato anche se con misure diverse. Quindi gli indiani hanno giocato prima sull'equivoco tra circonferenza e diametro, poi sulla compatibilità». Le incongruenze delle supposte prove raccolte dalle autorità indiane non si fermano agli esami balistici, i cui risultati tardano inspiegabilmente a venire resi noti ufficialmente.

«Il rientro in porto del peschereccio Saint Antony con i due pescatori morti secondo la Guardia Costiera indiana avviene alle 18,20 – aggiunge Di Stefano che ha reso noto le conclusioni della sua analisi su Militariforum - ma le immagini televisive mostrano che è buio pesto e in questo periodo laggiù il sole tramonta alle 18.35». Un falso teso forse a coprire il fatto che il peschereccio si trovava altrove, non nei pressi della Enrica Lexie.

Per non parlare delle mutevoli testimonianze dei pescatori, l'ultima delle quali, l'intervista rilasciata al settimanale Oggi dal proprietario del Saint Antony, Freddy Bosco, a Di Stefano risulta del tutto inattendibile. «Bosco dice di aver subito l'attacco alle 16,15 è ma in quel momento la Enrica Lexie si trovava 27 miglia più a nord del peschereccio». Tutta da chiarire anche la vicenda delle cinque navi presenti in zona dopo la denuncia dei pescatori, quattro delle quali hanno la colorazione rossa e nera citata dai testimoni. La Guardia Costiera ne chiama solo quattro escludendo la greca Olimpyc Flairs che aveva appena denunciato di aver subito un attacco dei pirati ma viene inspiegabilmente esclusa dalle indagini dopo che la Enrica Lexie ha risposto positivamente alla richiesta di raggiungere il porto di Kochi.

Nonostante la versione dell'accusa traballi l'Alta Corte del Kerala ha assimilato l'uccisione dei due pescatori a «un atto di terrorismo». Secondo il giudice P.S. Gopinathan «le azioni dei due militari sono equivalenti a atti di terrorismo poiché hanno sparato contro il peschereccio senza alcun colpo di avvertimento e senza segnale di preavviso mentre i pescatori dormivano e in pieno giorno». Il rifermento al "terrorismo'' del giudice P.S. Gopinathan è scaturito da una discussione con l'avvocato dell'armatore, la ''Fratelli D'Amato'', dopo che quest'ultimo aveva negato l'applicabilità al caso della Enrica Lexie di una convenzione internazionale del 1988 sul terrorismo marittimo. Il trattato, noto come ''Sua Act'' (Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation) è stato infatti invocato dallo Stato del Kerala e dai familiari dei pescatori per giustificare l'applicabilità della legge indiana in acque internazionali e su una nave battente bandiera italiana.

La Lexie, come dimostra la posizione dichiarata nel rapporto all'armatore che denunciava il supposto attacco pirata, si trovava a 21 miglia dalla costa. L'atteggiamento del giudice non induce a sperare in un verdetto favorevole sul ricorso italiano circa la giurisdizione del caso dalla quale dipende la sorte dei due militari italiani detenuti nel carcere di Trivandrum. Dallo stesso giudice P.S.. Gopinathan dipende anche la partenza della Lexie bloccata davanti a Kochi in attesa della conclusione delle indagini. Nella seduta di ieri è emerso che il via libera potrebbe venire quando sarà terminata la perizia balistica sulle armi dei marò (forse la prossima settimana). La prossima udienza è fissata per martedì, probabilmente lo stesso giorno in cui a Seul si incontreranno il primo ministro indiano, Manmohan Singh, e il premier italiano Mario Monti a margine del summit sulla Sicurezza nucleare . «Ci sono argomenti di cui parlare, di cui loro vogliono parlare e anche noi» hanno detto le fonti diplomatiche indiane aggiungendo che entrambi «abbiamo bisogno di discutere per arrivare a una soluzione».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-25/lesperto-maro-india-hanno-143435.shtml?uuid=AbTHGvDF&refresh_ce=1

Si sapeva il tutto già nel 2012.


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oriundo2006
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Egregi, ma i due ‘maro’ ‘ HANNO AMMESSO DI VARE SPARATO. Almeno, che io sappia…e hanno detto che hanno SPARATO ALL’INDIRIZZO DI UNA BARCA ( RITENUTA ) DI PIRATI, sempre che io sappia. Infatti, la difesa italiana è SEMPRE stata quella di AMMETTERE la responsabilità dei soggetti MA dichiarare la NON COMPETENZA delle autorità indiane. A questo punto, vorrei proprio sapere perché il Comando Militare della Marina Italiana non effettua una PROPRIA indagine PUBBLICA su tutto cio’, presenza di armi extradotazione compresa.


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helios
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Egregi, ma i due ‘maro’ ‘ HANNO AMMESSO DI VARE SPARATO. Almeno, che io sappia…e hanno detto che hanno SPARATO ALL’INDIRIZZO DI UNA BARCA ( RITENUTA ) DI PIRATI, sempre che io sappia. Infatti, la difesa italiana è SEMPRE stata quella di AMMETTERE la responsabilità dei soggetti MA dichiarare la NON COMPETENZA delle autorità indiane. A questo punto, vorrei proprio sapere perché il Comando Militare della Marina Italiana non effettua una PROPRIA indagine PUBBLICA su tutto cio’, presenza di armi extradotazione compresa.

i maro imbarcati sulla Lexie non erano solo Latorre e Girone, c'erano anche altri.

Le armi di Girone e Latorre non hanno sparato. Questo è quello che hanno appurato.

I testimoni indiani hanno SUBITO identificato in Girone e Latorre i responsabili della morte dei due pescatori indiani. Per cui non si capisce come avessero fatto a sapere, visto che non erano i soli marò imbarcati sulla Lexie, i loro nomi quando non esisteva nemmeno una prova della loro colpevolezza. Da qui è semplice arrivare a dire che l'India ha incolpato i due marò senza alcuna prova oltre che aver preso dichiarazioni di falsi testimoni per incolparli.

Il fatto che il gps del battello S.Antony dove sono stati trovati morti i due pescatori indiani sia stato consegnato 8 gg dopo per le analisi dice ancora di più e cioè che le prove sono state tutte alterate per fare in modo che Girone e Latorre fossero colpevoli a tutti gli effetti.

Questo è stato reso palese dopo che i fatti sono stati dibattuti ad Amburgo e l'India non poteva sottrarsi nel portar prove che, come si vede, sono tutte false.

Girone e Latorrre si sono sempre dichiarati innocenti.

dall'articolo de ilsole24h

Tutta da chiarire anche la vicenda delle cinque navi presenti in zona dopo la denuncia dei pescatori, quattro delle quali hanno la colorazione rossa e nera citata dai testimoni. La Guardia Costiera ne chiama solo quattro escludendo la greca Olimpyc Flairs che aveva appena denunciato di aver subito un attacco dei pirati ma viene inspiegabilmente esclusa dalle indagini dopo che la Enrica Lexie ha risposto positivamente alla richiesta di raggiungere il porto di Kochi.

quindi le navi presenti in quel tratto di mare hanno colorazioni quasi identiche.
La nave greca olimpic flair aveva subito un attacco pirata e lo aveva appena denunciato, ma l'India fa finta di nulla quando la Lexie risponde positivamente di andare per controlli al porto di Kochi.

Quindi i pirati in quella zona c'erano le nava greca ne è testimone.

Per cui l'India non solo ha mai ostacolato la pirateria nei suoi mari ma non se ne cura affatto se qualche nave è oggetto di pirateria.

Evidentemente gli indiani dovevanon trovare un capro espiatorio per i due pescatori indiani morti ma non volevano imputarlo alla pirateria nei sui mari, quindi non restava che trovare qualcuno che avesse le armi a cui imputare di aver sparato. In questa maniera non ha risarcito le famiglie e non ha dovuto stanziare soldi per combattere la pirateria nelle sue acque.

Ma finmeccanica qualcosa ha a che fare con questa vicenda che si sarebbe conclusa subito se non ci fosse di mezzo ben altro.


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helios
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Il giallo dei marò consegnati Ecco cosa accadde sulla Lexie

Fausto Biloslavo - Ven, 09/03/2012 - 08:49
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L’esca degli indiani, il capitano che informa l’armatore ricevendo il via libera per tornare in porto, la Farnesina che chiama la società per chiedere cosa sta accadendo, ma è già troppo tardi e la Marina che voleva tirare dritto.

Così i nostri marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girolamo, sono finiti nelle galere indiane. Il Giornale, grazie a fonti incrociate, che hanno chiesto l’anonimato, ricostruisce cosa è realmente accaduto il 15 febbraio.

Il nucleo antipirateria, comandato dal capo di prima classe Latorre, ha appena respinto, in acque internazionali, un presunto attacco dei pirati alla petroliera Enrica Lexie sparando colpi di avvertimento in acqua, secondo il rapporto scritto a caldo. A terra la Guardia costiera indiana viene informata che due pescatori sono stati uccisi. Il proprietario del peschereccio sostiene che gli spari sono arrivati da una nave mercantile. Il comandante della Guardia costiera dell’India occidentale, S.P.S Basra si inventa «una tattica ingegnosa», come lui stesso ammetterà qualche giorno dopo. Ovvero lancia un’esca sperando che qualcuno finisca in trappola. «Eravamo nel buio più completo riguardo a chi avesse potuto sparare ai pescatori. Grazie ai sistemi radar abbiamo localizzato quattro navi che si trovavano in un raggio fra 40 e 60 miglia nautiche dal luogo dell’incidente» ha spiegato l’alto ufficiale. Gli indiani chiedono via radio se qualcuno «avesse respinto per caso un attacco dei pirati. Solo gli italiani rispondono positivamente». Quello che Basra non dice è l’inganno comunicato via radio: «Tornate in porto per riconoscere i pirati» che sembrava fossero stati catturati o individuati.

James, il primo ufficiale di coperta indiano della petroliera, conferma a una fonte del Giornale: «Eravamo in acque internazionali, ma quando uno Stato costiero chiede assistenza per un’indagine è nostro dovere obbedire. Non solo: ci avevano promesso che non avremmo subito ritardi». Da terra gli indiani mentono spudoratamente chiudendo la trappola. Il comandante, Umberto Vitelli, deve, per qualsiasi inversione di rotta, segnalarla all’armatore e al charter che affitta la nave. La petroliera è dei Fratelli D’Amato spa di Napoli, la stessa società che per 11 mesi si è vista sequestrare nave Savina Caylin, con cinque ufficiali italiani a bordo, dai pirati somali.

Secondo più fonti, compreso il sito Liberoreporter che si è occupato a lungo del Savina, dalla società armatrice arriva il via libera per tornare a Kochi: «Fate come dicono loro».

I marò informano il proprio comando e la Marina contatta la Farnesina. Il ministero degli Esteri chiama l’armatore per chiedere cosa stia accadendo. Dall’altra parte del telefono viene garantito che «è solo un controllo di routine». La Marina, però, monitorizza la situazione e nota che i media indiani già lanciano notizie di una nave italiana individuata per la morte dei pescatori.
La Difesa vuole che la nave tiri dritto, ma è già troppo tardi. La petroliera è entrata nelle acque territoriali indiane. Il sistema si mette in allarme dalle 17.45 ora italiana, ma un elicottero e due motovedette indiani hanno intercettato la petroliera per scortarla in porto. La nave è già alla fonda quando si annusa il pericolo, anche se non risulta ancora chiaro l’inganno.

In serata nella rada di Kochi, il capitano chiede agli indiani: «Facciamo presto che domani dobbiamo ripartire». A quel punto le autorità locali scoprono le carte e gli ordinano di non muoversi. La trappola si chiude e per i marò il destino del carcere è segnato.

La Farnesina sostiene di non aver mai «chiesto, né autorizzato il comandante della nave» ad attraccare a Kochi, «né a entrare nelle acque territoriali indiane». L’ex sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, vuol chiedere una commissione d’inchiesta sul caso, dopo il ritorno a casa dei marò.

Un altro aspetto sono i particolari rapporti di Luigi D’Amato, l’armatore della petroliera, con l’India. La società riceve commesse legate al trasporto del greggio e le sue navi fanno spesso scalo nel grande paese. Se la Lexie avesse tirato dritto, le altre unità della compagnia sarebbero state vessate in tutti i modi dai controlli nei porti indiani.

Non solo: a bordo della Lexie ci sono 18 marittimi di nazionalità indiana, come erano indiani i 17 membri dell’equipaggio del Savina finito nelle mani dei pirati. Libero reporter rivela che una delle sei sedi della «V. Ships India management», che recluta i marittimi indiani per l’armatore di Napoli, guarda caso è proprio a Kochi, dove ha avuto inizio la disavventura dei marò.

www.faustobiloslavo.eu

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/giallo-dei-mar-consegnati-ecco-cosa-accadde-sulla-lexie.html


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Maxim
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Marò, ora l'India ammette: "I proiettili non erano loro". E spunta la truffa dei testimoni fotocopia

Nei documenti consegnati al tribunale di Amburgo le testimonianze identiche di alcuni pescatori. Allegata anche la perizia sui proiettili: quelli trovati nel corpo dei pescatori diversi da quelli in dotazione alla Marina italiana
.

ma questi documenti indiani CHI li ha visti e letti ?


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